Vedi PENDICI OCCIDENTALI, Ceramica delle dell'anno: 1965 - 1996
PENDICI OCCIDENTALI, Ceramica delle (Westabhangkeramik; Westslope ware)
Con questo nome viene indicata una classe della ceramica greca che fu per la prima volta studiata nello scavo del quartiere posto sul lato occidentale dell'acropoli di Atene (Watzinger). È caratterizzata dalla vernice nera che ricopre tutto il corpo del vaso e da una parca decorazione graffita e sovraddipinta in argilla chiara, bianco e giallo. Ad Atene è documentata dalla fine del IV sec. a. C. a circa la metà del I sec. a. C. Rinvenimenti notevoli si sono avuti ad Eleusi, Delfi, Egina, Olimpia, Pella, Pergamo, Alessandria e soprattutto Rodi, dove forse si deve riconoscere un altro centro di produzione oltre quello di Atene. Non sembra che venisse esportata in Occidente, ma larga parte della ceramica italiota, quella dei tipi di Gnathia e di Teano, documenta il medesimo gusto decorativo.
I precedenti della ceramica delle p. o., vanno cercati nelle coppe di Saint Valentin e nella produzione di anfore, idrie e pissidi a vernice nera con sottili ornamenti sopraddipinti in argilla dorata. Le coppe di Saint Valentin presentano infatti larghe corone d'olivo dipinte in bianco sulla vernice nera, con vivace contrasto, ed anche motivi geometrici a rete e a scacchi, forse ispirati da tessuti, che riaffiorano nella ceramica delle pendici occidentali. Più stretti sono i rapporti con la classe delle idrie, per l'evidente imitazione di forme metalliche, spinta anche all'uso di applicazioni sugli attacchi dei manici; comune è la buona vernice nera, lucida, uniforme, la preparazione rossa che affiora nelle zone risparmiate dalla vernice o scoperte dal graffito dopo la cottura, infine il gusto di sovrapporre illusionisticamente al corpo del vaso, che non è un pretesto per campiture e "quadri" come nella ceramica a figure rosse, elementi ornamentali come corone, ghirlande, collane.
L'inizio della ceramica delle p. o. si può vedere nell'uso misto di argilla e bianco per questi ornamenti. L'argilla, di grana assai fine, veniva applicata in un denso impasto, più che con un pennello, con una cannuccia forata; nessuna traccia certa di doratura è sui vasi delle p. o. che si presentano dunque come una ancor più economica imitazione dei tipi metallici. Il bianco è molto vivace, brillante, applicato a dense pennellate o a punti: diminuisce con l'avvento dei motivi geometrici, è invece largamente adoperato nelle figurazioni naturalistiche. L'incisione della vernice con una punta metallica viene adoperata dapprima solo per staccare le parti del vaso: piede, spalla, orlo. Sui più antichi esemplari sono dipinte iscrizioni con nomi di divinità al genitivo, in caratteri attribuiti alla fine del IV sec. a. C. (Watzinger, Thomson). A questa prima fase si possono riferire gli sköphoi a fondo emisferico e corpo troncoconico con ghirlande d'edera e d'olivo o collane tese tra i manici (Atene, Museo Nazionale, 2221, 2310, 2309; Atene, Agorà, B 4, B 21), i kàntharoi con ghirlande e collane d'amuleti (Atene, Museo Nazionale, 2355, 2357; Atene, Agorà, frammento A 73, B 20, B 23, B 24 con iscrizione, Alessandria, Museo Sciatbi, n. 169, 170, 171; Copenaghen, Museo Nazionale, 6062 con iscrizione; i frammenti di anfore a manico tortile, decorate da ghirlande, onde e delfini (Atene, Museo dell'Agorà, B 3, B 35).
La cronologia di questa prima fase della produzione ceramica delle p. o. si può fissare agli ultimi decennî del IV sec. a. C., oltre che per gli indizi epigrafici di cui si è fatto cenno e per i confronti con la classe delle idrie attiche della metà del IV sec., per i ritrovamenti di questa ceramica nella necropoli di Sciatbi, che risale al tempo della fondazione di Alessandria (Breccia, Pagenstecher), per i confronti con forme metalliche della seconda metà del IV sec. (Watzinger), infine perché alcuni degli esemplari dell'Agorà erano in una cisterna chiusa non oltre l'inizio del III sec. a. C. (Thomson).
