Vedi PERACHORA dell'anno: 1965 - 1973 - 1996
PERACHORA (v. vol. vi, pp. 31 s.)
In periodo geometrico (dall'850 a. C. circa), P. doveva essere dominio di Megara, come i centri vicini di Aegosthena e Pagae. Ma sotto i Bacchiadi, nella seconda metà dell'VIII sec. a. C. Corinto acquista, dopo una serie di guerre, la supremazia sull'area dello stretto, occupando il centro religioso che era anche porto sicuro e riparato. Si deve probabilmente a questo fatto la distruzione del primo santuario, presso il porto, ma anche il passaggio definitivo di P. nell'area culturale di Corinto, entro la quale resterà fino alla sua scomparsa.
La sua architettura, dopo la prima fase poco nota e generica del tempio absidato di Hera Akràia (IX-VIII sec.), sarà sempre più legata a quella del centro vicino e il carattere vario dei suoi ex voto altro non è che il riflesso del significato di Corinto come tramite di correnti internazionali tra l'oriente e l'occidente. Nel primo periodo di dominio corinzio è il grande sviluppo del santuario di Hera Limenìa con un tempio rettangolare, a cella semplice, contenente al centro una eschàra rettangolare: il tipo sembrerebbe essere di derivazione cretese perché a Creta ha una documentazione ricca e continua, ma è più probabile che sia stato importato dall'area dell'Argolide o, più genericamente, dal Peloponneso. Esso ha la sua vita più intensa nel VII e VI sec. a. C. finché, verso il 500 a. C., riprende sviluppo notevole il santuario presso il porto, prima col tempio (10,30 × 31) e con l'altare a triglifi (dimensioni originarie: 2,06 × 10), poi, agli inizî del IV, con un baldacchino sull'altare stesso e, agli inizî dell'ellenismo, con un portico a L. Una ipotesi recente ricostruisce l'ampiezza originaria dell'altare a triglifi come quella della fronte del tempio e il successivo baldacchino con 8, e non con 4, colonne ioniche. Questo doveva reggere una leggera copertura lignea secondo una pratica rara, ma non unica almeno a giudicare da certe rappresentazioni vascolari. L'altare di P. rientra in una classe monumentale, caratteristica per culti ctoni, come testimonia il bòthros che penetra nel corpo dell'altare sull'asse centrale di esso, e tipica dell'area culturale che gravita attorno a Corinto. E che esso fosse il nucleo del rito è suggerito da una scalea che, come thèatron religioso, si affacciava su di esso; quella conservata è tarda, ma ne sostituisce una più antica. Un particolare significato va assumendo ora l'esplorazione delle istallazioni idriche di Perachora. Noto fin dalle prime ricerche inglesi, ma ora ristudiato, è un sistema di tre cisterne rettangolari, profondamente intagliate nella roccia e intercomunicanti. Esse si trovano nell'area della città, sulla strada che scende al santuario; vi si attingeva tramite un pozzo circolare con il sistema ad argano. La opera è della fine del IV sec. a. C. Allo stesso periodo, che coincide probabilmente con il favore concesso in genere a Corinto, e in particolare al santuario, da Demetrio Poliorcete, appartiene una fontana, a poca distanza dalla precedente, con una fronte a stoà di 6 colonne ioniche e con tre vasche di attingimento, dietro la parete di fondo della stoà. Un'altra sistemazione idrica importante è situata tra il santuario di Hera Limenìa e quello di Hera Akràia: una cisterna, conclusa ad absidi sui lati minori, con una serie di pilastri lungo l'asse maggiore, in perfetta opera isodomica di blocchi di pòros. È un noto tipo ellenistico di cisterna da peristilio e su di essa si affacciano due ambienti di una casa. L'impianto poggia su strati e strutture del VI sec. a. C., ma è certo posteriore al periodo classico. Che i primi decennî dell'ellenismo vedessero a P. un gran fervore di opere è testimoniato da altre scoperte, recentissime e inedite, di un piccolo tempio conservato fino all'euthynterìa, e di tre case nell'area urbana, oltre che dal riferimento allo stesso periodo del portico a L del santuario di Hera Akràia. La terminazione S della stoà poggia su resti di un edificio ancora incerto nei suoi termini morfologici e cronologici. Precedente ad essa si è rivelato essere anche un muro di terrazzamento situato dietro la sua parete N. La pianta a squadra potrebbe essere stata determinata dalle limitate condizioni di spazio disponibile, ma comunque essa si inserisce in un momento già evoluto di un noto tipo architettonico, forse già rappresentato a P. dal portico della cosiddetta agorà della prima metà del IV sec. a. C., se non precedente. Questo era disposto, con colonne lignee, sui due lati di un cortile, fu distrutto verso la metà del IV sec. a. C. e forse trovò un più tardo sostituto nella stoà a L. Questa era a due piani con 6 colonne doriche su ogni braccio (prostila a N, in antis a S) nel piano inferiore e con colonne ioniche nel piano superiore, legate tra loro da alte transenne. Una banchina correva lungo gli ortostati della parete. È un monumento strettamente imparentato con architetture tardoclassiche e del primo ellenismo della vicina Corinto, analogo alle stoài presso i moli portuali (Pireo, Siracusa), ma qui forse con funzionalità religiosa. Nel periodo romano i documenti scarseggiano, non al punto tuttavia da dover affermare un abbandono totale dell'area. Certo la distruzione di Corinto ad opera di Mummio (146 a. C.) non mancò di dare il colpo letale anche al santuario; Pausania più tardi lo ignora. E quando nel II sec. d. C. si verifica una ripresa di attività edilizia, sarà per una costruzione privata, una specie di fattoria che si insedia nell'area della cosiddetta agorà reimpiegando, ad esempio, una colonna della stoà a squadra, certo distrutta, di cui tuttavia si restaura ora la parete di fondo del braccio N. In periodo tardo-bizantino la zona è definitivamente abbandonata.
Bibl.: G. Roux, L'architecture de l'Argolide aux IV et III siècles a. C., Parigi 1961, pp. 69 s.; 402; J. J. Coulton, The stoa by the harbour at Perachora, in Ann. Brit. Sch. Athens, 59, 1964, p. 100 ss.; Ch. Llinas, Le portique coudé de Pérachora, in Bull. Corr. Hell., 89, 1965, p. 484 ss.; H. Drerup, in Jahrbuch, 79, 1964, pp. 186; 197; 202 ss.; J. L. Benson, recens. a Perachora II, in Gnomon, 1964, p. 399 ss.; R. M. Cook, in Class. Review, 1963, p. 105 ss.; H. Plommer-F. Salviat, The altar of Hera Akraia at Perachora, in Ann. Brit. Sch. Athens, 61, 1966, p. 207 ss.; D. J. Blackman, The Harbour at Perachora, ibid., p. 192 ss.; J. Coulton, ibid., p. 137 ss.; R. Hope Simpson, A Gazetteer and Atlas of mycenaean Sites, Londra 1965, p. 35 ss. Brevi notizie di scavi recenti, in Bull. Corr. Hell., 90, 1966, 748; Journ. Hell. Stud., Arch. Reports, 1964-65, p. 7; 1965-66, p. 5; in Arch. Deltion, 20, 1965 (1967), p. 182 s.