PERSECUZIONE
. Questo termine, allorché si abbiano presenti i significati del lat. persequi e anche dell'it. "perseguire" e "perseguitare", si applica nel campo religioso, in senso stretto, e più proprio, soltanto all'azione del potere costituito, allorché esso configura come un delitto e punisce l'adesione a una determinata credenza religiosa e tutti gli atti che ne sono conseguenza, oppure anche, negativamente, il fatto di non aderire, almeno nelle manifestazioni esteriori, alla religione dello stato. In senso lato, il termine si applica invece anche ad atti di violenza compiuti da folle o individui irresponsabili. Tale distinzione ha tanto maggior valore, quanto più elevato è il grado di civiltà, e per conseguenza definito il concetto dello stato, delle popolazioni di cui si tratta. Le associazioni religiose - specie nelle religioni rivelate - hanno varie volte considerato come persecuzioni anche le limitazioni, o la vigilanza, imposte alla esplicazione della loro attività. Sulle ragioni generali delle persecuzioni, e per altre considerazioni sull'argomento, v. intolleranza; libertà: Diritti della libertà; tolleranza.
Qui saranno dati solo alcuni esempî storici, scelti presso popolazioni di civiltà progredita, che possano servire a illustrare quelle considerazioni. In India, benché il codice di Manu (IX, 225) ingiunga al re di espellere gli eretici, vere e proprie persecuzioni non si ebbero sino alla penetrazione dell'Islām che, coerentemente ai suoi principî, attuò una politica persecutrice, della quale soffrirono gli effetti soprattutto il buddhismo, del resto già in decadenza, il jainismo e i Sikh. Nei riguardi del cristianesimo, i dominatori musulmani si mantennero indifferenti, quando i convertiti non appartenevano alla loro religione; mentre i convertiti da una delle religioni nazionali ebbero spesso a soffrire, dato il particolare ordinamento sociale, di una specie di boicottaggio. La storia religiosa della Persia mostra come lo zoroastrismo, divenuto religione nazionale e di stato soprattutto sotto i Sassanidi, si facesse persecutore; ne ebbero a soffrire il cristianesimo, varî movimenti ereticali sorti dallo zoroastrismo stesso e il manicheismo. A sua volta lo zoroastrismo fu perseguitato nella Persia musulmana, così come in genere le religioni dualistiche, e in specie il manicheismo che, nonostante la sua vasta diffusione e la sua lunga storia, solo in una parte relativamente piccola dell'Asia e per un periodo piuttosto breve poté essere religione prevalente, anziché perseguitata o appena tollerata, come accadde anche in Cina: ove pure non mancano esempî di vere persecuzioni religiose, così come nel Giappone contro il buddhismo, per un breve periodo dopo la rinnovazione del 1868 e la restaurazione dello shintoismo come religione ufficiale dello stato. Ove si prescinda da atti isolati, persecuzione vera e propria, con proibizione del culto almeno pubblico, privazione dei diritti civili per i seguaci, ecc., anche se non si giunga a repressioni sanguinose, si ha solo là dove lo stato si dichiari esplicitamente fautore e difensore d'una religione nazionale determinata: il che talvolta può accadere in base a ragioni politiche, più spesso perché lo stato riconosce espressamente quella religione come la sola vera e, pertanto, lecita.
Per l'Islām e i suoi precetti, v. islamismo; per le persecuzioni contro gli Ebrei, v. antisemitismo; ebrei: Storia.
Persecuzione dei cristiani.
La Chiesa, come il suo fondatore Gesù Cristo, fu perseguitata dalle autorità giudaiche durante il primo periodo della sua esistenza nella comunita primitiva di Gerusalemme. S. Stefano e l'apostolo S. Giacomo morirono martiri in Gerusalemme. Da quella prima epoca, il cristianesimo ebbe a soffrire persecuzioni in quasi tutti i periodi della sua storia nei varî paesi di maggioranza non cristiana. L'autorità pubblica e la popolazione pagana giudicarono la professione della fede cristiana come incompatibile con l'esistenza e la vita dello stato, e cercarono d'impedire con la violenza la diffusione del cristianesimo. Quando però si parla di persecuzione dei cristiani, si ha in vista principalmente la lotta dello stato romano pagano contro il cristianesimo nei primi secoli dell'era cristiana. La Chiesa, sorta nel territorio dell'impero, fu costretta a difendere la sua esistenza contro il governo e il popolo pagano, i quali tentarono di distruggere con la violenza la nuova religione.
