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Perch'io non trovo chi meco ragioni

di Mario Pazzaglia - Enciclopedia Dantesca (1970)
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Perch'io non trovo chi meco ragioni

Mario Pazzaglia

. Sonetto (Rime XCVI) diretto da D. a Cino da Pistoia, presente, con la risposta di questi ‛ per le rime ' (Abba Abba; Cdc Cdc), in numerosi codici (Magliabechiano VI 143, Vaticano lat. 3214, Trivulziano 1050, n. 1289 della Bibl. Univ. di Bologna, Casanatese 433, ecc.) e nell'edizione delle Rime di Cino a c. di F. Tasso, Venezia 1589.

Divergenti sono le opinioni, sulla datazione. Il Corbellini assegnò la corrispondenza al tempo immediatamente seguente la morte di Beatrice, considerando la scusa di D. per il lungo silenzio (vv. 5-7) come risposta al sonetto ciniano Se tu sapesse ben (in cui si esprime rammarico per il silenzio di un amico), da connettere, a sua volta, al cavalcantiano I' vegno il giorno a te (ma cfr. E.G. Parodi, in " Bull. " XV [1908] 280); il Di Benedetto l'ascrisse alle rime allegoriche d'amore; il Barbi (seguito dal Pernicone) collocò, nella '21, i due sonetti nel Libro V delle Rime, prima delle petrose, fra le liriche degli anni 1294-1296. Altri invece, dallo Zaccagnini allo Zingarelli al Torraca, e, più di recente, dal Mattalia al Contini a Foster e Boyde, hanno pensato al tempo dell'esilio, pur non ritenendo probanti né il messer Cin del v. 12, che sembrerebbe alludere alla dignità di giureconsulto acquisita dal pistoiese durante l'esilio, dato che egli è già detto " dominus " in un documento del 1297, né al richiamo ciniano, nella risposta, a Beatrice e al " regno de' dimoni " che potrebbe apparire un riferimento all'Inferno.

Il sonetto di D. ha un tono di mestizia scorata, tale da indurre l'amico a farsi lui, questa volta, confortatore ed esortatore a non venir meno ai comuni ideali. La cagione del lungo silenzio è il rio luogo dove si trova il poeta: una società priva di ogni tensione verso il bene, di ogni luce d'amore come umanità e cortesia. I vv. 9-11 (Donna non ci ha ch'Amor le venga al volto, / né omo ancora che per lui sospiri; / e chi 'l facesse qua sarebbe stolto) richiamano, prima che analoghi luoghi della Commedia, lo sdegno del ‛ cantor rectitudinis ' di Poscia ch'Amor, soprattutto per il mito di Amore come emblema di perfezione morale e d'intima civiltà, che attesta il perdurare, anche se ormai stanco, della tematica stilnovistica. Ma d'altra parte l'allusione malinconica al tramonto di una comune stagione umana e poetica (Oh, messer Cin, come 'l tempo è rivolto / a danno nostro e de li nostri diri) richiama analoghi spunti della corrispondenza fra i due poeti durante l'esilio. Se il sonetto è di epoca precedente, attesta tuttavia una fase di crisi posteriore alla Vita Nuova e alle canzoni accolte poi nel Convivio, da connettere col primo urto drammatico di D. con la realtà politica fiorentina.

Cfr. CINO DA PISTOIA; DANTE, I' NON SO IN QUAL ALBERGO SONI.

Bibl. - A. Corbellini, D., Guido e Cino, Pavia 1905; Zingarelli, Dante 467; L. Di Benedetto, Tra D. e Cino, in " Bull. Stor. Pistoiese " XXIII (1921) 172-176; XXV (1923) 69-72; ID., Da Giacomo da Lentini a Francesco Petrarca, Napoli 1949, 24; G. Zaccagnini, Le rime di Cino da Pistoia, Ginevra 1925; Contini, Rime 142; D.A., Rime, a. c. di D. Mattalia, Torino 1943, 202; Dante's Lyric Poetry, a c. di K. Foster e P. Boyde, Oxford 1967, II 311 e 316; Barbi-Pernicone, Rime 530.

Vocabolario
méco
meco méco pron. [lat. mēcum], ant. o letter. – Con me: vieni meco. Talora rafforzato con stesso o medesimo, anche nel sign. di «dentro di me, fra me e me»: pensavo, ragionavo meco stesso. Nella lingua ant., si trova usato anche con la prep....
mèco-
meco- mèco- [dal gr. μῆκος «lunghezza»]. – Primo elemento di alcune parole composte, formate modernamente nella terminologia scientifica ital. e lat., nelle quali significa «lungo, lunghezza».
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