PÉREZ, Matteo detto Matteo da Lecce (Matteo d’Aleccio, Matteo de Alesio)
– Figlio di Antonio Pérez e di Madama Lucente – i nomi dei genitori sono tratti dal processetto matrimoniale relativo alle nozze di Matteo con Marìa de la Cadena y Fuentes, registrate a Lima nel 1590, (Lohmann Villena, 1940, p. 23) –, nacque probabilmente tra il 1545 e il 1550 ad Alezio, nell’entroterra di Gallipoli nel Salento.
La possibile data di nascita si deduce dall’aspetto dell’artista nel disegno di Jacopo Palma il Giovane (New York, Pierpont Morgan Library, inv. I, 74), che lo ritrae intorno ai venti anni, nel 1568, come recita l’iscrizione «Mateo de Leze pintor in /Roma nel 1568» (Mason Rinaldi, 1984, p. 161 tav. 1). Sempre sullo stesso foglio, vergato con un altro inchiostro, un appunto scritto successivamente, «qual morse poi nel Perù / compagno di Giacomo Palma car.mo», testimonia che Palma continuò ad intrattenere rapporti con Matteo anche dopo la sua partenza da Roma e fino alla sua morte.
Nell’unica monografia dedicata al pittore, Antonio Palesati e Nicoletta Lepri (1999) sostengono che Matteo era nato in Toscana, alla Leccia, un castello sotto la giurisdizione politica e amministrativa di Pomarance, nella diocesi di Volterra, figlio di un Piero o Pierantonio Gondi o Godi; in base a tale assunto, gli autori ipotizzano pertanto una precoce formazione tosco-romana dell’artista avvenuta nella bottega del Buonarroti legato da rapporti di amicizia con il nonno del pittore, Matteo di Piero Godi o Gondi (Palesati - Lepri, 1999, pp. 20 s.). Tale ricostruzione non trova però riscontro nelle testimonianze documentarie poiché il pittore è registrato a Roma nel 1573 tra gli iscritti all’Accademia di S. Luca come Matteo da Lecce; inoltre Carel Van Mander, suo più antico biografo, che riporta notizie acquisite di prima mano durante il suo soggiorno a Roma (1574-77), definisce Matteo «siciliano», intendendo con questo termine un’accezione più vasta, comprendente il Sud della Penisola (Van Mander, 1604, 1969, c. 193r).
Trasferitosi a Roma in data imprecisata, alla fine degli anni Sessanta Matteo risulta inserito nell’équipe di pittori e stuccatori attivi con Livio Agresti nella decorazione del piano nobile di villa d’Este a Tivoli: nei pagamenti per i lavori eseguiti il suo nome figura due volte, tra il giugno e il luglio del 1568 e tra l’aprile e il giugno dell’anno successivo (Coffin, 1960, pp. 39, 42).
Risale al 1574 l’incarico di rifare l’affresco di Luca Signorelli con la Disputa sul corpo di Mosè posto sulla parete d’ingresso della cappella Sistina e che era stato gravemente danneggiato nel 1522 dal crollo della porta (Van Mander, 1604, 1969, c. 193v).
Van Mander descrive l’affresco della Sistina come un’opera di collaborazione del pittore con Guidonio Guelfi del Borgo, anch’egli introdotto nell’entourage di Livio Agresti: «Tuttavia per dimostrare la sua valentia [di Guidonio] non conosco altro lavoro da citare all’infuori di quello eseguito nella cappella del papa, sopra la porta d’ingresso, là dove un siciliano, Matteo da Lecce, dipinse la storia della lotta fra l’angelo Michele e il demonio per il corpo di Mosè. I nudi dei demoni, le diverse loro carnagioni sono della mano di Matteo, ma l’angelo, che è dipinto in maniera degna, è di Guidonio» (Van Mander, 1604, cit. in Vaes, 1931, p. 344).
L’impresa decorativa più importante in cui Matteo fu coinvolto a Roma è il cantiere dell’oratorio del Gonfalone, attività per la quale sono documentati pagamenti in suo favore nel 1575 e nel 1576 (Van Mander, 1604, 1969, c. 193v; Baglione, 1642, 1995, p. 31; Oberhuber, 1958-1959, pp. 244 s.; Strinati, 1976, p. 21 n. 2). Del suo intervento rimangono gli affreschi con la monumentale figura del Re Salomone e il Profeta e la Sibilla alla parete sinistra.
Uno studio preliminare per gli affreschi – la figura dell’angelo che vola tra il profeta e la sibilla – è stato riconosciuto da Gere (1973) in un foglio conservato al British Museum (inv. 1971, 0515.1).
L’intervento di Matteo nell’oratorio includeva anche un Ecce Homo, da lui stesso distrutto e successivamente rifatto da Cesare Nebbia. L’episodio è narrato da Van Mander come la causa della fuga del pittore da Roma alla volta di Malta (Van Mander, 1604, 1969, c. 193v).