I motivi che diedero origine alla persecuzione dei cristiani nell'impero romano furono diversi. La causa principale è da riporsi nella congiunzione intima tra l'organizzazione statale e la religione ufficiale dell'impero romano. In esso la vita ufficiale era strettamente unita, mediante cerimonie religiose, al culto delle divinità romane. Il riconoscimento di queste divinità statali e del culto ad esse attribuito fu richiesto, naturalmente, alle varie nazioni che a poco a poco entrarono nel complesso del vasto impero. Queste nazioni potevano senza difficoltà continuare a prestare il culto alle loro divinità, le quali, anzi, spesse volte trovarono ingresso nel pantheon delle divinità romane; come pure i cittadini romani potevano liberamente, sotto l'influenza del sincretismo religioso dei primi secoli dell'impero, seguire le pratiche dei culti stranieri. Ma, con tutto ciò, il riconoscimento del culto pubblico ufficiale era sempre considerato come espressione della disposizione corretta e patriottica verso lo stato, e fu perciò domandato senz'altro a tutti gli abitanti dell'impero. Questo concetto della manifestazione dei veri sentimenti di patriottismo romano mediante la partecipazione al culto pubblico ufficiale divenne anche più pronunciato con la professione del culto verso gl'imperatori e Roma. L'apoteosi di Cesare e di Augusto divenne il punto di partenza del culto dell'imperatore divinizzato, unito con quello della stessa Roma; e questo culto si considerò quasi la religione ufficiale dell'impero, di modo che rifiutarne la partecipazione era considerato come un vero crimen contro la divinità e contro lo stato. Tutte le varie nazionalità riunite nell'impero romano avevano accettato questa religione ufficiale, né, sotto questo punto di vista, erano mai sorte difficoltà. I Giudei, i quali erano i soli abitanti dell'impero che non partecipavano a questi atti di culto pagano, erano in condizioni di favore eccezionale; la loro religione era stata riconosciuta esplicitamente religio licita, ed essi avevano ricevuto privilegi speciali, sotto l'aspetto religioso e nazionale. Ma questa situazione privilegiata non impedì misure restrittive e di persecuzione contro i Giudei, quando questi mostrarono di fare una propaganda religiosa troppo attiva presso concittadini di altra nazionalità, come accadde per es. sotto Domiziano (Dione Cassio, LXVII, 14) e sotto Adriano (Sparziano, Hadr., 14).
Questa situazione cambiò radicalmente quando il cristianesimo cominciò a diffondersi nell'impero romano nei primi decennî dopo la morte di Gesù Cristo. La missione cristiana non era limitata né dalle nazionalità né dalle condizioni degli abitanti dell'impero; d'altra parte il cristianesimo non poteva ammettere compromessi con altre religioni, poiché esso si presenta da principio come l'unica vera religione, e afferma che tutta l'umanità è chiamata ad abbracciare questa religione fondata dallo stesso Figlio di Dio. La partecipazione a qualsiasi culto pagano, prestato a una divinità diversa dal solo vero Dio adorato dai cristiani, era assolutamente inammissibile per un seguace di Cristo, cosicché i cristiani rifiutarono ogni partecipazione al culto delle divinità dell'impero, dell'imperatore e di Roma. In conseguenza, i cristiani si astenevano anche dagli uffici pubblici poiché questi esigevano la partecipazione al culto pagano. Anche nella vita privata essi mantenevano in molte cose una grande riservatezza di fronte ai loro concittadini pagani; non presero parte alle manifestazioni nazionali, alle rappresentazioni teatrali, a molti altri atti della vita civile, perchè tutta questa vita era contaminata da elementi idolatrici e si sviluppava spesse volte in forma completamente contraria alla morale cristiana, così diversa dai costumi pagani.
Questa posizione, presa necessariamente dai cristiani secondo i principî della loro religione, eccitò contro di essi l'odio e il disprezzo dei pagani, i quali vedevano negli aderenti della nuova religione nemici non soltanto delle divinità e della religione nazionali di Roma, ma anche di tutta la cultura e della vita pubblica dell'impero. Già Tacito dice (Ann., XV, 44) che i cristiani furono condannati sotto Nerone, non tanto perché colpevoli dell'incendio di Roma, ma perché convinti dell'odium generis humani (cfr. Tertull., Apologet., 37, che parla in senso simile). Questo disprezzo e questa ostilità contro i cristiani, in quanto tali, furono alimentati dagli ambienti intellettuali, i quali vedevano nel cristianesimo solamente una bassa superstizione, senza nessun più alto contenuto. Varî rappresentanti di scuole filosofiche nel secolo II e III, impugnavano le dottrine cristiane come un insieme d'inezie indegne d'un uomo colto. Ma principalmente furono diffuse nelle masse popolari le più indegne calunnie contro i cristiani e la loro vita. Furono accusati non solo di ateismo completo e d'inimicizia contro le istituzioni dello stato e contro tutta la civilizzazione romana, ma anche di atti orribili nelle loro adunanze religiose, di rivoltanti promiscuità nelle relazioni sessuali. Alcuni autori cristiani, come Origene, accusano i Giudei, nemici accaniti dei cristiani, di essere stati autori e propagatori di tali calunnie. Il fatto che quasi tutti gli apologeti cristiani del sec. II e III cercano di refutare queste accuse e calunnie nelle loro apologie del cristianesimo è una prova che esse dovevano avere fatto grande impressione. Con questa mentalità ostile al cristianesimo si spiega che, all'occasione di feste pagane o di grandi calamità pubbliche, la popolazione pagana compisse atti di violenza contro i cristiani, come attestano varî autori dei secoli II e III.
