perdere
Come il latino perdere, il verbo ha in D. il significato primario di " mandare in rovina ", " corrompere ", nel senso spirituale di " dannare ", ravvisabile sotto il velo della metafora realistica, nella predizione ai superbi che si avvicinano alla morte (O miseri e vili che con le vele alte correte a questo porto, e là ove dovereste riposare, per lo impeto del vento rompete, e perdete voi medesimi là dove tanto camminato avete, Cv IV XXVIII 7; cfr. per la costruzione Cic. Fin. I XV 49 ‛ se ipsum perdere '), e reso esplicito in Fiore XCIV 10 e' sarebbe troppo gran dolore / se ciaschedun su' anima perdesse, / perché vestisse drappo di colore. Così in Cv II V 12 Dico che di tutti questi ordini si perderono [" peccarono ", " si dannarono "] alquanti tosto che furono creati.
Si richiamano a quest'accezione quei participi passati, anche in funzione attributiva o predicativa, che equivalgono appunto a " dannato ": per me si va tra la perduta gente (If III 3): " Dice perduta ", chiosa il Boccaccio, " perciocché alcuna potenza di bene adoperare non è in loro: e questi cotali meritamente si possono dir perduti "; " scilicet damnatorum ", precisa Benvenuto; le perdute genti (Pg XXX 138, e v. Fiore CXXXVI 5 dove peraltro p. sembra appartenere a una forma passiva); Per tai difetti, non per altro rio, / semo perduti (IV 41); per ch'io là dove vedi son perduto (XXVII 128).
Ma molto più diffuso, con varie coloriture semantiche e in contesti propri o figurati, è nel verbo il significato di " rimanere privo " di qualche cosa, connesso di solito, ma non necessariamente, con l'idea che la privazione stessa sia irreparabile. Così Maometto, tra i seminatori di scandali e scismi, si presenta spaccato e rotto nel corpo più di quanto non appaia una botte per mezzul perdere o lulla (If XXVIII 22). In altro campo semantico e con sottinteso riferimento alla colpa originale, le delizie dell'Eden, di cui Eva privò sé stessa, sono designate dalla formula quantunque perdeo l'antica matre (Pg XXX 52); ancora diverso è il caso di un fiume che, a seconda delle abbondanti o scarse piogge, acquista e perde lena (XXVIII 123). Tipici poi alcuni moduli come ‛ p. tutto ' (Fiore CCXIII 2), ‛ non p. nulla ' (LIX 2).
In un solo caso p. regge una proposizione dipendente: Non per far, ma per non fare ho perduto / a veder l'alto Sol che tu disiri (Pg VII 25: chiaro il rimando ai vv. 7-8).
Nelle altre occorrenze, come transitivo, in relazione ai complementi diretti, p. dà luogo alle seguenti principali espressioni:
1. P. un membro, una parte del corpo: un ch'avea perduti ambo li orecchi / per la freddura (If XXXII 52). Sulla stessa linea, ma con oggetto duplice, Fiore CXLV 14 tu sì non perderai aver né membra. A questi luoghi accosteremo per analogia Cv IV XIII 11, donde si risale indirettamente a un ‛ p. la persona ' sinonimo di " morire ", e Fiore II 2, dove figura del molto sangue ch'io avea perduto; e per estensione Pd XVIII 30 l'albero che vive de la cima / e frutta sempre e mai non perde foglia.