Il tempestoso rapporto del pittore con i confratelli del Gonfalone ebbe un prosieguo al suo rientro a Roma dopo il soggiorno maltese; in data 31 agosto 1581 risulta infatti annotata, nel Libro dei decreti della Compagnia, la richiesta di reintegro di Matteo, ma questo contatto non ebbe esito, essendo i lavori di decorazione pittorica dell’oratorio già ultimati a quella data (Vannugli, 1984, p. 163).
Nell’attività romana di Matteo è inserito da Van Mander anche il ciclo decorativo con paesaggi e grottesche della villa Mondragone a Frascati (Van Mander, 1604, 1969, c. 193v), proprietà del cardinale Marco Sittico Altemps. Il vasto intervento a fresco, che interessava le volte a padiglione di tre ambienti del primo piano nell’ala della villa detta Retirata, è stato tuttavia riferito da Rosalba Tardito, sulla traccia del registro dei pagamenti per i lavori effettuati nell’anno 1577 – in cui si fa riferimento a un pittore fiammingo o tedesco –, a Cornelius de Witte (Tardito, 1980, p. 115). Giovanni Baglione (1642, 1995, p. 32) inserisce nel catalogo del pittore anche la decorazione del catino absidale della chiesa romana di S. Eligio degli Orefici, con la Trinità in gloria tra angeli e Madonna col Bambino con i ss. Giovanni Battista, Lorenzo, Caterina d’Alessandria, Eligio, Stefano e Maria Maddalena; un’indicazione che ha avuto largo seguito (Titi, 1674, 1987, p. 63; Panciroli, 1697, p. 245; Posterla, 1707, p. 223; Muñoz, 1912, p. 4; Stasny, 1979, p. 781 n. 51; De Simoni, 1984, p. 59; Vannugli, 1984, pp. 163 s.; Strinati, 1992, p. 79), ma ricusata dallo studio di Pierluigi Leone de Castris (1994) che ha ricondotto i dipinti a Marco Pino (Leone de Castris, 1994). Quest’ultima attribuzione, generalmente accolta negli studi successivi (Angelini, 2000, p. 143 n. 90; Zezza, 2003, pp. 278 s.), non ha trovato il consenso di Cristina Acidini Luchinat (1998) che ha esteso l’intervento di Matteo anche ai Profeti delle pareti laterali all’abside.
Entro il 1577, dopo la distruzione dell’affresco nell’oratorio del Gonfalone, Matteo lasciò Roma e arrivò a Malta (Cini, 2009, p. 58); qui, nello stesso anno, ricevette l’importante incarico di decorare a fresco il salone degli Ambasciatori nel palazzo dei Cavalieri alla Valletta. Soggetto del ciclo decorativo, realizzato fra il 1577 e il 1581, era la commemorazione dell’importante vittoria dei cavalieri dell’Ordine di S. Giovanni sulla flotta turca di Solimano il Magnifico, che aveva stretto d’assedio l’isola nel maggio del 1565.
I dipinti, dipanati in dodici scene impaginate tra Virtù monumentali poste su plinti, raffigurano i momenti salienti dello scontro tra gli eserciti; grande attenzione è dedicata alla descrizione topografica dell’isola, resa con perizia da cartografo, all’abbigliamento esotico delle armate turche, alle armi dei soldati e all’allestimento degli accampamenti. Alcune delle personificazioni – la Vittoria, la Perseveranza, la Giustizia, la Prudenza – sono tratte da un medesimo cartone, messo in opera anche in controparte, e rimandano alla cultura romana tardo-manierista formulata nel ciclo dell’oratorio del Gonfalone.
Palesati e Lepri inseriscono nella produzione maltese del pittore anche un Battesimo di Cristo e un Cristo al Limbo, attualmente esposti nella sagrestia della cattedrale di S. Giovanni alla Valletta (Palesati - Lepri, 1999, pp. 78-81); le due opere, in assenza di dati documentali, si inseriscono con difficoltà nella produzione del pittore a causa dello stile.
Per Van Mander l’avventura maltese di Matteo si concluse con un arresto (Van Mander, 1604, 1969, c. 193v), ma è una notizia che non trova riscontro in altre fonti.
Il rientro di Matteo a Roma è documentato al 1581 (Schiavo, 1985; Vannugli, 1984, p. 163): il pittore è nominato nel libro dei verbali d’assemblea della Compagnia di S. Giuseppe di Terra Santa alla Rotonda in data 9 luglio (Schiavo, 1985), e vi viene citato di nuovo l’anno successivo, il 15 e il 18 febbraio. Baglione ricorda che, in quanto confratello, realizzò per la Rotonda «un tondo, dentro s. Giuseppe e Christo, a guazzo formati» (Baglione, 1642, 1995, p. 32).