Questa disposizione generale ostile al cristianesimo fu probabilmente la causa principale delle persecuzioni mosse dall'autorità pubblica contro i cristiani. La posizione di costoro sembrava incompatibile con l'organizzazione religiosa dell'impero e col mantenimento dell'ordine nella vita pubblica; tanto più che l'astensione dei cristiani dai più importanti atti pubblici dello stato e dalle formalità idolatriche ad essi congiunte li faceva apparire come nemici dell'impero e cospiratori. Così il cristianesimo, già nel sec. I, fu considerato e forse anche dichiarato esplicitamente come una religio illicita, i cui aderenti erano esposti a repressioni violente, fino alla pena capitale. In questo modo cominciò nell'impero, nel sec. I, la persecuzione contro i cristiani, come è provato da varî testi del Nuovo Testamento, dalle testimonianze sulle persecuzioni di Nerone e di Domiziano, e dalla lettera di Plinio all'imperatore Traiano dell'anno 112 circa. La Chiesa si trovava costretta a difendere la sua esistenza contro le misure ostili dello stato pagano.
Nei primi decennî della diffusione del cristianesimo fuori della Palestina, i seguaci della religione di Cristo furono considerati generalmente come appartenenti al giudaismo, e la propaganda della nuova religione fu giudicata sotto lo stesso aspetto. Già Tertulliano (Apologet., 21) ha rilevato questa circostanza. Però l'opposizione crescente dei Giudei contro i cristiani, l'organizzazione di costoro con vita religiosa a parte e la loro separazione divenuta di buon'ora completa dai Giudei aggruppati intorno alla sinagoga, manifestarono chiaramente che i cristiani, designati con questo nome all'epoca apostolica, formavano una nuova religione. A Roma, all'esplosione della persecuzione di Nerone nel 64, si faceva chiaramente la distinzione tra cristiani e Giudei, e dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme, quando l'organizzazione dei Giudei si sviluppò in un modo completamente separato dalla vita delle comunità cristiane, ovunque si dovette riconoscere che il cristianesimo era una religione per sé, e non aveva più alcuna relazione col giudaismo. Se nei primi decennî, in seguito alla confusione con i Giudei, i cristiani poterono godere i privilegi religiosi di quelli, è certo che dal quinto o sesto decennio del sec. I in poi ciò non avvenne più. Ed è certo, infatti, che la posizione privilegiata goduta dal giudaismo nell'impero non fu mai estesa al cristianesimo, e invece questo fu considerato come religio illicita.
Le fonti storiche dal sec. I al III fanno conoscere chiaramente e con certezza la situazione di fatto dei cristiani nell'impero, la quale si riflette nelle varie forme di persecuzione contro di loro. È più difficile stabilire quale sia stata la vera "base giuridica" della persecuzione dei cristiani da parte dello stato romano, e in qual modo si debba giudicare la "forma di processo" contro i membri delle comunità cristiane. La situazione giuridica dei cristiani non è sempre stata la stessa nel corso dei primi tre secoli della Chiesa. Riguardo al carattere delle persecuzioni, si possono distinguere tre epoche: la prima, dalla metà del sec. I al principio del sec. III; la seconda comprende la prima metà del sec. III; la terza va dall'anno 250 all'anno 311 (313). Per quest'ultimo periodo, la base giuridica delle persecuzioni è chiara: gl'imperatori Decio (250), Valeriano (258), Diocleziano e alcuni successori (303) hanno perseguitato i fedeli di Cristo con editti speciali, in modo sistematico, con l'intenzione di distruggere il cristianesimo. Nella prima metà del sec. III, la situazione giuridica dei cristiani era in teoria simile al periodo precedente, senza però che fosse adottato un sistema conseguente, nel modo di agire da parte delle autorità dello stato verso di essi. In virtù della tolleranza religiosa manifestata da certi imperatori, i processi contro i fedeli furono rari; d'altra parte l'imperatore Settimio Severo proibì con editti speciali, sotto pena gravissima, la propaganda in favore del cristianesimo, come fece anche per la propaganda giudaica (Sparziano, Sept. Sev., 17), e varî cristiani furono vittime di questa persecuzione. Dopo l'assassinio di Alessandro Severo (235), il suo successore Massimino il Trace si mostrò ostile ai cristiani e pubblicò un editto contro i superiori delle comunità cristiane. Dunque anche in questo periodo si trovano misure coercitive emanate da editti speciali contro il cristianesimo. Sotto gl'imperatori che usavano tolleranza verso i cristiani, la situazione di questi era molto incerta e le fonti storiche autentiche parlano di persecuzioni locali suscitate da governatori di provincie e da tumulti delle masse pagane. Si vede da questi fatti che le condizioni giuridiche generali erano simili a quelle del primo periodo, che va dalla seconda metà del sec. I a tutto il sec. II.
