PEPOLI
. Famiglia tra le più cospicue della nobiltà italiana. Da un Pepulo, che appare in un documento del 1002, si crede tragga origine il nome della famiglia. Solo peraltro nel sec. XIII i Pepoli ebbero larga parte nella vita politica ed economica del comune di Bologna; esercitavano la mercatura, erano tra i più ricchi banchieri del tempo ed ebbero uffici nel comune. Nel principio di quel secolo visse e seguì la regola di S. Francesco d'Assisi il beato Nicolò dei Pepoli. Gl'ideali mistici di pace di quel beato non erano certo quelli della famiglia, da cui, spirituale reazione, egli vien fuori. I Pepoli nel sec. XIII vivono appassionatamente l'agitata vita politica del comune tra continue lotte civili, capeggiando la fazione dei Geremei, contro quella dei Lambertazzi. Sconfitti costoro, Romeo dei Pepoli nei primi anni del Trecento stava per divenire signore, ma in un tumulto, scoppiato per opera dei suoi nemici, Romeo fu costretto a fuggire con la famiglia, e morì in esilio nel 1321.
Figlio di Romeo fu Taddeo, signore di Bologna. Si era addottorato in diritto nello studio bolognese, aveva seguito il padre nell'esilio e dopo sei anni poté tornare nella sua città. Nella stanchezza delle lotte civili, nell'esaurimento di forze delle fazioni e nel bisogno generale di pace, Taddeo seppe abilmente destreggiarsi, assicurandosi l'amicizia di potenti famiglie e soprattutto il favore del popolo. E fu dal popolo, nel parlamento generale del Comune nel 1337, acclamato signore. Taddeo prese il titolo di "conservatore di pace e di giustizia", titolo che ben significa la ragione dell'elezione e la missione della signoria. Governò saggiamente, accentrando e affermando l'autorità dello stato, partecipò attivamente alla politica generale dell'Italia settentrionale e centrale, sapendo trarre partito dalla posizione geografica di Bologna, e riuscì, nella grave contesa con il papato, a conciliarsi con Benedetto XII, che riconobbe l'autorità di Taddeo, come vicario della S. Sede.
Alla morte di Taddeo (1347) i figli Giacomo e Giovanni non seppero, o non poterono, conservare la signoria di fronte all'avanzata minacciosa della potenza viscontea, che puntava a Bologna per avere libera la via per l'Italia centrale; e i P., minacciati altresì da tumulti provocati dalla fazione nemica, finirono col cedere a Giovanni Visconti la signoria di Bologna.
I tentativi fatti dai P. per riprendere il potere tra la fine del sec. XIV e il XV fallirono; ond'essi rientrarono nella vita privata, e seguirono i Bentivoglio. Dal 1438 al 1449 tre dei P. furono professori dello studio bolognese. Più che coltivare la scienza i P. preferirono peraltro dedicarsi alla vita delle armi, come non pochi delle famiglie della nobiltà italiana dei secoli XV e XVI.
Il conte Ugo militò nell'armata delle Bande Nere con Giovanni de' Medici e morì combattendo sotto Capua per Francesco I contro gli Spagnoli (1528). Il fratello conte Giovanni, morì nel 1585, per mano del carnefice, essendo stato accusato di non aver consegnato alle autorità pontificie un bandito arrestato a Castiglione dei Pepoli, feudo imperiale della famiglia.
Erano quelli i tempi in cui Sisto V dava una spietata caccia ai banditi; e l'esempio di una condanna inflitta ad autorevolissima persona, come ricettatore di banditi, serviva ad incutere terrore, per sradicare la mala pianta. In verità l'esame del processo, pubblicato, dimostra che quel vecchio settantenne non era colpevole, come al Papa avevano mostrato troppo zelanti e poco scrupolosi ministri e giudici.
Nel Settecento si segnalarono per opere letterarie il conte Cornelio (1708-1777) e specie il figlio Alessandro (1757-1796; v.).
La generazione che segue fu quella del Risorgimento italiano.
Il conte Carlo (1796-1881; v.) eccelle fra tutti della sua famiglia per ingegno politico, per cultura letteraria e per fervore di patriottismo. Altri dei P., i fratelli Ugo, Giovanni e Achille, furono valorosi soldati nelle guerre del Risorgimento e soprattutto si segnalarono nella difesa di Roma del '49.
Al ramo marchionale della famiglia apparteneva Gioacchino Napoleone (1825-1881; v.), nato da Letizia, figlia di Gioacchino Murat. Alla famiglia, che nell'Italia meridionale aveva avuto fin dal sec. XIV alcuni feudi, appartenne il ramo che ebbe baronie a Trapani. Uno dei P. di quel ramo, Agostino, filantropo e persona coltissima, fondò nei primi anni del secolo XIX un importante museo a Trapani.