Il secondo soggiorno romano dell’artista fu segnato da un’intensa attività calcografica: si occupò infatti della traduzione in 15 rami all’acquaforte degli affreschi realizzati a Malta che pubblicò nel 1582 in una raccolta intitolata I veri ritratti della guerra, & dell’assedio, & assalti dati alla isola di Malta dall’armata turchesca l’anno 1565.
L’epica battaglia navale godeva di grande fortuna ancora nella prima metà del Seicento, al punto che l’incisore Anton Francesco Lucini (Firenze 1610 – post 1661) diede alle stampe nel 1631 a Roma (presso Nicolò Allegri) una serie di acqueforti, costituita da 16 tavole, tratte dagli affreschi di Matteo e intitolata Disegni della guerra, assedio et assalti dati dall’armata turchesca all’Isola di Malta l’anno MDLXV.
Alla serie di incisioni di soggetto maltese vanno aggiunti un Trionfo di Cristo, di cui dà notizia Baglione (ibid.), e un Cristo deposto dalla Croce sostenuto da Angeli con s. Francesco (Leblanc, 1858).
La partenza da Roma del pittore e il suo arrivo a Siviglia si possono seguire attraverso la testimonianza di Francisco Pacheco, che riferisce notizie di prima mano acquisite dallo zio, suo omonimo, canonico della cattedrale di Siviglia. L’arrivo di Matteo a Siviglia viene fatto risalire da Pacheco al 1584 (Pacheco, 1649, 1956); tuttavia, dalle cedole di pagamento all’artista per la realizzazione dell’affresco con S. Cristoforo all’interno della cattedrale sivigliana – nelle quali il primo documento riguardante l’opera è un acconto di 30 ducati, datato 26 ottobre 1583 (Gestoso y Pérez, 1890) –, si può ipotizzare che Matteo si trasferì a Siviglia già sul finire dell’estate di quell’anno. L’affresco, sulla parete destra del cappellone, in prossimità dell’ingresso laterale, la cosiddetta porta del Cardinale, venne realizzato nel 1584, come testimoniato dall’epigrafe « Matthæus Perez de Alecio Italus faciebat, anno d[omi]ni MDLXXXIV».
Probabilmente durante il soggiorno sivigliano l’artista conobbe Pedro Pablo Morón, che sarebbe diventato suo collaboratore, e avrebbe deciso di intraprendere con il maestro l’avventuroso viaggio con la Carrera de Indias verso le colonie spagnole del Sudamerica (Stastny, 1970, pp. 9 s.).
Non si conosce l’anno del viaggio, ma il primo documento peruviano che riguarda Matteo è del 1590, quando egli si definisce «pittore di corte di Sua Signoria il Viceré» (Lohmann Villena, 1940, p. 22; Stastny, 1970, p. 10). La scelta di fermarsi a Lima fu dovuta alla grande fama che il Perù godeva come colonia più ricca dell’intero impero. L’incarico di viceré del Perù era il più ambito in tutta l’America spagnola, e il viceré spagnolo di quegli anni era il potentissimo Garcίa Hurtado de Mendoza, in carica dal 1589 al 1596 (Lohmann Villena, 1940, p. 22). Dei lavori eseguiti dal pittore a Lima rimangono solo pochissime testimonianze: la decorazione di cinque archi della navata della chiesa di S. Domingo, condotta tra il 1590 e il 1598, distrutta dal terremoto del 1746 (Meléndez, 1681-1682; De Mesa - Gisbert, 1972, p. 52), e la decorazione con le storie della Passione del Cristo della cappella Villegas nella chiesa della Merced, più volte ridipinte, al punto da renderne impossibile una corretta lettura (Bernales Ballestreros, 1974, p. 246).
Matteo morì a Lima entro il 1616, anno in cui Morón, nel redigere il proprio testamento, affermava che il suo maestro era già morto (De Mesa - Gisbert 1972, p. 56).