È poi notevole che i vasi delle p. o. insieme a quelli con ornamenti dorati sovrapposti ed alla contemporanea produzione attica a figure rosse, dove interviene largamente il bianco ed il giallo, rappresentino, con i forti effetti di contrasto dei colori sul nero, un'eco delle ricerche luministiche della grande pittura dal tempo di Alessandro alla fine del IV sec. (v. pittura; philoxenos, 1°). Un tentativo di puntualizzare storicamente l'inizio della ceramica delle p. o., si può forse fondare sulla notizia di Ateneo che Epigenes, scrittore del IV sec. a. C. lamentava l'eccessivo lusso delle mense in Atene, dove si sarebbero usati in metallo anche i kàntharoi e i più modesti bicchieri, poteria (Epigenes, in Athen., xi, 474 a); ove si pensi che proprio alla fine del IV sec. furono promulgate le eccezionali leggi suntuarie di Demetrio Falereo, non sarà azzardato riferire a quel clima di austerità l'improvvisa produzione di piccole coppe di terracotta imitanti le forme metalliche.
Nella prima metà del III sec. a. C. non sembra che la produzione delle p. o. si discosti sostanzialmente dai primi esemplari; bisogna del resto avvertire che alcuni dei frammenti dell'Agorà, quelli della cisterna B, sopra ricordati, possono anche scendere ai primi decenni del III secolo. A questa fase leggermente più tarda si può attribuire per la novità della forma, un frammento di grande sköphos dell'Agorà, che peraltro è ancora vicino alle anfore per l'identità dei motivi decorativi, onde e delfini, in argilla e bianco (B 6). Attorno alla metà del III sec. la novità più interessante è la comparsa di motivi geometrici, scacchi, rete, rettangoli concentrici, in campiture rettangolari, che restano inizialmente limitati a fasce continue presso l'orlo o sulla spalla dei vasi. Il fatto è stato variamente spiegato per influenza del geometrico attardato a Cipro fino in età classica (Breccia) o per l'arrivo nel mondo greco di forme tardo-La Tène portate dai Galati in Asia Minore (Pagenstecher), infine per imitazione del geometrico e protogeometrico attico, che sarebbe stato direttamente riscoperto dai ceramisti ateniesi in occasione dei grandi lavori di sterro per la costruzione dei portici meridionali dell'Agorà (Thomson). Sarà più prudente constatare la continuità di tali motivi soprattutto nelle piccole lèkythoi a fondo bianco con scacchi e rete e nelle stesse coppe di Saint Valentin; comunque lo si giustifichi, è però un manifestarsi di gusto arcaizzante, analogo a quello della contemporanea ceramica siceliota di Gela.
Si arricchisce anche il repertorio decorativo vegetale, con ghirlande, corone, girali di edera assai più complessi dei precedenti, e con fiori eseguiti a puntini bianchi, come i grappoli dei tralci di vite. Le collane vengono invece schematizzate perdendo il valore illusionistico che avevano nella originaria disposizione sul collo dei vasi di imitazione metallica; continua d'altra parte l'applicazione di elementi plastici, maschere, foglie, linguette, ed inoltre file di bugne o serie di squame come nelle coppe megaresi. Un prezioso elemento di raffronto con la ceramica megarese si aveva forse fin tra i più antichi esemplari delle p. o., in un frammento di Atene (Watzinger, n. 8 b) che ha nella parte inferiore onde e delfini a rilievo nella tecnica megarese, e, sopra, lo stesso motivo dipinto in bianco e argilla come sulle anfore dell'Agorà già ricordate. È evidente però che i rapporti con i tipi megaresi aumentano nel corso del III sec., quando gli elementi plastici tendono, per così dire, a invadere il corpo del vaso, lasciando la parte superiore per la decorazione dipinta (Atene, Museo Nazionale, 2311).