Il problema della "base giuridica" delle persecuzioni e della "forma di processo" contro i cristiani riguarda principalmente questo periodo. La discussione intorno al problema fu suscitata dalla memoria pubblicata da Th. Mommsen nel 1890: Religionsfrevel nach dem römischen Recht. Egli distingue tre forme di processo: il processo giuridico criminale contro cristiani per delitti comuni, non di religione; il processo criminale per delitto di religione, compreso nel concetto della maiestas; l'intervento penale dei magistrati in forma amministrativa di polizia (ius coercitionis), senza processo criminale, contro cittadini romani divenuti cristiani. Di queste tre forme, la prima non entra in considerazione; la seconda fu usata talvolta nel caso dell'accusa elevata contro un cristiano come reo di delitto contro la maestà delle divinità e dell'imperatore, poiché il delitto di religione entrava in questa categoria; ma in modo generale il procedere dell'autorità pubblica contro i cristiani ebbe il carattere della coercitio, cioè non si svolse come un processo criminale fatto per violazione d'una data legge dell'impero, ma come misura di polizia per salvaguardare il culto ufficiale e obbligare gli abitanti dell'impero a compiere ai loro doveri verso lo stato. I magistrati dell'alta amministrazione romana, a Roma come nelle provincie, avevano questo ius coercitionis e potevano punire anche di pena capitale e di morte i ribelli contro tali misure. Questa teoria incontrò in principio molto favore, ma presto fu combattuta da varî autori, i quali presentarono differenti soluzioni del problema, e la discussione su questo punto dura tuttora (v. Bibliografia). Altre opinioni intorno alla base giuridica della persecuzione hanno un fondamento comune, in quanto negano che il ius coercitionis, con le sue misure amministrative di polizia, abbia dato la forma giuridica dei processi contro i cristiani; sostengono invece che si tratta di una vera azione criminale contro i cristiani, considerati rei d'un delitto di religione determinato da disposizioni giuridiche, in modo che la condanna alla pena capitale fu pronunciata come iudicium, e non in forza di una coercitio. Su questo fondamento, una prima opinione trova la base giuridica in disposizioni legislative positive del diritto penale romano.
Ma, nel giudizio intorno a queste disposizioni, vi sono due sistemi diversi: l'uno riconosce come base legale le leggi criminali antiche contro il sacrilegium, contro la lesione della religio romana inclusovi il culto dell'imperatore, e contro i trasgressori della lex Iulia maiestatis; poi le disposizioni contro la violazione delle leggi sulle associazioni e altre simili. L'altro sistema, invece, ammette e cerca di provare che fu pubblicata sia da Nerone, sia da Domiziano, una legge speciale contro il cristianesimo come tale e contro i suoi aderenti, di modo che la religione di Cristo sarebbe stata dichiarata positivamente come religio illicita (christianos esse non licet). Una seconda opinione sostiene che non è necessario ricorrere a leggi positive applicate contro i cristiani ovvero fatte positivamente e specialmente contro il cristianesimo, ma che la professione cristiana in sé stessa (nomen christianum) era considerata come un delitto in seguito ad una massima giuridica formatasi nel sec. I, che può considerarsi la base giuridica dei processi criminali contro i cristiani.
Una soluzione certa e precisa del problema giuridico delle persecuzioni nei primi due secoli della Chiesa non è facile, per mancanza delle fonti contemporanee sicure. Secondo una notizia di Lattanzio (Institut. divin., 5, 11), Domizio Ulpiano aveva raccolto nel suo volume De officio proconsulis (verso il 215) i rescripta principum per insegnare con quali pene potevano essere puniti quelli che si confessavano cultori di Dio. Questa raccolta riguardava senza dubbio i cristiani; ma il libro di Ulpiano non è conservato. Così abbiamo, oltre alla lettera di Plinio a Traiano e alla risposta di questo, soltanto le allusioni nei libri degli apologeti cristiani ed i rari Atti autentici di martiri del II e del principio del sec. III. Il fatto stesso che Ulpiano abbia formato una raccolta di editti imperiali contro il cristianesimo sembra mostrare che lo ius coercitionis dei magistrati non bastava per dare la base giuridica ai processi contro i cristiani. Vi sono state disposizioni penali particolari, di cui una ci è conservata nel rescritto di Traiaoo a Plinio il giovane, governatore delle provincie della Bitinia e del Ponto, dove l'imperatore stabilisce la forma del processo contro i cristiani (Plinio, Epist. ed. Keil, 23 seg.). È certo che le indicazioni di Plinio sui processi contro i cristiani e le disposizioni dell'imperatore presuppongono l'esistenza della massima giuridica che il cristianesimo non era tollerato, e che per conseguenza i magistrati dell'impero potevano procedere contro i membri delle comunità cristiane con pene capitali. È dunque probabile che una disposizione in questo senso fosse stata stabilita nel sec. I, anche se non furono fissate regole speciali sul modo di procedere, come sembra risultare dalle questioni proposte da Plinio a Traiano. Secondo Tertulliano, l'autore di misure ostili alla religione di Cristo sarebbe stato Nerone; ma non risulta dalle fonti storiche superstiti se ciò avvenisse certamente e in quale forma. Sembra certo però che al tempo di Nerone era professata la massima che l'essere cristiani era un delitto. Nella seconda metà del sec. I, la professione della religione cristiana era vietata nell'impero, e i cristiani in quanto tali erano soggetti alle più gravi pene. Traiano stabilì nel suo rescritto a Plinio, il quale suppone questa situazione di fatto, le regole seguenti per il processo contro i cristiani: è vietato di ricercare i cristiani per procedere contro di loro, ma quelli accusati devono essere puniti: se però rinnegano il cristianesimo, devono esser messi in libertà. Questo rescritto creò la forma di processo che restò in vigore, nella pratica dei magistrati dell'impero, fino alla prima metà del sec. III. Spesso però i governatori delle provincie condannavano a morte anche gruppi numerosi, non in seguito ad accuse personali, ma cedendo ai tumulti anticristiani dei pagani.