2. P. la vista, o l'ardire, o altra facoltà sia fisica che spirituale, con esiti espressivi talora legati alla tematica psicologico-amorosa, come in Vn VII 5 13 Or ho perduta tutta mia baldanza (nell'esplicazione: dico che io hoe ciò perduto, § 7); XV 2 a costui rispondea un altro, umile, pensero, e dicea: " S'io non perdessi le mie vertudi, e fossi libero tanto che io le potessi rispondere, io le direi che... "; XIX 5 7 Amor sì dolce mi si fa sentire, / che s'io allora non perdessi ardire, / farei parlando innamorar la gente (cfr. § 16 com'io direi s'io non perdessi l'ardimento). Ma v. anche If I 54 io perdei la speranza de l'altezza; XIII 63 fede portai al glorïoso offizio, / tanto ch'i' ne perde' li sonni e ' polsi (per Benvenuto: " idest cum tanta diligentia et vigilantia, quod perdebam quietem et sanitatem "; per il Buti: " Cioè la vita che sta nel sangue che è nelle vene e nelli spiriti vitali, che sono nell'arterie che si manifestano per li polsi "; per il Tommaseo, più sottilmente: " prima la pace poscia la vita "); Pg V 100 Quivi perdei la vista e la parola; / nel nome di Maria fini', e quivi / caddi: ‛ perder la vista e la parola ' vuol dire, secondo una formula comune, " perdere i sensi, morire " (v. la nota del Barbi, in " Studi d. " XVIII [1934] 37, e Petrocchi, ad l.); ma per il Bosco, che segue l'interpunzione Quivi perdei la vista, e la parola / nel nome di Maria. fini', " questo è uno dei non rari casi in cui la filologia ha torto, e ragione il senso nativo della poesia. Dante ha poeticamente scisso l'espressione usuale, per segnare tre gradi della morte: il velarsi della vista; lo spegnersi della parola; il cadere " (D. vicino, Caltanissetta-Roma 1966, 142). Da notare che perder la vita come equivalente di " morire " è solo in Rime LXXXVII 21. Si vedano ancora Pg XVII 119 chi podere, grazia, onore e fama / teme di perder perch'altri sormonti (cfr. il perder viver tra coloro / che questo tempo chiameranno antico, di Pd XVII 119, spostato dal contesto al valore di ‛ p. fama, gloria, onore '); Fiore XX 4 di gioia perde ' quasi la favella; e ancora Pg XIII 152 e 154, Pd IV 105, Fiore CXVI 10, CCXI 12.
Altri esempi si riferiscono alla perdita di una condizione o stato: come avesse perduto segnoria (Vn IX 10 6); sua perfezione non perde (Cv IV XIII 9); di una qualifica: non volendo perdere lo nome di gentilezza (IV III 7, e v. III XIII 10); di una corrispondenza affettiva da parte di altri: guarda di far cosa che mi spiaccia, / che tu ne perderesti ogne mio amore (Fiore XX 11, e per estensione Rime dubbie XXVIII 8).
Un uso particolare in If III 18, dove le genti dolorose / c'hanno perduto il ben de l'intelletto sono i peccatori dell'Inferno, eternamente privati di Dio, " obiecto dello intelletto " (Ottimo); ma si tenga presente la più analitica glossa di Benvenuto: " bonum quod est intellectus, quasi dicat: perdiderunt intellectum, qui est illud magnum bonum, per quod homo differt a brutis, et similatur Deo, quod est ipsum summum bonum ".
3. P. una o più persone, p. ‛ la compagnia ' di qualcuno per lontananza o per morte: li spiriti che piangon tuttavia, / però che perdon la lor compagnia (Rime LXVII 42: gli spiriti, personificati, piangono la perdita dell'anima, loro compagna e principio vitale); là 'v' è alcun che perder lei [Beatrice] s'attende (Vn XIX 8 26, e cfr. i passi di XL 10 12 e Cv II XII 1 allusivi alla morte della donna); Eaco... avendo per pestilenza di corrompimento d'aere quasi tutto lo popolo perduto (Cv IV XXVII 17); Dopo la dolorosa rotta, quando / Carlo Magno perdé la santa gesta (If XXXI 17: si allude alla rotta di Roncisvalle e alla morte dei paladini; affine, per l'inflessione guerresca, il luogo di Cv IV V 19).
Più complesso il caso di Pg XVII 37 e 38, caratterizzato dalla ripetizione del vocabolo con sfumature diverse: Ancisa t'hai per non perder Lavina; / or m'hai perduta: la regina Amata, nel timore che la figlia Lavinia, promessa a Turno, andasse sposa all'odiato Enea (che era un ‛ perderla ', un vederla svanire dal campo dei suoi affetti e interessi materni) si era uccisa, perdendola così veramente e per sempre. La pregnanza della frase (che tra l'altro s'inserisce in una situazione nuova rispetto al testo virgiliano) è già colta dall'Ottimo: " Hai perduta te dicendo ch'io era perduta ". Anche altrove il vocabolo s'intensifica in una duplicazione implicita all'interno di un medesimo tratto narrativo: Tu mi fai rimenbrar dove e qual era / Proserpina nel tempo che perdette / la madre lei, ed ella primavera (Pg XXVIII 50): Proserpina è qui rievocata nell'istante in cui, rapita agl'Inferi da Plutone; lascia il bosco fiorito di Enna, il " perpetuum ver " (Ovid. Met. V 391) o, come altri vuole, i fiori raccolti che le cadono dal grembo (" Collecti flores tunicis cecidere remissis ", v. 399) sì che a sua volta la madre Cerere rimane orbata di lei.
