PERITO
. Si chiama perito (da peritus, participio di perior in experior; fr. expert; sp. experto; ted. Sachverständiger; ingl. expert) una persona dotata di particolare idoneità alla conoscenza di un certo ordine di cose. Poiché a questa persona naturalmente si rivolge chi debba conoscere qualcosa senza possedere tale idoneità per averne assistenza, la voce perito passa a significare non tanto chi è fornito di tale idoneità quanto chi presta tale assistenza; e la voce perizia non significa solo la qualità del perito, ma altresì l'atto, in cui l'assistenza si concreta.
Il bisogno di tale assistenza si verifica in modo particolare nel processo, così civile come penale, così di cognizione come di esecuzione. In genere nel processo si fa applicazione delle norme giuridiche; a tal fine occorre conoscere da una parte le norme, dall'altra i fatti a cui devono essere applicate; ora non è difficile che coloro che operano nel processo, parti o ufficio giudiziario, non siano idonei da sé a tale compito. La politica del processo si svolge bensì nel senso di procurare che costoro possiedano nel maggior grado possibile tale idoneità; ma si capisce subito come questa possibilità sia molto limitata. Intanto dei due soggetti del processo, ufficio e parti, uno solo (il primo) può essere scelto a piacimento; le parti sono quello che sono, né l'idoneità all'opera che devono svolgere nel processo si può porre come un requisito della loro azione. Appunto per conseguire, entro certi limiti, tale idoneità, la legge stabilisce che, in massima, possano o debbano agire per mezzo o con l'assistenza del difensore (procuratore o avvocato); ora proprio il difensore non è altro, a sua volta, almeno in lato senso, che un perito. Comunque l'esperienza tanto dei difensori quanto degli uffiziali del processo e, in particolare, dei giudici non può essere illimitata; la loro preparazione specifica si volge alla conoscenza delle norme giuridiche, ma già il campo di queste, quando si tenga conto dell'imponente moltiplicazione delle leggi, dell'esistenza di norme giuridiche che non sono leggi (usi o consuetudini, comandi collettivi) e della rilevanza entro ciascun ordine giuridico statuale di norme giuridiche appartenenti a ordini diversi (norme straniere), è così sterminato, da non essere rara l'ipotesi della loro insufficienza perfino al compito di conoscere, di volta in volta, il diritto; quando poi si tenga conto della necessità di conoscere anche il fatto, al quale fine possono occorrere le più disparate esperienze (fisiche, chimiche, mediche, psicologiche, matematiche, meccaniche e via dicendo), è agevole comprendere come il bisogno di assistenza a tal fine sia frequente e grave. Ecco perché la figura del perito assume un particolare rilievo nel processo; e la voce relativa, che pur appartiene al linguaggio comune, acquista un significato preciso nel linguaggio giuridico e, in particolare, nel linguaggio processuale.
È opportuno avvertire subito che di codesta figura i veri lineamenti sono stati scoperti solo in tempi relativamente recenti quando (dapprima in Germania, poi, e certo ora con maggiore intensità, in Italia) i fenomeni del processo furono oggetto di una vera indagine scientifica. Una volta (cioè in Italia fino a una trentina d'anni fa e in Francia anche adesso), la figura del perito come assistente della parte restava nell'ombra; e quella del perito come assistente dell'ufficio e, in particolare, del giudice era collocata sotto una falsa luce, essendo il perito messo accanto al testimonio, come una persona da cui il giudice apprende o dovrebbe apprendere la verità sui fatti della causa. Tecnicamente ciò si esprime dicendo che il perito era considerato, come il testimonio una prova, e quindi un oggetto del processo, anziché un assistente, della parte o del giudice, e quindi un soggetto del processo: in verità mentre il testimonio viene osservato dal giudice, il perito osserva; tale differenza, anzi tale antitesi si fa palese quando il perito assiste il giudice proprio nell'assunzione del testimonio; perciò il perito (di ufficio) e non il testimonio viene scelto e nominato dal giudice.