Le singole persecuzioni. - Secondo i cristiani Melitone di Sardi e Tertulliano, l'imperatore Nerone fu il primo persecutore; dalle testimonianze di S. Clemente Romano (I Cor.) e di Tacito (Annal., XV, 44) conosciamo in modo più particolare questa prima tempesta rovesciatasi soprȧ i cristiani. Il 18 luglio del 64 scoppiò il grande incendio che, infuriando per alcuni giorni, distrusse grande parte di Roma. Il sospetto di aver provocato l'incendio fu sollevato, secondo Tacito, contro Nerone; allora l'imperatore, per sottrarsi a questa accusa, la rovesciò sui cristiani dei quali una "moltitudine ingente" fu giustiziata in modo crudele. Tra le vittime dí questa prima persecuzione troviamo, secondo la testimonianza di S. Clemente Romano (I Cor., 6), anche i due apostoli Pietro e Paolo. Sono gli unici martiri della persecuzione neroniana conosciuti a nome; leggende posteriori che assegnano in Roma e in altre città dell'Italia e della Gallia gruppi di martiri a quella persecuzione non hanno valore storico. La persecuzione di Nerone non aveva una base giuridica nel diritto romano, ma contribuì ai giudizî ostili contro i cristiani, fissando il principio che il cristianesimo non poteva avere diritto di esistere.
Sotto i primi successori di Nerone non troviamo notizie di nuove persecuzioni. Per la seconda volta misure ostili furono prese ed eseguite sotto Domiziano (81-96); di esse abbiamo per Roma la testimonianza del citato S. Clemente (I Cor.,1) e per l'Asia Minore quella dell'Apocalisse (v.). Più tardi, anche Melitone di Sardi e Tertulliano fanno allusione a questa persecuzione. Insigni vittime cristiane a Roma furono, con grande probabilità, Flavio Clemente, ex-console e cugino di Domiziano; sua moglie Flavia Domitilla e M. Acilio Glabrione, anch'esso ex-console; le indicazioni fornite da Dione Cassio, Svetonio e da Bruzio (citato nella Cronaca di Eusebio) fanno pensare chiaramente alla professione cristiana come motivo dell'esecuzione capitale di Flavio Clemente e di Acilio Glabrione, come pure dell'esilio di Flavia Domitilla. A Pergamo in Oriente morì martire Antipa. Altre vittime attribuite a questa epoca da atti leggendarî posteriori, come i Ss. Nereo e Achilleo con i loro compagni e S. Petronilla (che non sarebbe morta martire), sono di età posteriore. Per la persecuzione dei cristiani sotto Traiano (98-117) non abbiamo solo il suddetto scambio di lettere con Plinio il Giovane, ma anche le notizie del martirio di S. Ignazio di Antiochia e di S. Simeone di Gerusalemme. Anche la lettera di S. Policarpo di Smirne, scritta in questo tempo, fa allusione alla persecuzione e a martiri. Ma altri nomi, oltre quelli di S. Ignazio e di S. Simeone, non sono conosciuti; alcuni racconti leggendarî, come quelli di S. Clemente di Roma, di S. Cesario e di santi orientali attribuiti a quest'epoca, non possono essere ritenuti storici.
