PEREGRINI
. Come ci apprende Varrone (De lingua lat., V, 3), il nome di peregrinus aveva lo stesso significato di hostis e designava il cittadino di uno stato sovrano alleato con Roma e protetto da un foedus o da un hospitium; continuò ad esprimere questo concetto, anche quando poi si mutò il significato di hostis (Cic., De off., I, 12, 37; Dig., L, 16, de verb. sign., 234, fr.). Al principio dell'età imperiale può dirsi che con il nome di peregrini si designassero in genere gli abitanti liberi dell'impero che non fossero né Romani né Latini.
Fonte di questa condizione è in primo luogo la nascita. Secondo il principio romano, ove fra i genitori vi fosse il connubium, il figlio seguiva la condizione del padre: se invece il connubium mancava, seguiva la condizione della madre. Una lex Minicia (Gaio, I, 78) stabilì l'eccezione che se un peregrino sine connubio si univa con una cittadina romana, il figlio che nasceva dovesse essere peregrino. Altra fonte è l'annessione, la quale può avvenire sia in seguito ad aperta conquista, sia in forza di trattati di sottomissione, che fanno rientrare sotto l'autorità di Roma le popolazioni sottomesse, senza concedere loro la cittadinanza e senza ridurle in schiavitù. Terza fonte è la perdita della cittadinanza romana, sia in seguito a condanna penale, sia in seguito a una decisione (in pratica rara) che priva della avitas persone singole o intere comunità.
La condizione giuridica generale dei peregrini è regolata dalla lex provinciae e si possono avere di conseguenza variazioni notevoli fra l'una e l'altra regione. Nei riguardi del diritto privato romano, i peregrini non hanno né connubium né commercium: di conseguenza sono esclusi dall'esercizio dei diritti proprî dei cittadini romani e non possono usare le forme della procedura delle legis actiones. Qualche rara legge romana viene però applicata espressamente anche ad essi. Nei rapporti fra loro i peregrini usano in massima il proprio diritto nazionale, nella misura in cui è stato loro lasciato dai Romani; dell'uso di tale diritto abbiamo numerosi esempî nelle fonti giuridiche e più ancora nei documenti papirologici ed epigrafici e nelle fonti letterarie. Tale diritto si può dire però quasi inapplicabile fra peregrini appartenenti a differenti nazionalità e nei rapporti fra peregrini e cittadini romani: assolutamente inapplicabile poi fra i peregrini senza cittadinanza. Lo ius gentium è invece accessibile a tutti i peregrini e serve sia nei rapporti fra loro, sia nei loro rapporti con i cittadini romani; introdotto progressivamente per servire da diritto comune ai componenti dell'impero, viene apprestando tutto un sistema d'istituti necessario per la complessa vita commerciale dell'impero romano.
I peregrini possono, oltre che sottoporre le loro questioni ai proprî tribunali, ottenere il riconoscimento dei diritti loro concessi davanti a tribunali romani. Probabilmente si tratta di diritto antico, riconosciuto dagli antichi trattati di Roma con l'estero, nei quali doveva essere prescritto di ricorrere in caso di questioni fra privati all'opera di arbitri (recuperatores, cfr. Festo s. v. reciperatio). Nel 242 a. C. fu istituito un praetor speciale (praetor peregrinus) appunto per i rapporti controversi fra Romani e peregrini e dei peregrini fra loro. Nella procedura formulare possono far valere i loro diritti a mezzo delle formulae, ma le formulae erano redatte in forma speciale. Nella procedura extra ordinem non vi è nessuna differenza fra essi e i Romani.
Per quanto riguarda invece il diritto pubblico, i peregrini non partecipano ad alcuno dei diritti politici. Ordinariamente non fanno parte di nessuna tribù e non hanno i tre nomi, ma soltanto un cognomen seguito dal nome del padre al genitivo. Sotto la repubblica non sono costretti al servizio militare, salvo in casi di leve straordinarie. Sotto l'impero prestano servizio o nelle legioni (e allora assai spesso acquistano la cittadinanza) o in corpi speciali ausiliarî.
Per quanto riguarda il diritto criminale, hanno giudici proprî, salvo per i crimini più gravi, per i quali siedono giudici cittadini romani o giudici misti peregrini e romani, scelti attraverso un complicato sistema di estrazione e di ricusazione. Le orazioni di Cicerone, e più ancora gli editti di Augusto scoperti a Cirene, ci forniscono esempî di ciò. Questi ultimi anzi ci mostrano la tendenza che sempre più si afferma nell'impero di concedere nuovi diritti e riconoscimenti ai peregrini sudditi di Roma.
Nel 212 Caracalla concede la cittadinanza a quasi tutti i sudditi dell'impero, esclusi - come sembra - i peregrini dediticii (si discute ancora sulla portata di questo editto; v. caracalla: L'editto di Caracalla; dediticii). All'epoca di Giustiniano sembrano essere considerati peregrini soltanto i condannati a pene che importano la perdita della cittadinanza e alcuni barbari stabiliti nei distretti di frontiera.
Bibl.: Th. Mommsen, Droit public, VI, ii, Parigi 1889, pp. 351-406; J. Humbert-Ch. Lecrivain, in Daremberg e Saglio, Dictionn. des antiquités, IV, i, p. 389 segg.; P. F. Girard, Manuel de droit romain, 8ª ed. curata da F. Senn, Parigi 1929, p. 123 segg. Per ciò che concerne l'editto di Caracalla, alla bibliografia indicata sotto la voce caracalla aggiungere: E. Schönbauer, in Zeitschr. der Sav.-St. f. Rechtsg. (r. Abt.), LI (1931), p. 298 segg.; J. Stroux, in Philologus, LXXXIII (1933), p. 272 segg.