PEPLO (gr. πέπλος)
Era l'elemento principale del vestito femminile nell'epopea omerica, dove è detto talvolta anche ἑανός.
Un'etimologia proposta da F. Studniczka farebbe risalire la parola πέπλος una reduplicazione della radice πλο, che si ritroverebbe nei vocaboli latini palla e pallium. Nella grecità tarda il vocabolo serviva a indicare un pezzo di stoffa di forma per lo più rettangolare, e questo pare sia stato il significato primitivo della parola anche in Omero, presso il quale il peplo compare usato talvolta per ricoprire urne cinerarie, carri da combattimento e troni.
Il peplo come abito femminile era armato appunto da un pezzo rettangolare di stoffa (come la χλαῖνα e il ϕᾶρος); che veniva dapprima ripiegato per circa un terzo della lunghezza nel lato superiore, quindi nuovamente ripiegato in due parti uguali in senso verticale. Negli orli superiori così combacianti, in due punti, a distanze uguali dalle estremità, due fibule tenevano fermo sopra le spalle l'abito, che restava aperto lungo il fianco destro. Il peplo, che era indossato immediatamente sopra il corpo a contatto con la pelle, era lungo fino alla caviglia o si trascinava a terra, come c'inducono a credere gli epiteti omerici ἐύσϕυρος, καλλίσϕυρος e τανύσϕυρος da una parte, τανύπεπλος ed ἑλκεσίπεπλος dall'altra. Ci informano circa il colore di quest'abito, che era di lana, varî aggettivi che vediamo attribuiti nell'epos al peplo stesso, come "ben variopinto" e "più splendente della fiamma del fuoco", o a varie dee ed eroine, che sono dette "dal peplo del colore dello zafferano", "dal peplo azzurro". Ai tempi omerici il peplo era stretto sotto il petto da una cintura che, per essere molto serrata, gli faceva fare un risalto, come sembra voglia significare il vocabolo βαϑύζωνος.
Fin verso la metà del sec. VI questo fu unicamente l'abito nazionale delle donne greche. Incominciarono allora ad apparire il chitone ionico e l'imatio, ma per breve tempo: il peplo, che si chiamò anche chitone dorico, perché le donne spartane gli erano restate sempre fedeli, trionfò di nuovo, quantunque si usasse talora o si alternasse col chitone ionico (v. chitone). Da questo momento bisogna distinguere il peplo endyma, che era indossato immediatamente sopra la pelle, e il peplo epiblema, che si vestiva sopra un chitone di tela. L'apoptygma dell'epiblema, ossia la parte del peplo che, ripiegata alla sommità, ricadeva dal collo e dalle spalle sul petto, mentre era originariamente corto, ora poteva giungere anche fino sotto il ventre ed era assicurato da una cintura. L'apoptygma prende inoltre varie forme ed è talora tenuto fermo da fibbie, invece che sulle due spalle, soltanto sulla spalla destra e lungo il braccio. Il peplo ricorse in seguito alle cuciture, proprie del chitone ionico, e il chitone a sua volta ricorse alle fibbie proprie del peplo. Da ciò la confusione che a poco a poco si fece più grande fra le varie vesti femminili: è per questo che non di rado sui monumenti ancor oggi ci troviamo spesso imbarazzati a definire la natura di una veste.
Bibl.: F. Studniczka, Beiträge zur Geschichte der altgriech. Tracht, in Abhandl. d. arch.-epigr. Seminars d. Univ. Wien, VI (1886), cap. VI-VII; W. Helbig, Das homerische Epos, Lipsia 1887, pp. 193 segg., 228-229; E. Abrahams, Greek dress, a study of the costumes in ancient Greece, Edimburgo 1908; L. Heuzey, Histoire du costume antique d'après des études sur le modèle vivant, Parigi 1922, cap. V; M. Bieber, Griech. Kleidung, Berlino-Lipsia 1928, tavv. I-VII; G. Leroux, in Daremberg e Saglio, Dict. d. antiq., IV, I, p. 382 segg.
Peplo d'Atena.
L'offerta del peplo alla dea patrona della città (cioè ad Atena Poliade) costituiva, nell'antica Atene, l'atto più solenne delle feste panatenaiche (v.): è incerto se la cerimonia si ripetesse ogni anno, nelle piccole panatenaiche, oppure soltanto in occasione della grande festa penteterica. Questo peplo era un manto magnifico, artisticamente istoriato con figurazioni ricamate sul fondo giallo; vi si vedevano solitamente rappresentati gruppi di figure e scene relative alla leggenda della Gigantomachia, nelle quali Atena appariva vittoriosa a lato del padre Zeus: in età ellenistica vi furono ritrattati anche uomini famosi o potenti (come, per esempio, Demetrio e Antigono).
Alla preparazione del manto lavoravano donne e fanciulle ateniesi di nobile famiglia (ἐργαστῖναι); ma già nove mesi prima della festa, il lavoro veniva incominciato da quattro giovinette, dette ἀρρηϕόροι. I soggetti delle figurazioni erano determinati, volta per volta, dalla bulè o da una deliberazione dell'ecclesia. Venuto il giorno della processione, il peplo, almeno dal principio del secolo IV in poi, veniva adattato, a guisa di vela, all'albero maestro e al pennone di una nave che si faceva scorrere su rulli, e così trasportato per la città; sappiamo che Erode Attico fece perfezionare questi congegni, in modo che sembrava che la nave galleggiasse e si muovesse da sé. Il peplo veniva quindi portato alla grande ara, eretta dinnanzi al tempio di Atena Poliade, l'Eretteo, e offerto alla dea.
Bibl.: L. Preller-C. Robert, Griechische Mythologie, 4ª ed., Berlino 1894, p. 212 seg.; A. Mommsen, c°Feste der Stadt Athen im Altertum, Lipsia 1898, p. 107 segg.; P. Stengel, Die griech. Kultusaltertümer, 3ª ed., Monaco 1920, p. 224 seg.; L. Deubner, Attische Feste, Berlino 1932.