PEPONE
(Pepo). – Nato nella prima metà dell’XI secolo, presumibilmente in area toscana, Pepone fu un giurista di una certa importanza verso la fine del medesimo secolo, quando la riscoperta del Digesto e la ripresa dello studio del diritto romano giustinianeo determinarono a Bologna la rinascita dell’insegnamento del diritto civile.
Un Pepone esperto di diritto – in via ipotetica identificabile con il nostro giurista – compare tra il 1072 e il 1079 in atti giudiziari prodotti da tribunali legati alla dinastia canossana: il 7 giugno 1072 partecipò come avocatus dell’abate di San Salvatore di Monte Amiata al placito di Calceraki, in territorio di Chiusi, presieduto da Beatrice di Toscana e da sua figlia Matilde; nel marzo 1076, con l’appellativo di legis doctor, intervenne al placito di Marturi, presso Poggibonsi, presieduto da Nordilo messo di Beatrice di Toscana, in occasione del quale ricomparve, a distanza di quasi cinque secoli dall’ultima attestazione, una citazione di un passo del Digesto; il 19 febbraio 1078, ancora come advocator dell’abate amiatino, partecipò al placito di Puntiglo presieduto da Matilde di Canossa; infine, come advocatus dell’abate di Pomposa fu presente al placito di Ferrara del 23 novembre 1079, presieduto dalla stessa Matilde.
La frammentarietà e l’ambiguità delle fonti superstiti non ci consentono di delineare con certezza il ruolo e l’importanza di Pepone. Una svogliata e laconica glossa di Azzone, apposta a un frammento del Digesto e databile ai primi decenni del XIII secolo, lo paragona a Tiberio Coruncanio che, secondo la tradizione romana, per primo avrebbe impartito lezioni pubbliche di diritto senza lasciare, però, opere scritte. Più articolato, ma non meno problematico, il ricordo trasmesso in una lectura al Digestum Vetus di Odofredo, allievo di Azzone che, raccontando la nascita della scuola bolognese secondo una tradizione orale già assestata verso la metà del XIII secolo, afferma che un certo Pepone aveva cominciato a insegnare il diritto civile «auctoritate sua», tuttavia, indipendentemente dalla sua scienza, non aveva riscosso alcun successo. A Pepone, che «nullius nominis fuit» e che non viene mai esplicitamente collegato a Bologna, Odofredo contrappone la figura di Irnerio, primo a insegnare diritto nella città emiliana e primo a glossare i libri giuridici, il quale «fuit maximi nominis» e «lucerna iuris». La ricostruzione proposta da Odofredo è però cronologicamente lontana dai fatti narrati, confonde elementi reali con elementi fantasiosi e sembra voler marcare una certa alterità della rinascita bolognese rispetto a Pepone.
Trascurata dai glossatori bolognesi, la figura di Pepone sembra però aver goduto di una certa fama in area francese da dove provengono altre testimonianze che consentono di correggere l’immagine deformata tramandata dal racconto di Odofredo. Radulphus Niger, teologo inglese formatosi a Parigi e autore di un commento al Libro dei Re, i Moralia Regum scritti tra il 1179 e il 1189, presenta il magister Pepone come «aurora surgens» della ripresa dello studio del diritto civile e, dopo aver precisato che il giurista era baiulus del Codice e delle Istituzioni, ma non conosceva il Digesto, racconta un episodio che mostra Pepone – intervenuto con altri giudici del Regnum Italiae a un placito tenuto in Lombardia al cospetto dell’imperatore Enrico IV, databile tra il 1081 e il 1084, o tra il 1090 e il 1094 – intento a contestare il ricorso al diritto longobardo che prevedeva solo una sanzione pecuniaria per un delitto grave come l’omicidio di un servo: invocando l’unicità della natura umana che non permette di distinguere fra servo e uomo libero e avvalendosi di argomentazioni proprie del diritto naturale, del diritto divino e del diritto romano, Pepone riuscì a ottenere la condanna a morte dell’omicida.
Sempre da ambienti francesi provengono altre due testimonianze che attestano una certa diffusione dell’opera di Pepone: una glossa di una Summa Institutionum, scritta nel Sudest della Francia intorno agli anni 1125-1127, che riporta una spiegazione etimologica della parola mutuum attribuita a Pepone e una glossa del Codice, tramandata da alcuni manoscritti risalenti alla metà del XII secolo, che riprende ancora da Pepone l’interpretazione della parola embola, che indicava il trasporto marittimo delle merci.
Molto problematica appare, invece, un’ultima testimonianza di area toscana, un libello in versi del vescovo Gualfredo di Siena, il De utroque apostolico, composto probabilmente tra il 1090 e il 1092, ma tramandato solo parzialmente grazie a un riassunto in prosa inserito nelle cinquecentesche Historiae Senenses dell’erudito Sigismondo Tizio, che elenca Pepone, definito «clarum Bononiensium lumen», tra i personaggi invitati a partecipare a un immaginario confronto fra i sostenitori del papa Urbano II e quelli dell’antipapa filoimperiale Clemente III. In una nota marginale del manoscritto di Tizio, forse estranea al testo originario del De utroque apostolico, Pepone è detto «episcopus Bononiensis». Su questa base Pietro Fiorelli ha avanzato l’ipotesi che Pepone possa essere identificato con il vescovo scismatico di Bologna di nome Pietro, essendo Pepo una forma ipocoristica di Petrus, senza tuttavia considerare che la presenza di Pepone non appare associata alla parte guibertista, ma sembra rappresentare una posizione terza rispetto alle parti contrapposte, posizione che certo non si addice a un vescovo scismatico.
L’ipotesi di Fiorelli è stata riproposta in più occasioni da Carlo Dolcini che non solo ha considerato convincente e probabile l’identificazione di Pepone con Pietro, vescovo filoimperiale di Bologna dal 1086 al 1096 circa, e perciò sicura l’appartenenza di Pepone all’ambiente bolognese, ma si è spinto fino a far notare, senza però azzardare una precisa identificazione, il parallelismo politico, giuridico e geografico che intercorre fra Pepo/Pietro e Pietro Crasso, autore o committente della Defensio Heinrici IV regis, uno dei libelli più famosi della lotta per le investiture.
Un ultimo tentativo di delineare l’identità di Pepone è stato fatto da Giovanna Nicolaj che, pur accettando l’accostamento linguistico Pietro/Pepo, ha escluso l’appartenenza del giurista all’ambiente bolognese e ha sottolineato dati e coincidenze che sembrerebbero portare a una sua identificazione con un poliedrico personaggio di nome Pietro, dotato di una solida cultura giuridica, improntata sulla conoscenza del Codice e delle Istituzioni, che opera saltuariamente come notaio ad Arezzo tra il 1079 e il 1114 e che in un atto del 1090 è detto legis doctor.
Gli studi degli ultimi decenni sulla figura di Pepone, abbondanti e meticolosi, hanno consentito di ampliare le conoscenze sul fenomeno noto come rinascita giuridica della fine dell'XI secolo, senza però giungere alla definizione di un chiaro profilo del giurista che, in assenza di nuove testimonianze, rimane una figura evanescente, quasi leggendaria: restano infatti oscuri i dati biografici essenziali, così come ignote sono la data e le circostanze della sua morte.
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