Appunto il codice italiano di procedura civile, compilato quando a tale distinzione del perito dal testimonio, anzi a tale contrapposizione del perito al testimonio, la scienza non era giunta, regola la perizia insieme con le prove e in particolare con la testimonianza (art. 252), e il codice di procedura penale, coevo al codice di procedura civile, agli articoli 285, segg. dava un altro esemplare di questa falsa concezione. Come avviene sempre, l'errore teorico non poteva restare senza conseguenze pratiche. Il primo degl'inconvenienti, che ne derivano, consiste nel difetto di una netta separazione tra il perito giudiziale e il perito di parte; l'inconveniente, più che sul processo civile, al quale la perizia di parte, come si dirà, è ignota, pesava sul processo penale, dove, secondo il codice citato, i due tipi di perito, il cui compito è così diverso, erano messi sullo stesso piede. In secondo luogo abbassare il perito, anche giudiziale, al livello del testimonio voleva dire assegnargli una posizione in contrasto con la sua funzione: nella realtà il perito è il vero giudice delle questioni, per le quali è chiamato, ma fino a che lo si considera quale testimonio è un giudice senza garanzie e senza responsabilità. La gravità di tali inconvenienti nel processo penale si è fatta sentire, così che con la riforma del 1913 si è voluto porvi rimedio; ma il rimedio è consistito (art. 208 segg.) in una limitazione della perizia al periodo istruttorio e in una combinazione della perizia giudiziale con la perizia di parte, la quale non poteva dare buoni frutti, tanto che il codice di procedura penale del 1930 lo ha abbandonato in pieno ed è giunto, grazie a una visione teorica più progredita, specialmente in tema di scissione tra perizia di parte e perizia di ufficio, a una soluzione se non perfetta, certamente migliore (art. 314 segg.).
Secondo le idee esposte il perito può assistere sia la parte, sia l'ufficio.
Al perito di parte, nel processo civile, si dà il nome, poco felice, di perito stragiudiziale; tale nome si spiega riflettendo che, poiché l'intervento di questo assistente delle parti non è né previsto né disciplinato dalla vecchia legge italiana, esso si compie fuori dal giudizio (dal processo), nel quale è possibile solo far udire il parere del perito di parte presentando al giudice, a guisa di documento, la sua relazione scritta. Oggi invece, quanto al processo penale, il codice 1930, prendendo lo spunto dalle proposte per la riforma del processo civile presentate nel 1926 da una sottocommissione presieduta dal senatore Mortara, ha dato al perito di parte un congruo ordinamento e il nome di consulente tecnico (art. 323 segg.). Il perito di parte non ha altro ufficio né altra autorità che quella di difensore tecnico della parte, chiamato a integrare l'attività del difensore ordinario o principale, secondo i concetti sopra esposti. Perciò nel processo penale il consulente, a differenza dal perito giudiziale, non presta giuramento; anche la sua responsabilità penale è nettamente distinta da quella del perito giudiziale (cfr. gli articoli 373 e 380 del codice penale).
Il perito di ufficio si chiama per lo più perito giudiziale, tenendo presente l'ipotesi in cui presta il suo aiuto all'uffiziale giudicante (giudice); peraltro il campo della perizia è piu vasto che quello del processo di cognizione: valga l'esempio della perizia nel processo di espropriazione, mobiliare o immobiliare (cfr. articoli 623, 638, 643, 664 cod. proc. civ.). A differenza del perito di parte, il perito di ufficio assiste l'ufficio; perciò è nominato da questo, sebbene la scelta, nel processo civile, possa avvenire per accordo delle parti (art. 253 cod. proc. civ.); perciò ha il dovere della verità, messo in rilievo e garantito dal giuramento (art. 259 cap. cod. proc. civ.; art. 316 cod. proc. pen.); perciò non deve essere scelto tra quelle persone, la cui posizione possa rendere meno facile l'adempimento di codesto dovere (art. 254 cod. proc. civ.; art. 315 cod. pen.); e gli è minacciata, in caso d'inadempimento al dovere medesimo, una grave responsabilità penale (art. 373 cod. pen.).
L'assistenza alla parte o all'ufficio può essere affidata a una soltanto o a più persone; in questa seconda ipotesi può essere esercitata singolarmente o collegialmente. Una pluralità di perizie formata singolarmente è prevista dall'art. 269 cod. proc. civ. nel caso in cui il giudice, non trovando "nella relazione elementi sufficienti per la decisione della causa, disponga sulle stesse questioni una nuova perizia". La perizia collegiale è pure prevista dal cod. proc. civ., all'art. 252, dove si stabilisce che "la perizia è fatta da uno o da tre periti", e il suo regime è stabilito dall'art. 264. Una limitazione nel numero dei periti di parte si trova all'art. 323 cod. proc. pen.