Non lontane dalle attestazioni ora illustrate quelle che richiedono al verbo il significato di ‛ p. di vista ' e quindi " non veder più ". Tra di esse va posto per alcuni interpreti Pd III 12 acque nitide e tranquille, / non sì profonde che i fondi sien persi, dove persi può valere appunto " perduti " alla vista: " idest perditi, quia tunc non appareret imago respicientis in aqua ", chiosa Benvenuto; " perduti " il Buti, " perduti da la veduta " il Vellutello e così molti altri; ma sin dal Buti si ammetteva l'alternativa esegetica " neri " (v. PERSO), che il Landino decisamente preferisce. Il Tommaseo porta alla spiegazione " persi di vista " il sostegno dei vv. 124-125 del canto (La vista mia, che tanto lei seguio / quanto possibil fu, poi che la perse, ecc.), riferiti a Piccarda che vanisce agli occhi di D. come per acqua cupa cosa grave. I moderni commentatori accennano alle due possibili interpretazioni notando in genere che qualunque di esse si accetti il significato sostanziale dell'immagine resta invariato.
Nell'area di un parlar figurato il valore " p. di vista " spetta al luogo in cui D., affrontando l'arduo tema del Paradiso, diffida i navigatori inesperti dal mettersi in pelago dietro il suo legno: forse / perdendo me, rimarreste smarriti (II 6). Allo stesso modo pare debba intendersi l'interrogativa di Rime dubbie VII 16 Dico che tutti si dolien per lei, / dicendo: " Dove perderem costei? ": i congiunti della donna si rammaricano al pensiero che ella si prepari a un lontano essilio (v. 10) per recarsi dall'amante (si nota una certa analogia col già citato esempio di Pg XVII 37).
In altra occasione p. serve a designare sotto un profilo astronomico l'Europa, il paese che non perde / le sette stelle gelide unquemai (Rime C 28), il paese cioè sul quale brillano, sempre visibili, le sette stelle dell'Orsa Maggiore. Va considerato qui per ovvie ragioni il passo di Rime XCI 79 quel tempo che spesso mi pugne, / che dura da ch'io perdo la sua vista / in fino al tempo ch'ella si racquista, dove l'esplicita menzione dell'oggetto vista restituisce al verbo il semplice significato di " restar privo ".
4. ‛ P. la patria ' o comunque ‛ un luogo ' per esserne esiliato, o per altre ragioni: O consolazione de le cose e de la patria perduta (Cv III XI 16), che si connette al mito di Isifile (v.) e traduce un verso di Stazio: " o rerum et patriae solamen ademptae " (Theb. V 609); se loco m'è tolto più caro, / io non perdessi li altri per miei carmi (Pd XVII 111: nonostante la rispondenza m'è tolto-perdessi il senso è forse qui più sottile, quasi: " io non restassi privo della possibilità di trovar rifugio in altri luoghi "). Assimilabile ai precedenti, per quanto di altra natura, è l'esempio di If XIX 96, dove il loco che perdé l'anima ria è il posto lasciato vuoto tra gli Apostoli da Giuda suicida; cfr. Act. Ap. 1, 24-25 " Tu, Domine... ostende quem elegeris ex his duobus unum accipere locum ministerii huius et apostolatus, de quo praevaricatus est Iudas, ut abiret in locum suum ".
5. ‛ P. l'avere, i beni, il danaro ': traducendo Cicerone (Par. I 6) l'autore del Convivio ricorda coloro che si tormentano non solo per desiderio d'accrescere quelle cose che hanno, ma anche ne la paura di perdere quelle (Cv IV XII 6: " amittendi metu " nel corrispondente passo latino); e ancora: paura... non pur di perder l'avere (IV XIII 11, e si ricordi il citato luogo di Fiore CXLV 14); perde la grana (Detto 104). L'accezione si estende all'ellittico passo di If I 56 E qual è quei che volontieri acquista, / e giugne 'l tempo che perder lo face, sia che in quei debba riconoscersi, secondo la tradizionale esegesi, un avaro, oppure, come vuole il Contini (Filologia ed esegesi dantesca, in Varianti e altra linguistica, Torino 1970, 429), un giocatore.