L'imperatore Adriano (117-138), con il suo rescritto a Minucio Fundano, proconsole della provincia d'Asia, cercò di proteggere i cristiani contro il furore delle masse pagane, le quali spesso obbligarono i magistrati a procedere contro i cristiani nell'Asia Minore. In questo rescritto l'imperatore prescrisse di seguire la forma regolare di processo criminale contro i cristiani accusati di delitti contro le leggi dell'Impero (Giustino, I Apologia, 69; Eusebio, Hist. eccl., IV, 9). Questa disposizione favorevole lasciò il cristianesimo nella condizione fissata dal rescritto di Traiano, la quale però non impediva persecuzioni personali contro i singoli cristiani. Non conosciamo con certezza nomi di martiri dell'epoca di Adriano, ma lo stesso rescritto a Minucio Fundano presuppone con certezza l'esistenza di martirî sotto quell'imperatore. È curioso íl fatto che un intero gruppo di leggende di martiri, di Roma e di altre regioni d'Italia, attribuisca al tempo di Adriano il martirio di numerosi eroi della fede, i quali quasi tutti sono certamente martiri storici, venerati con culto pubblico nell'antichità, ma che non possono essere considerati come vittime di persecuzioni sotto Adriano: appartengono certo a persecuzioni della seconda metà del sec. III o al principio del IV. Tra questi troviamo, per Roma e dintorni, S. Alessandro e S. Ermete con i loro compagni, S. Sinforosa con i suoi figli sulla via Tiburtina, S. Getulio con Cereale e altri, come pure alcuni martiri venerati in varie città d'Italia (Montano a Terracina; Terenziano a Todi; Faustino e Giovita a Brescia; Primo e Marco a Trieste). Meno numerosi sono in Oriente i martiri attribuiti dalle rispettive leggende a quest'epoca (Ariadne in Frigia; Espero con la famiglia ad Attalia di Pamfilia). Anche il successore d'Adriano, Antonino Pio (138-161), inviò in Oriente delle lettere per vietare misure illegali contro i cristiani (Eusebio, Hist. eccl., IV, 26). Ma la persecuzione non cessò, come risulta dalle Apologie pubblicate da autori cristiani sotto questo imperatore, nonché dal fatto che vi furono varî martiri, dei quali abbiamo notizie precise, per es., i fatti esposti da S. Giustino nella sua II Apologia, e il racconto autentico della morte di S. Policarpo vescovo di Smirne (156) e di undici fedeli di questa città. Anche il papa S. Telesforo ebbe la corona del martirio in questi anni (verso il 136). La morte di alcuni martiri è attribuita da Atti leggendarî a quest'epoca, ma senza fondamento storico; i più celebri di essi sono i sette martiri romani del 10 luglio, presentati dalla leggenda come figli di S. Felicita, pure morta martire. La situazione del cristianesimo restò eguale sotto l'imperatore Marco Aurelio (161-180); il rescritto pubblicato da questo imperatore nel 176-177 contro i propagatori di nuove sette e di culti ignoti non era diretto in modo particolare contro i cristiani, ma nel 177-178 la città di Lione in Gallia vide il martirio d'un numeroso gruppo di fedeli di Lione e Vienna, messi a morte per la sola professione del nomen christianum (Eusebio, Hist. eccl., V, 1 seg.). A Roma morì martire il filosofo cristiano S. Giustino (verso il 165) con alcuni compagni, a Pergamo il gruppo di Carpo, Papila, e Agatonice. I vescovi Publio di Atene, Sagaris di Laodicea e Trasea di Eumenia (Frigia) pure morirono martiri. Sotto Marco Aurelio si aggravano le persecuzioni in varie regioni. Morto lui, sotto Commodo (180-192), il quale non si mostrò ostile ai cristiani, la situazione sembra sia stata più favorevole. Ma ciò non impedì persecuzioni locali, come risulta dai sei martiri di Scili in Africa i cui Atti autentici ancora conservati fissano la loro morte al 17 luglio 180: sono i primi martiri conosciuti delle provincie dell'Africa. Anche per le provincie orientali, Siria, Cappadocia, Asia proconsolare, Frigia, si ebbero persecuzioni locali.
All'epoca di Settimio Severo (193-211) la posizione presa dall'autorità pubblica nell'impero cominciò a cambiare. La massima giuridica avversa al cristianesimo restò in vigore; ma sotto l'influenza di sentimenti più favorevoli manifestati da alcuni imperatori della prima metà del secolo III, vi furono periodi di pace relativa per le comunità cristiane, le disposizioni contro i cristiani furono applicate più raramente. Ma, d'altra parte, troviamo editti speciali pubblicati da qualche imperatore in questo periodo, destinati a restringere la diffusione del cristianesimo, che per la sua organizzazione e il numero dei suoi aderenti attirava sempre più l'attenzione dell'autorità pubblica. Settimio Severo vietò verso l'anno 202, con editti speciali, sotto gravi pene, la propaganda del giudaismo e del cristianesimo (Sparziano, Sept. Sev., 17). La misura dell'imperatore fu applicata ad Alessandria, dove catecumeni e neofiti del Didaskaleion subirono il martirio. Lo stesso avvenne a Cartagine, come si rileva dagli Atti del martirio delle sante Perpetua e Felicita con tre catecumeni e il catechista Saturo. Eusebio parla di numerosi altri martiri in Egitto durante quest'epoca, tra i quali è da annoverarsi Leonida, il padre di Origene. Per Roma e l'Italia, come per l'Oriente, abbiamo scarse notizie sugli avvenimenti. Nei due decennî seguenti, sotto la dinastia siriaca di Caracalla, Eliogabalo e Severo Alessandro, non vi furono misure ostili speciali contro i cristiani. Severo Alessandro nutriva piuttosto delle simpatie verso la religione di Cristo, cosicché in genere la Chiesa poté godere pace e tranquillità. Ciò non impedì però persecuzioni locali, come risulta per l'Africa dal libro di Tertulliano contro Scapula (211-212) e per Roma dal martirio di papa Callisto (222). Varie leggende sopra martiri dell'Italia e della Gallia attribuiti a questo periodo non hanno fondamento storico; ciò vale anche per la cronologia della martire romana S. Cecilia, di cui non conosciamo l'epoca del martirio. Quando, dopo l'assassinio di Severo Alessandro nel 235, Massimino il Trace fu proclamato imperatore, la lotta contro la Chiesa riprese con misure speciali contro i membri del clero. A Roma, papa Ponziano e il suo competitore Ippolito furono deportati in Sardegna dove morirono, venerati come martiri. Per altre regioni dell'impero, abbiamo poche notizie. Con la morte di Massimino nel 238 ricominciò per la Chiesa un'era di relativa pace; ma non cessarono le persecuzioni locali eccitate dalle masse pagane e non mancarono martiri: per es. ad Alessandria fu messo a morte un gruppo di fedeli, fra cui la vergine Apollonia e Serapione.
