FIESCHI, Percivalle
Figlio di Tedisio e di una Simona forse appartenente alla casata genovese dei Camilla, nacque probabilmente a Genova, nella prima metà del sec. XIII dal ramo dei conti di Lavagna. È ricordato per la prima volta in un documento del 5 giugno 1248, col quale il papa Innocenzo IV, che era suo zio, lo autorizzò a mantenere dignità e benefici ecclesiastici di diversa specie, benché fosse già canonico di Bayeux. Entrò a far parte del capitolo della cattedrale genovese di S. Lorenzo, forse proprio dal 1255, anno in cui, il 14 dicembre, fu presente all'atto con cui l'arcivescovo di Genova riconfermò ai canonici il diritto di riscuotere le decime sulle merci trasportate dalle navi provenienti dalla Sardegna e dalla Provenza. Come canonico di Parma compare in un documento del 24 dic. 1261con cui Guala, legato papale in Tuscia, lo incaricava di assolvere da ogni sanzione spirituale Niccolò Fieschi, suo fratello, che a suo tempo era stato scomunicato, perché aveva appoggiato Manfredi di Svevia. La collazione di prebende e canonicati sembra aver caratterizzato la carriera ecclesiastica del F., che poté del resto godere sia della protezione di Innocenzo IV sia di quella del fratello card. Ottobono. Dal 1263 egli fu cappellano di Urbano IV; divenne quindi anche canonico di Lincoln, forse dopo la fortunata missione diplomatica svolta in Inghilterra appunto dal card. Ottobono. In Inghilterra ottenne inoltre l'arcidiaconato "de Bekingamia" ed un canonicato a York. A ciò si aggiunsero in seguito altri privilegi, tanto che corse voce che egli fosse il più ricco prelato del mondo.
In seguito fu poi chiamato a svolgere il ruolo di intermediario tra Urbano IV, favorevole al progetto angioino di conquista dell'Italia meridionale, ed il card. Ottobono che, come capo della famiglia Fieschi, si acconciò solo dopo lunghe esitazioni a schierarsi dalla parte di Carlo d'Angiò. Con ogni probabilità il F. in quegli anni risiedeva a Parigi. A lui si rivolse nel 1263 il papa quando, per ottenere i finanziamenti necessari alla spedizione angioina, decise di far pressione sulle ditte fiorentine che operavano in Francia. Infatti, quel pontefice incaricò il F. e l'abate di S.te Geneviève di assolvere dalla scomunica da cui era stata colpita la loro città per aver aiutato Manfredi i mercanti fiorentini che avessero fatto atto di sottomissione alla Chiesa. Il timore di vedere colpiti i fiorenti traffici commerciali e finanziari con la Francia indusse ben 146 soci di case bancarie fiorentine a promettere obbedienza entro due anni. Durante il soggiorno a Parigi, che si prolungò sino al 1264, il F. fu incaricato di provvedere con prebende ai chierici segnalati dal papa.
Dopo il trionfo angioino il F. fece ritorno in Italia, diventando uno dei più fidati consiglieri di Carlo. Nel 1270 il card. Ottobono, fondando la chiesa di S. Adriano di Trigoso, ne affidò il giuspatronato al F. ed ai figli di altri due suoi fratelli, Niccolò e Federico (26 aprile). Sempre nel 1270 il F. fu uno dei due candidati alla cattedra arcivescovile di Ravenna, ma la cosa non ebbe seguito.
Alla morte dell'arcivescovo di Ravenna Filippo da Pistoia (settembre 1270), benché il papa Clemente IV avesse precedentemente avocato alla S. Sede la scelta del nuovo presule ravennate, il capitolo della cattedrale decise di procedere autonomamente. Il numero più consistente dei suffragi del capitolo confluì sull'arcidiacono bolognese Ruggero Ubaldini, mentre solo una minoranza si espresse per il Fieschi. Le due parti non riuscirono ad accordarsi, e la situazione di stallo si prolungò fino al 1275, allorché Gregorio X dichiarò nulla l'elezione ed avocò alla S. Sede la scelta del nuovo arcivescovo di Ravenna. La decisione fu comunicata al F. il 4 settembre di quello stesso anno: il prescelto fu, tuttavia, un membro del ramo parmense della famiglia Fieschi, Bonifacio.