Fonti e Bibl.: C. van Mander, Het schilder boeck, (Haarlem 1604), rist. anast. Utrecht 1969, cc. 193r-v; G. Baglione, Le vite de’ pittori, scultori et architetti... (Roma 1642), a cura di J. Hess - H. Röttgen, II, Roma 1995, pp. 31 s.; F. Pacheco, Arte de la pintura (Sevilla 1649), a cura di F.J. Sánchez Cantón, II, Madrid 1956, p. 54; F. Titi, Studio di pittura, scoltura et architettura nelle chiese di Roma (Roma 1674-1763), ed. comparata a cura di B. Contardi - S. Romano, II, Firenze 1987, p. 63; J. Meléndez, Tesoros verdaderos de las Yndias. En la historia de la gran Provincia de San Iuan Bautista del Perù De el Orden de Predicadores, I, Roma 1681, p. 55, II, 1681, p. 48; [O. Panciroli], Descrizione di Roma moderna formata nuovamente…, Roma 1697, p. 245; F. Posterla, Roma sacra e moderna, Roma 1707, p. 223; Ch. Leblanc, Manuel de l’amateur d’estampes, III, Paris 1858, p. 169; J. Gestoso y Pérez, Ensayo de un diccionario de los artífices que florecieron en Sevilla desde el siglo XIII al XVIII inclusive, II, Sevilla 1890, pp. 492-494; A. Muñoz, La chiesa di S. Eligio in Roma e il suo recente restauro, in Rivista d’arte, VIII (1912), pp. 1-14; M. Vaes, Appunti di Carel Van Mander su vari pittori italiani, suoi contemporanei, in Roma, IX (1931), pp. 193-208 e 341-354; J. Hernández Dίaz, in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, Leipzig 1932, pp. 409 s., s. v. P. de Alesio, Mateo; G. Lohmann Villena, Noticias inéditas para ilustrar la historia de las bellas artes en Lima durante los siglos XVI y XVII, in Revista histórica (Lima), LXIII (1940), pp. 5-30; K. Oberhuber, Jacopo Bertoja im Oratorium von S. Lucia del Gonfalone in Rom, in Römische historische Mitteilungen, 1958-59, vol. 3, pp. 239-254; D.R. Coffin, The Villa d’Este at Tivoli, Princeton, N.J., 1960, pp. 39-42; F. Stastny, Perez de Alesio y la pintura del siglo XVI, Buenos Aires 1970; J. de Mesa - T. Gisbert, El pintor Mateo P., de Alesio, in Cuadernos de arte y arqueología, II (1972), pp. 51-106; J. Bernales Ballestreros, Mateo P. de Alesio, pintor romano en Sevilla y Lima, s. l., 1974, in Archivo hispalense, 1972, vol. 56, pp. 221-271; J. Gere, Drawings by M. Perez da Leccio, in Master drawings, XI (1973, pp. 150-154; C. Strinati, Marcantonio Del Forno nell’oratorio del Gonfalone a Roma, in Antichità viva, XV (1976), 3, pp. 14-22; F. Stastny, A note on two frescoes in the Sistine Chapel, in The Burlington Magazine, CXXI (1979), pp. 777-783; V. Melillo, M. Perez da Lecce: incisore in Roma, Roma 1980; R. Tardito, in Villa e paese. Dimore nobili del Tuscolo e di Marino (catal.), a cura di A.M. Tantillo Mignosi, Roma 1980, p. 115; J.A. Gere - Ph. Pouncey, Italian drawings in the Department of print and drawings in the British Museum. Artists working in Rome, c. 1550 to c. 1640, V, 1-2, London 1983, pp. 124-126; A. De Simoni, S. Eligio degli Orefici: fascino e memorie, Roma 1984, p. 59; S. Mason Rinaldi, Palma il Giovane. L’opera completa, Milano 1984, p. 161 tav. 1; A. Schiavo, La pontificia insigne Accademia artistica dei Virtuosi al Pantheon, Roma 1985, p. 14; A. Vannugli, in Oltre Raffaello: aspetti della cultura figurativa del Cinquecento romano (catal.), Roma 1984, passim; C. Strinati, L’oratorio del Gonfalone, in Conversazioni sotto la volta. La nuova volta della Cappella Sistina e il manierismo romano fino al 1550, a cura di A. Aletta, Roma 1992, pp. 77-85; P. Leone De Castris, Marco Pino: il ventennio oscuro, in Bollettino d’arte, s. 6, LXXIX (1994), 84-85, pp. 71-86; C. Acidini Luchinat, Taddeo e Federico Zuccari, fratelli pittori del Cinquecento, I, Milano 1998, p. 275; A. Palesati - N. Lepri, M. da Leccia. La vita e le opere, Pisa 1999; A. Angelini, Pompeo Cesura tra Roma e L’Aquila, in Prospettiva, 2000, nn. 98-99, pp. 104-144; N. Lepri, M. da Leccia e Vasari, in Bollettino d’informazione. Brigata Aretina degli Amici dei monumenti, XXXIV (2000), 71, pp. 21-29; L. Maiorano, M. Perez d’Aleccio. Pittore ufficiale del grande assedio di Malta, Napoli 2000; A. Zezza, Marco Pino. L’opera completa, Napoli 2003, pp. 278 s.; M. Guillaume, Un dessin de M. Perez d’Alesio?, in Arte, collezionismo, conservazione, 2004, pp. 239-242; C. Cini, The siege of Malta, 1565: M. Perez d’Aleccio’s frescoes in the Grand Master’s Palace, Sliema 2009.