Con la metà del sec. III cominciò il terzo periodo delle persecuzioni, caratterizzato da tre violente persecuzioni sistematicamente condotte contro la Chiesa, con intervalli di pace quasi completa. L'ultimo intervallo fu il più lungo, e andò dalla cattura di Valeriano (260) all'ultima terribile persecuzione sotto Diocleziano. L'imperatore Decio (249-251) tentò ristabilire l'antico ideale dello stato e della religione ufficiale di Roma, sfruttando l'entusiasmo manifestatosi per la celebrazione del millenario di Roma nel 248. Per quest'impresa giudicò necessario distruggere il cristianesimo, e così fu pubblicato alla fine del 249 o nel gennaio 250 un editto generale contro i cristiani, i quali dovevano essere condotti a sacrificare alle divinità pagane come gli altri cittadini dell'impero. Dalle fonti contemporanee, principalmente dagli scritti e dalla corrispondenza di S. Cipriano di Cartagine e di S. Dionigi di Alessandria, conosciamo lo sviluppo e gli effetti della persecuzione in modo più preciso per l'Africa, per Roma, e per l'Egitto; ma si può ritenere che nelle altre regioni dell'impero lo svolgersi degli eventi sia stato eguale. Accanto a numerosi confessori della fede, dei quali molti morirono martiri, troviamo un grande numero di apostati (lapsi, v.), i quali però non volevano ritornare al paganesimo, ma soltanto salvare la vita sottoponendosi all'atto prescritto di un sacrificio idolatrico. Tra le vittime conosciute della persecuzione furono il papa Fabiano e il presbitero Mosè a Roma, varî martiri a Cartagine (Mappalico, Paolo, un gruppo di 16 fedeli), in Egitto (per il quale S. Dionigi indica varî gruppi), nell'Oriente (i vescovi Alessandro di Gerusalemme e Babila di Antiochia), nell'Asia Minore (il presbitero Pionio di Smirne con alcuni compagni), e pochi altri. L'impresa di Decio non ottenne il successo sperato. Morto Decio nella guerra contro i Goti, la persecuzione cessò presto, ma la tranquillità non fu di lunga durata. L'imperatore Valeriano (253-260), favorevole ai cristiani nei primi anni del suo regno, fu spinto da Macriano, capo di un partito ostile ai cristiani nell'esercito, a riprendere il tentativo di Decio, infierendo da principio in modo speciale contro il clero cristiano. Un primo editto del 257 ordinò che tutti i vescovi, presbiteri e diaconi, fossero obbligati a fare un sacrificio idolatrico sotto pena di esilio, e vietò nello stesso tempo le adunanze religiose. Poco dopo, un secondo editto prescrisse che i vescovi, presbiteri, e diaconi fossero giustiziati subito; i senatori e altri membri dell'aristocrazia fossero privati di tutti gli onori, con confisca dei loro beni e, se restavano fedeli alla loro religione, anch'essi decapitati. Simili disposizioni furono prese contro le matrone, contro i cristiani in servizio della casa imperiale e altri. Conosciamo alcuni gruppi di martiri di questa persecuzione, da fonti contemporanee. A Roma, papa Sisto II fu ucciso nel cimitero di Callisto con quattro diaconi (6 agosto 258); nel giorno stesso morirono martiri altri due diaconi, Felicissimo e Agapito; tre giorni dopo l'ultimo diacono, Lorenzo. Numerosi altri fedeli romani ebbero la palma del martirio. Lo stesso avvenne in Africa, come risulta dalle ultime lettere del grande vescovo di Cartagine (v. cipriano), decapitato egli stesso il 14 settembre 258, e dagli Atti autentici dei martiri Giacomo e Mariano uccisi con altri cristiani, e dei martiri Lucio e Montano uccisi con sei compagni. Notizie posteriori parlano anche di martiri nelle provincie africane. In Egitto, furono numerosi, come attestano le lettere di S. Dionigi conservate nella Storia Ecclesiastica di Eusebio. Anche in Oriente le fonti contemporanee ci fanno conoscere i nomi di alcuni martiri. Dopo la cattura di Valeriano nella guerra contro i Parti, Gallieno, suo figlio e successore, revocò gli editti del padre contro i cristiani, e restituì alle comunità l'uso dei loro edifici ecclesiastici e dei cimiteri. Cominciò una nuova era di pace per la chiesa, turbata appena da qualche movimento ostile locale. Il cristianesimo si sviluppò assai in questi ultimi decennî del sec. III, ma nei primi anni del IV ebbe a soffrire una nuova persecuzione, l'ultima ma la più terribile, diretta contro tutti i suoi seguaci.