Tra i più antichi documenti della nuova ornamentazione geometrica è forse l'anfora dell'Agorà (C 11) con scacchi e quadrati sulla spalla, al posto della tradizionale decorazione a delfini e onde che si è trasferita invece sul collo del vaso. Forse attorno alla metà del secolo è il piatto della Pnice (Hesperia, iii, 1934, p. 402), che ha tutta la ricchezza cromatica dei primi esemplari delle p. o., ma per la forma a basso piede e corpo molto svasato richiama ai tipi più avanzati: sul fondo ha anch'esso un motivo di ispirazione geometrica, la ruota o stella a otto raggi. Questo motivo si ritrova all'interno di un piatto della stessa forma, ma con decorazione più stilizzata, da una cisterna dell'Agorà datata alla seconda metà del III sec. (C 12); il vaso era insieme ad un raro collo di oinochòe con collana in bianco e argilla, molto semplificata, e ad un frammento di sköphos con un motivo di fronda d'edera (C 13, C 14). Attorno a questo modesto nucleo di materiale datato dell'Agorà, si può forse raccogliere qualche esemplare del Museo Naz. di Atene: un grande vaso con coperchio (inedito), che per la forma rappresenta ancora una variazione dell'originario sköphos a corpo emisferico, ed ha la caratteristica di essere ornato sul corpo con la solita collana e girali d'edera, sul coperchio con una fascia di motivi geometrici; una brocchetta con girali e motivi geometrici, che richiama le prime anfore per il manico tortile (12418), infine un askòs, di forma aberrante rispetto alla tradizione classica e che potrebbe rappresentare un punto di confronto con forme vascolari àpule (2375).
Agli inizî del II sec. a. C. si possono riconoscere mutamenti fondamentali nel gusto decorativo della ceramica delle p. o.: la vernice grigia, con qualche iridescenza, non determina, come nei primi esemplari, il contrasto del colore; inoltre il graffito non è limitato alla funzione di segnare le parti del vaso, ma interviene nel vivo della decorazione. I motivi vegetali sono ripetuti sempre più stancamente ed in modo del tutto disorganico, domina invece la decorazione geometrica. Elementi di passaggio a questa nuova fase, si possono considerare due anfore del Museo Nazionale di Atene (12415, 12416), che hanno una forma assai più depressa delle più antiche anfore dell'Agorà e presentano la singolarità dei manici a nastro ornati con rocchetti, come le trozzelle àpule: i colori sono ancora bianco e argilla, ma nelle stelle che ornano le rotelle dei manici (e che rappresentano un punto di contatto con i piatti della fine del III sec.) all'argilla si sostituisce una cattiva vernice gialla. La storia di questo tipo di anfora, caratteristico di tutta la fase finale delle p. o., si può seguire puntualmente su una serie di esemplari dell'Agorà, datati per argomenti esterni alla metà del II sec. (D 25, D 26, D 27) ed agli inizî del I a. C. (E 59, E 60, E 61). Nei primi si nota la presenza del graffito in alcuni particolari della collana sul collo del vaso, e la presenza di un giro di perle e astragali dipinti sotto l'orlo. Questo motivo, insolito nella pittura vascolare, ha invece un confronto in terrecotte architettoniche ellenistiche della metà del II sec. a. C. (Corinth, iv, 1, fig. 28, pag. 27) dove la successione di quegli elementi plastici è resa con rapide macchie di colore. Lo stesso motivo caratterizza le anfore più tarde dell'Agorà, ed alcuni piatti, contemporanei a queste ultime, che ripetono anche il motivo a stella sul fondo e perfino il caratteristico girale di vite dei più antichi esemplari delle p. o. ridotto ad una linea ondulata bianca con foglie rapidamente schizzate. Una forma ibrida tra il piatto e la coppa profonda di tipo megarese, è l'unica che sembra sopravvivere ad Atene, nel corso del I sec. a. C., dopo l'invasione sillana. La vernice di questi vasi è però decisamente rossa, non tanto per cattiva cottura, come già in alcune coppe del II sec., ma evidentemente perché questo colore era intenzionalmente ricercato come fondo per la decorazione, ad imitazione dei vasi di terra sigillata. Su due coppe frammentarie dell'Agorà, si osservano ancora i motivi della corona di astragali, girali vegetali e la stella a otto punte sul fondo: sono dipinti in modo molto sommario con vernice bianca (F 16, F 17).
Bibl.: C. Watzinger, in Ath. Mitt., XXVI, 1901, p. 50 ss.; E. Breccia, La Necropoli di Sciatbi, Il Cairo 1912, tav. LIII ss.; R. Pagenstecher, Expedition E. von Sieglin, II, 3, Lipsia 1913, p. 13 ss.; P. Perdrizet, Delphes, V, Parigi 1908, p. 173 ss.; E. Pfuhl, Mal. und Zeich., Monaco 1923, II, p. 908 ss.; E. H. T. Thompson, in Hesperia, III, 1934, p. 335 ss.