Nel 1273, prima del febbraio, il F. fu al fianco del card. Ottobono, quando questi si incontrò a Ceprano con Carlo d'Angiò e col re Edoardo d'Inghilterra, reduce dalla crociata. Nel maggio seguente era di nuovo a Genova, dove provvide alla nomina del rettore della chiesa di S. Maria Maddalena, secondo l'incarico in precedenza ricevuto. Fu poi a Firenze, accompagnando nel giugno Gregorio X e i cardinali, tra cui si trovava lo stesso Ottobono, diretti al concilio di Lione, e, nell'occasione, si adoperò con essi per un accordo tra le parti in lotta nella città. Fu probabilmente allora che il F. ebbe modo di conoscere a fondo la situazione politica fiorentina e toscana, su cui sarà in seguito chiamato ad agire.
Nel settembre del 1274 morì a Genova l'arcivescovo Gualtieri da Vezzano: il F. si presentò come il più autorevole candidato alla cattedra genovese. Tuttavia, poiché egli risultava compromesso con la politica angioina, contro la quale il Comune genovese aveva a lungo lottato, scarse apparivano le possibilità di una sua affermazione. Gregorio X convocò presso di sé, a Beaucaire, i canonici del capitolo di S. Lorenzo, per impedire pressioni esterne su di loro, ma non riuscì a ottenere l'elezione del Fieschi.
Il 28 sett. 1275, da Valence, in Francia, il card. Ottobono nominò il F. tra gli esecutori del suo testamento, destinandogli il feudo di Vigolone e gli altri suoi beni in Parma ed in Corneo. Il F. raggiunse ed accompagnò poi il cardinale a Viterbo, dove il 14 febbr. 1276 fu teste all'atto in cui Ottobono pronunciò la sentenza arbitrale sulla lite vertente tra il vescovo di Luni e i Malaspina. Dopo la breve parentesi del pontificato del fratello Ottobono, salito al soglio di Pietro col nome di Adriano V e morto il 18 agosto di quello stesso anno, il F. si adoperò perché Carlo d'Angiò restituisse a Federico Fieschi, altro suo fratello, i beni che gli erano stati lasciati in eredità dal papa appena scomparso e che l'Angiò aveva confiscato: il 27 ottobre Carlo accolse la richiesta.
In questo periodo, secondo il Federici, Rodolfo d'Asburgo (che più tardi, nel 1280, confermò alla famiglia Fieschi i suoi privilegi) lo volle, dopo la sua elezione a re dei Romani, presso di sé come cancelliere. Lo storico secentesco ricorda anche una missione del F. presso Onorio IV, a nome dello stesso Rodolfo. Egli sarebbe stato eletto - sempre in questo periodo di tempo - arbitro in una controversia tra il delfino di Vienne ed il conte di Savoia, sentenziando a favore di quest'ultimo.
Il 28 marzo 1280, durante un suo soggiorno a Genova, il F. nominò suo procuratore Simone di Camilla.
Nel novembre 1285 Rodolfo d'Asburgo nominò il F. suo vicario per la Toscana. La scelta dovette essergli suggerita sia dai legami familiari (un Fieschi aveva sposato una nipote di Rodolfo) sia da un preciso disegno politico: usare la Toscana come merce di scambio con la Chiesa per ottenerne l'appoggio dopo la progettata incoronazione a Roma, per l'elezione del figlio a re dei Romani. La scelta di un ecclesiastico, avallata dallo stesso papa Onorio IV, rientrava in tale progetto. Appena compiuta la sua scelta, tuttavia, Rodolfo sembrò cambiare idea, forse perché la figura del F. non gli offriva molte garanzie. Infatti concesse al vescovo Arrigo di Basilea, che aveva mandato in Italia, pieni poteri per decidere col cardinale Matteo Orsini un compromesso e convincerlo ad assumere lui il vicariato imperiale (1º febbr. 1286). L'Orsini preferì, però, rinunciare, per cui Rodolfo, in accordo col papa, appoggiò il F. nel suo tentativo di far riconoscere dalle città toscane la sua autorità di vicario imperiale.