6. ‛ P. una prova ', per " restar soccombente " (v. per contrasto vincerò la prova [If VIII 122]), e ugualmente p. in un gioco, in una lite, anche assolutamente: ma poscia perdo tutte le mie prove (Rime LXV 8); la parte che perdea (Cv II VII 2); e parve di costoro / quelli che vince, non colui che perde (If XV 124); Quando si parte il gioco de la zara, / colui che perde si riman dolente (Pg VI 2). A una paventata sconfitta della speranza nella metaforica battaglia contro le avversità d'amore si riferisce un passo delle Rime: Ond'io conforto sempre mia speranza, / la qual è stata tanto combattuta, / che sarebbe perduta / se non fosse che Amore... (LVII 11); ma la presenza del verbo ‛ essere ' mette in questo caso in risalto la funzione predicativa del participio passato, riconducendoci al sintagma ‛ esser perduto ' come " non aver più scampo ".
7. In espressioni quali ‛ p. tempo ', il verbo vale " sciupare ", " sprecare ": colui che, aspettando, il tempo perde (Rime dubbie V 12); perder tempo a chi più sa più spiace (Pg III 78); Io era ben del suo ammonir uso / pur di non perder tempo (XII 86; v. anche XXIV 92). Al participio passato in posizione predicativa: " Alcun compenso ", / dissi lui, " trova che 'l tempo non passi / perduto " (If XI 15).
Di tipo analogo non perder l'ora (If XIII 80), che vale " non lasciarsi sfuggire il momento opportuno ". Il senso di " sciupare " persiste in Pg XXIII 3 chi dietro a li uccellin sua vita perde (dov'è presente una connotazione temporale), e in Fiore LXXII 11 pena perduta seria in le' guardare (che è privo di una constatabile connessione con l'idea del tempo). Così, in altro campo concettuale, " sprecato " perché inutile è il maladetto... perduto pane (Rime CVI 80) che ha nutrito l'avaro, e " sprecato " è tutto ciò che la donna non toglie all'amante: ch'egli è perduto tutto il rimanente (Fiore CLXVIII 11).
8. ‛ P. qualcosa ' può anche significare " non ricevere " ciò che si sperava o di cui ci si credeva meritevoli ":. i' ho perduto questo [di ottenere la pietà della donna], ond'io son morto (Rime dubbie XXVII 14); se 'n questo mondo io l'ho perduto [il trebuto, la ricompensa dovuta al suo servire: v. il verso successivo], / Amor ne l'altro men darà trebuto (Rime LXVIII 41); Così fosse piaciuto a Dio che quello che addomandò lo Provenzale fosse stato, che chi non è reda de la bontade perdesse lo retaggio de l'avere (Cv IV XI 10); Io son Virgilio; e per null'altro rio / lo ciel [il Paradiso, la salvezza eterna] perdei che per non aver fe' (Pg VII 8).