Nei primi 18 anni del suo regno, Diocleziano (284-305) non si mostrò in nessun modo nemico al cristianesimo, e l'iniziaiiva di una nuova persecuzione contro la Chiesa deve piuttosto essere ascritta al Cesare Galerio, genero di Diocleziano. Anche Massimiano, l'Augusto dell'Occidente, era poco favorevole ai cristiani; si hanno testimonianze intorno al martirio di militari nelle provincie africane negli anni prima della pubblicazione degli editti di persecuzione di Diocleziano del 303-304, con i quali fu scatenata in tutto l'impero la terribile bufera. Sull'andamento di essa siamo informati meglio che delle altre, grazie alle opere di due autori contemporanei, Eusebio di Cesarea e Lattanzio, a un gruppo di Atti autentici di martiri di questa epoca, a testi di varî autori del secolo IV e alle fonti liturgiche più antiche sul culto dei martiri. Il primo editto (24 febbraio 303) ordinava di distruggere tutti gli edifici sacri e di gettare nel fuoco i libri sacri dei cristiani e privare costoro dei diritti civili; essi inoltre potevano essere sottoposti alla tortura e ad altre pene e se liberti dovevano tornare alla condizione di schiavi. Gli avvenimenti politici nell'Asia Minore e nella Siria furono l'occasione della pubblicazione di un secondo editto (aprile 303), per cui i membri del clero, compreso in parte il clero inferiore, dovevano essere incarcerati. Poco dopo, un terzo editto prescrisse che i prigionieri cristiani che rinnegavano la fede dovevano essere liberati subito, mentre contro gli altri si doveva procedere con le più crudeli torture per costringerli all'apostasia. Le feste delle vicennalia di Diocleziano (novembre 303), per le quali l'imperatore si recò a Roma, non recarono nessun sollievo ai fedeli; anzi, nella primavera del 304, comparve un quarto editto, che esigeva da tutti i cristiani dell'impero, sotto le pene più severe, un atto di sacrificio idolatrico. Così fu scatenata la persecuzione generale in tutte le provincie dell'impero. In Occidente la tempesta fu meno forte e cruenta, principalmente nelle provincie delle Gallie, per la benevolenza di Costanzo Cloro verso i cristiani; tuttavia abbiamo notizie certe di martiri più o meno numerosi, tanto per Roma e altre città dell'Italia, quanto per le Gallie e provincie settentrionali, per la Spagna e l'Africa. Dopo l'abdicazione di Diocleziano, la tranquillità cominciò a tornare nelle comunità cristiane di Occidente; però gli edifici ecclesiastici a Roma furono restituiti soltanto nel 311 da Massenzio. In Oriente la persecuzione fu più dura e lunga; continuò sotto Galerio e sotto Massimino Daia, quasi senza interruzione fino al 313. La pubblicazione del celebre rescritto di tolleranza pubblicato a Milano nel 313 dai due imperatori Costantino e Licinio, rese finalmente la pace alla Chiesa e gettò le prime fondamenta per una libertà completa della religione di Cristo nell'impero romano. Quando però scoppiò la lotta tra i due Augusti, Licinio, verso il 320, rinnovò in Oriente le misure ostili ai cristiani. Ma la vittoria di Costantino nel 324 diede all'imperatore cristiano anche le provincie d'Oriente, e così fu chiuso il periodo delle persecuzioni violente contro il cristianesimo nell'impero romano. I tentativi intrapresi più tardi dall'imperatore Giuliano l'Apostata (361-363) per combattere di nuovo il cristianesimo, ebbero un carattere diverso.
Fuori dell'impero romano, il cristianesimo, diffondendosi nelle varie parti del mondo fino ai tempi moderni, ebbe a soffrire persecuzioni. Nell'antichità, dalla metà del sec. IV alla metà del V, i re sassanidi di Persia gli fecero una guerra implacabile nei loro territorî. Nella prima metà del secolo VII, gli arabi musulmani cominciarono le loro campagne vittoriose contro le provincie dell'impero bizantino, spingendosi fino all'Africa ed alla Spagna; nei paesi soggiogati all'Islām la popolazione cristiana fu trattata spesso assai duramente, e la vita religiosa dei cristiani talvolta venne quasi completamente sterminata. La propaganda cristiana tra i popoli pagani dell'Europa centrale, settentrionale e orientale nell'alto Medioevo fruttò a molti missionarî la corona del martirio. D'ordinario però i principi delle tribù germaniche e slave dopo poco tempo si convertirono al cristianesimo, cosicché rare furono le persecuzioni sistematiche mosse dai pagani di queste regioni occidentali. Nella diffusione del cristianesimo nell'Asia centrale, meridionale ed orientale, iniziatasi dopo le missioni in Asia del Medioevo, nella seconda metà del sec. XV e nel sec. XVI, i missionarî e i cristiani indigeni dovettero sostenere persecuzioni terribili in varie regioni, persecuzioni che continuarono fino a tempi recenti.
Nella Cina e nel Giappone e in altre regioni dell'Asia, la guerra implacabile al cristianesimo nel corso dei secoli XVII e XVIII fruttò a queste cristianità numerosi martiri. Ora la situazione si è generalmente migliorata per l'opera dei missionarî.
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