periferia
periferìa s. f. – La tradizionale nozione di p., legata da una parte alla collocazione fisica distante dal centro, dall’altra a condizioni di degrado ed emarginazione che spesso caratterizzano le aree di margine, si rivela oggi un concetto complesso e contradittorio, non più riconducibile a una definizione chiara ed univoca. Lo sprawl, la città diffusa o infinita, ovvero il dilatarsi territoriale del costruito, non solo residenziale ma anche dei luoghi di lavoro, di scambio commerciale e di svago, ha reso complesso qualsiasi tentativo di definizione e classificazione delle periferie. Non è più possibile individuare quegli elementi che caratterizzavano il modello urbano otto-novecentesco, rendendo riconoscibili le p.: una struttura urbana radiocentrica, in cui i valori fondiari decrescono a mano a mano che ci si allontana dal centro; la realizzazione di grandi programmi di edilizia economica e popolare; una chiara demarcazione tra ciò che è urbano e ciò che non lo è, tra costruito e territorio agricolo. Le aree ai margini della città si presentano oggi come tessuti variegati, generalmente privi di identità e di relazioni gerarchiche nell’organizzazione degli spazi, costituiti da frammenti di paesaggio agricolo, quartieri di villette monofamiliari, nuovi insediamenti terziari e residenziali in prossimità di infrastrutture (edge cities), aree degradate. Un concetto più articolato e flessibile di p. comprende, quindi, oggi infinite realtà di centralità e marginalità urbana, le cui caratteristiche sono sempre strettamente legate alle condizioni, alla storia e ai caratteri specifici della realtà urbane che le hanno prodotte e, quindi, difficilmente tipizzabili o riconducibili a modelli più o meno omogenei o a categorie interpretative comuni.