Alcune occorrenze, infine, abbisognano di particolari delucidazioni: Già eran li due capi un divenuti, / quando n'apparver due figure miste / in una faccia, ov'eran due perduti (If XXV 72): nella bolgia dei ladri, dalla fusione di Agnolo Brunelleschi, che ha aspetto umano, con Cianfa, che ha aspetto di serpente, nasce una figura ‛ mista ' in cui sono smarrite, non sono cioè più ravvisabili, le sembianze dell'uno e dell'altro (cfr. Ovid. Met. IV 373-375); l'un di voi dica / dove, per lui, perduto a morir gissi (If XXVI 84): qui p. è termine tecnico, comune nei romanzi del ciclo brettone, per designare i cavalieri che " postisi in avventure, entrati nelle foreste, non hanno dato sentore di sé, e si temono o credono morti " (P. Rajna, in " Nuova Antologia " 1° giugno 1920, 224; cfr. anche " Studi d. " II [1920] 162); e Pagliaro, Ulisse 401 e n. 16); Noi andavam per lo solingo piano / com'om che torna a la perduta strada, / che 'nfino ad essa li pare ire invano (Pg I 119): perduta, strada (dove il participio ha valore aggettivale) corrisponde alla diritta via... smarrita dal pellegrino (If I 3), secondo il ‛ topos ' diffusissimo in area classica, scritturale e romanza, che assimilava la buona condotta morale dell'uomo al cammino per una retta via: e si noti che perduta attenua il suo grado semantico proprio per il parallelismo con smarrita, che " indica per solito in Dante evento temporaneo " (F. Mazzoni, Saggio di un nuovo commento alla D.C., Firenze 1967, 32-45); la gente che perdé lerusalemme (Pg XXIII 29), gli Ebrei, che per fame furono costretti a cedere Gerusalemme a Tito (per un senso simile, ma in altro costrutto, v. Fiore XXIX 10); quand'i' fui sì presso di lor fatto, / che l'obietto comun, che 'l senso inganna, / non perdea per distanza alcun suo atto (Pg XXIX 48): l'oggetto offerto ai sensi (i sette candelabri avanzanti alla testa della processione edenica), per la diminuita distanza dall'osservatore, esercitava in modo compiuto la sua operazione nei confronti dell'occhio, e veniva distintamente veduto; altri, invece, intende che l'oggetto manifestava con chiarezza tutte le sue particolarità e qualità; la terra che perde ombra (Pg XXX 89) è la zona tropicale o equatoriale, " la regione meridionale nella quale el sole fa poca ombra " (Landino), in particolare l'Africa, " della quale alcune regioni tra i due tropici sono al mezzodì sottoposte perpendicolarmente al sole, onde i corpi non gettan ombra " (Tommaseo): come si vede, il senso varia, secondo gl'interpreti, da " aver meno " ombra rispetto alle altre terre a " non averne affatto ": quest'ultima spiegazione è preferita in genere dai commentatori più antichi (Lana, Ottimo, Benvenuto, Buti, Anonimo); Pietro ricorda in proposito un luogo di Lucano: " calida medius mihi cognitus axis / Aegypto atque umbras numquam flectente Syene " (II 586-587; v. anche IX 528-530); 'l mezzo del cielo, a noi profondo, / comincia a farsi tal, ch'alcuna stella / perde il parere infino a questo fondo (Pd XXX 6): al sopravvenire dell'alba le stelle meno luminose cessano di essere visibili; Ma perché tanto sovra mia veduta / vostra parola disïata vola, / che più la perde quanto più s'aiuta? (Pg XXXIII 84): la parola di Beatrice eccede le capacità intellettuali di D., il quale, nonostante i suoi sforzi, non riesce ad afferrarla, a penetrarne il senso.
In unione con la particella ‛ si ' p. può avere significato passivo: La quale equitade per due cagioni si può perdere (Cv IV IX 8); Veramente così questo cammino si perde per errore come le strade de la terra (IV XII 18); Ratto, ratto, che 'l tempo non si perda / per poco amor (Pg XVIII 103), e v. Rime CVI 81, Pg III 133; oppure dà luogo a un costrutto intransitivo pronominale, col senso preminente di " svanire ", " venir meno ": quando si perde lo color ne l'erba (Rime CI 3); lo frumento [quando l'erba lo copre] non pare, e perdesi lo frutto finalmente (Cv IV VII 3): qui " non è visto " e resta perciò inutilizzato, come la vera oppinione, sopraffatta dalla mala oppinione, si nasconde e quasi sepulta si perde (§ 3); Togliea la coda fessa la figura / che si perdeva là (If XXV 110): nel corso di una delle metamorfosi cui sono soggetti i ladri la coda di un serpentello acceso (il dannato Francesco Cavalcanti che va assumendo sembianze di uomo), spaccandosi in due, assume la figura delle gambe umane che intanto vien meno in Buoso Donati, a sua volta in via di diventar serpente; così al vento ne le foglie levi / si perdea la sentenza di Sibilla (Pd XXXIII 66): il disperdersi delle foglie nell'antro della Sibilla rendeva inintelligibile il responso ad esse consegnato; da la parte ond'e' s'accende / nulla sen perde, ed esso dura poco (XV 18): nessuna stella scompare da quella parte del cielo donde si muove una stella cadente. Analoghe le occorrenze in Cv III XII 10, Pg XIX 122.
In Pd IV 142 vinta, mia virtute diè le reni, / e quasi mi perdei con li occhi chini, l'espressione verbale indica lo smarrimento, il venir meno di D. dinanzi allo sguardo folgorante di Beatrice.