Il 17 aprile Onorio intimò a Firenze di giurare fedeltà al vicario imperiale; analogo ordine fu comunicato anche a Siena il 27 giugno. Il papa decise, poi, di porre al fianco del F. Pietro di Piperno, canonico di Soissons e futuro cardinale. Alla reazione dei Comuni toscani il F. rispose, pretendendo per sé una carica corrispondente a quella che era stata a suo tempo concessa a Carlo d'Angiò come vicario imperiale. Tuttavia egli poté contare solo su pochi aiuti, compresi quelli concessigli dai fratelli Niccolò e Federico, cosicché la sua azione si presentò subito debole. Siena perferì tacitare il F. con una somma di denaro e con l'impegno di accettare le sue richieste, se Firenze avesse fatto altrettanto. Nella prima settimana di luglio il F. entrò a Firenze ed intimò al Comune di prestargli piena obbedienza. Si trasferì poi a San Miniato (antica sede del potere imperiale in Toscana), dove, convocato un Parlamento, pretese da tutti i Comuni toscani, entro l'ottobre, il giuramento di fedeltà e la cessione dei diritti imperiali. Al rifiuto dei delegati delle Comunità toscane, che ricordarono l'impegno preso a suo tempo da Rodolfo di nominare vicario un suo suddito di lingua tedesca e con almeno 500 cavalieri della sua nazione, il F. rispose mettendo al bando Firenze e Siena, insieme ad altre città minori, e condannando la prima ad una ammenda di 50.000 marche d'argento e la seconda ad una di 30.000. Temendo le conseguenze economiche di tale decisione, Firenze inviò un sindaco a San Miniato, per opporsi ufficialmente alla sentenza; anche Siena inviò un suo rappresentante, ma quando il F. si era già trasferito ad Arezzo. All'inizio del 1287 i Comuni toscani inviarono un'ambasceria a Rodolfo, senza, però, nulla ottenere; Lucca preferì arrivare ad un accordo (dopo l'8 marzo), mentre gli altri Comuni decisero di riunirsi in una lega contro il vicario: sempre nel marzo, a Ranuccio Farnese fu affidato il compito di reclutare 500 cavalieri, che avrebbero affiancato i 1500 messi in campo dalle città. L'improvvisa morte di Onorio IV (3 apr. 1287) e la decisione di Rodolfo di rimandare la sua discesa in Italia crearono gravi difficoltà al F., che ritenne opportuno recarsi personalmente dall'Asburgo, per ottenere l'approvazione della sua opera e la riconferma della carica.
Nel frattempo, ad Arezzo, la parte ghibellina, appoggiata dal vescovo, prese il sopravvento; Firenze, sentendosi minacciata da questo cambiamento di regime, organizzò nell'ottobre una lega per muovere contro la città rivale.
Il F. nell'autunno ritornò in Italia, dopo essersi fermato nella regione di Ginevra per reclutarvi cavalieri. Furono proprio il F. ed Arezzo a rompere gli indugi e a scendere in guerra aperta dando il guasto alle campagne di dominio fiorentino (febbraio 1288). Tuttavia il nuovo papa Niccolò IV si interpose come paciere. Intimò infatti alle città toscane di inviare a Roma plenipotenziari ed ordinò al F. di presentarsi dinnanzi a lui: scopo dei colloqui era quello di arrivare ad un accordo. Nel frattempo le ostilità dovevano essere sospese. Il F. ubbidì e si impegnò a non intervenire di persona nelle operazioni militari; la Lega guelfa, invece, riprese l'iniziativa bellica, provocando la reazione del papa, che si trovava a Rieti insieme col Fieschi. L'ordine di sospendere immediatamente le operazioni cadde nel vuoto, per cui gli scontri continuarono. Alla fine di giugno la caduta del conte Ugolino Della Gherardesca a Pisa fu vista con favore dal F., che si affrettò ad accordarsi con l'arcivescovo di quella città Ruggero Ubaldini; i due prelati fecero arruolare nella regione tra Roma e Napoli 300 cavalieri, da condurre a Pisa. Il contingente fu intercettato durante la marcia di spostamento dai Fiorentini e sbaragliato il 15 agosto. L'anno dopo, l'11 giugno, a Campaldino si ebbe lo scontro decisivo tra le due fazioni; la sconfitta dei ghibellini fu gravissima e costrinse il F. ad un frettoloso ritorno a Roma. Qui, prima del 23 luglio, egli rinunciò ad ogni suo diritto sull'arcivescovato di Lione, a cui era stato eletto, ma con l'opposizione di un altro candidato.
Agli inizi del 1290 ebbe l'autorizzazione a fare testamento, per disporre dei suoi beni. Morì probabilmente poco dopo a Roma.
Infatti, nell'aprile di quello stesso anno Niccolò IV invitò l'arcivescovo di York ad assegnare la cappellania già appartenuta al F. ad un ecclesiastico inglese che fosse "in theologica facultate magister aut in decretis doctor aut in iure civili professor". Il 22 aprile, poi, il papa dava ordine al vescovo di Lincoln di assegnare l'arcidiaconato di "Bekingamia", con relative prebende, dato che il F. era da poco morto a Roma.
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