La funzione del perito consiste pertanto nel compimento delle indagini per la soluzione di una o più questioni (quesiti; cfr. art. 316 cod. proc. pen.) della causa e nella formazione del parere relativo (cfr. art. 324 segg. cod. proc. pen. per il perito di parte; art. 259 segg. cod. proc. civ. e art. 317 segg. cod. proc. pen. per il perito di ufficio). Che il parere, anche del perito di ufficio, non sia vincolante per il giudice (cfr. art. 270 cod. proc. civ.) non è che una conseguenza logica della sua posizione di assistente, non di membro dell'ufficio.
Per lo più la questione sottoposta al perito è di fatto, perché per la soluzione delle questioni di diritto gli avvocati e i giudici hanno già la preparazione necessaria; non è esclusa però, quando si tratti in particolare di diritto straniero o consuetudinario, la perizia di diritto; sono, appunto, perizie giuridiche di parte i cosiddetti voti o pareri dei giureconsulti. Le indagini per la soluzione delle questioni di fatto talora si spingono alla stessa ispezione delle prove, alla quale attende o assiste il perito medesimo (esempio: intervento del medico settore nella necroscopia); tal'altra si limita alla valutazione delle prove; secondo che si verifichi l'una o l'altra ipotesi si parla di perito percipiente o di perito deducente. Un esemplare molto noto di perito percipiente e deducente è l'interprete (cfr. art. 212 cod. proc. civ.; art. 326 seg. cod. proc. pen.).
Il potere necessario all'esercizio di tale funzione ha per presupposto la nomina del perito, la quale è un atto, rispettivamente, della parte o dell'ufficio (cfr. art. 323 cod. proc. pen. per il perito di parte; art. 253 cod. proc. civ. e 314 cod. proc. pen. per il perito di ufficio); se si tratta di perito di ufficio, la nomina proviene sempre dall'ufficio, sebbene questo possa essere tenuto, nel processo civile, a seguire la scelta concorde delle parti (art. 253 cod. proc. civ.).
Dalla nomina, ch'è un atto unilaterale, della parte o dell'ufficio, deriva il potere, ma non l'obbligo del perito, il quale presuppone la sua accettazione della nomina (cfr. in particolare l'art. 260 cod. proc. civ.); la norma contenuta nell'art. 366 cod. pen., secondo la quale si punisce chi "nominato dall'autorità giudiziaria perito, interprete... ottiene con mezzi fraudolenti l'esenzione dall'obbligo di comparire o di prestare il suo ufficio" oppure "rifiuta di... prestare il giuramento richiesto ovvero di assumere o di adempiere le funzioni", sebbene sia in apparente antinomia con codesto principio, deve esservi coordinata e così intendersi nel senso che la pena colpisca non tanto chi sia stato nominato quanto chi abbia accettato o quanto meno non abbia rifiutato la nomina. Pertanto l'obbligo deriva da un contratto, di diritto privato o di diritto pubblico, secondo che si tratti di perito di parte o di ufficio. Tale contratto è oneroso anche rispetto al perito di ufficio, il quale ha diritto all'onorario (art. 267 cod. proc. civ.).
L'obbligo del perito è garantito dalla sua responsabilità civile (articolo 286 cod. proc. civ.), disciplinare (art. 321 cod. proc. pen.) e penale (articoli 366 e 373 cod. pen.).
Bibl.: G. Chiovenda, Principii di diritto processuale civile, 3ª ed., Napoli 1913, p. 837 segg., par. 64, e Istituzioni di diritto processuale civile, ivi 1934, II, n. 339, p. 431; F. Carnelutti, Lezioni di diritto processuale civile, Padova 1923, II, n. 174, e V, n. 477; V. Manzini, Trattato di diritto processuale penale italiano, III, Torino 1932, n. 322 seg., p. 284 seg.; E. Massari, Il processo penale nella nuova legislazione italiana, Napoli 1929, n. 149 seg., p. 360 seg.; F. Carnelutti, La prova civile, Roma 1915, n. 17 seg., p. 86 seg.; E. Florian, Prove penali, 2ª ed., Milano 1924, II, par. 24, n. 175, p. 322 seg.; F. G. L. Strippelmann, Die Sachverständigen im gerichtlichen und aussergerichtlichen Verfahren, Cassel 1858-59; M. Obermeyer, Die Lehre von den Sachverständigen im Civilprozess, Monaco 1880.