PENNACCHIO (fr. pendentif; sp. trompa; ted. Zwickel, Pendentif; ingl. pendentive)
Architettura. - In un arco o in una serie di archi si dicono pennacchi quelle porzioni della parete frontale che risultano comprese fra gli archivolti e l'orizzontale tangente agli archi stessi nel loro punto più alto. La loro forma è quindi quella di un triangolo misti lineo con un vertice in basso. Nelle cupole su pianta poligonale o quadrata si chiamano pennacchi le superficie di raccordo, in corrispondenza degli angoli del poligono, fra i piedritti e la calotta. Questo raccordo ha un'importanza limitata nel caso di un poligono di molti lati, perché la differenza fra esso e il cerchio d'imposta della calotta è piccola; mentre costituisce un problema tutt'altro che secondario nel caso di un quadrilatero. Esso fu perciò realizzato in modo vario secondo le capacità tecniche dei tempi e dei luoghi e l'entità della costruzione.
Nel caso di piccoli ambienti bastò in genere un progressivo aggetto dei corsi di pietre o di mattoni in modo da smussare gradatamente gli angoli; e questo procedimento già noto agli Etruschi (Tomba del Diavolino a Vetulonia, fig.1) usato poi dai Romani e dai Bizantini, si applica tuttora nelle costruzioni rustiche delle regioni ricche di pietra facilmente riducibile in lastre o per sfaldamento naturale o con altri sistemi di lavorazione. Analogamente in molti edifici romani il raccordo, specie dall'ottagono o dal decagono (Sala degli Orti Liciniani, detta comunemente Tempio di Minerva Medica) al cerchio fu ottenuto facendo aggettare progressivamente nelle parti più prossime agli angoli gli ultimi filari delle pareti in modo che gli angoli stessi venissero gradatamente a scomparire, come avviene nelle volte a padiglione.
Più complesso è invece il raccordo ottenuto mediante una specie di nicchia di lieve profondità che risulta da un arco svolgentesi nella calotta di pianta circolare, impostato sui piedritti appartenenti alla pianta poligonale (S. Vitale a Ravenna; Metropoli della Paregoritissa ad Arta; chiesa di S. Cataldo a Palermo, tav. CLXIII; Moschea di Hakim, fig. 4). Quando la nicchia si limita al solo arco impostato sulle pareti mediante un intradosso conico secondo uno schema embrionalmente noto ai Romani (Villa Adriana a Tivoli; v. I, tav. XCII), il raccordo prende il nome di pennacchio a tromba. Ne troviamo esempî nei palazzi sassanidi di Fīrūzābād e di Sarvistan (figg. 5 e 6) e nelle chiese armene dal sec. VII al XI; e poi applicazioni sistematiche nelle costruzioni romaniche, specie come passaggio dalla pianta quadrata a quella ottagona che fu la più usata nelle cupole del Medioevo (ad es., S. Ambrogio di Milano, tavola CLXIV in alto; il duomo di Parma).
Il Rinascimento invece preferì il pennacchio sferico, quale era già stato conosciuto dai Romani e perfezionato e applicato in grande scala dai Bizantini (S. Sofia di Costantinopoli, vol. VI, p. 306, fig.) e costituisce il mezzo, geometricamente più continuo e determinato, per passare dalla pianta quadrata a quella circolare. Esso consta di una porzione di superficie sferica di diametro pari alla diagonale del quadrato base, compresa fra le arcate che essa stessa determina sulle pareti perimetrali e il circolo orizzontale tangente alle arcate stesse nel loro punto più alto, circolo sul quale a sua volta s'imposta la calotta con o senza tamburo (cappella de' Pazzi in S. Croce a Firenze, tav. CLXV in alto; S. Maria delle Carceri a Prato, S. Maria delle Grazie a Milano, ecc.). In S. Pietro a Roma l'applicazione è geometricamente più complessa in quanto il pennacchio costituisce il raccordo tra lo smusso dell'angolo e il cerchio superiore. È infine da rammentare come nel triangolo mistilineo dei pennacchi si sia sviluppata, già fino dal periodo bizantino, una ricca decorazione musiva, pittorica o plastica che culmina con le grandi composizioni a fresco di cui s'arricchirono le vòlte delle chiese romane durante la Controriforma (v. anche: I, p. 700; XII, tav. XLII).