PELOPIDA (Πελοπίδας, Pelopĭdas)
Uomo di stato tebano. Figlio di Ippoclo, nacque circa il 420 a. C. di famiglia nobile e ricca. Avverso all'egemonia spartana, partigiano della democrazia, fu tra quelli che nel 382, quando lo spartano Febida, istigato da Leontiade, occupò per sorpresa la Cadmea e Leontiade con l'aiuto spartano instaurò un governo oligarchico, fuggirono in Atene e dagli oligarchici furono condannati in contumacia. Dopo l'assassinio di Anticlida perpetrato da sicarî tebani, P., riconosciuto dai fuorusciti come loro capo, apprestò con la connivenza degli strateghi ateniesi e dei democratici rimasti in Tebe un colpo di mano per rovesciare l'oligarchia. Il colpo preparato con pari abilità e audacia riuscì. P. e altri fuorusciti entrarono di nascosto in città e, dopo aver sorpreso e ucciso Leontiade e gli altri capi oligarchici, chiamarono il popolo a libertà e assediarono nella Cadmea il presidio spartano (dicembre 379) che presto, sorpreso e disanimato, capitolò. P. fu con altri eletto alla suprema magistratura. Da allora s'inizia la sua collaborazione con Epaminonda, cementata dal comune desiderio della grandezza di Tebe e dalla comune avversione a Sparta, sebbene in politica Epaminonda fosse di tendenze assai meno democratiche. Negli anni che seguirono, Epaminonda e Pelopida riorganizzarono e disciplinarono l'esercito tebano, e questo resistette agli Spartani, pur non osando di venire ancora con essi a giornata campale. Il primo successo notevole fu quello riportato dallo stesso P., che presso Tegira (375), tornando da un vano tentativo per sorprendere Orcomeno alleata degli Spartani, batté due more spartane che cercavano di tagliargli la strada. Sua opera fu la costituzione del battaglione sacro (ἱερὸς λόχος) composto di soldati stretti insieme da legami di particolare amicizia, risoluti a sostenersi scambievolmente sino alla morte. Certo egli ebbe anche parte preponderante nella ricostituzione che avvenne appunto in questi anni della Lega beotica in una forma più saldamente unitaria di quel che essa fosse stata tra il 446 e il 380. Della buona preparazione militare si vide l'effetto alla battaglia di Leuttra (371) alla quale P. alla testa del battaglione sacro partecipò nella massa d'assalto che Epaminonda apprestò sulla sinistra. Ma il merito del nuovo avvedimento tattico a cui fu dovuta la vittoria spetta a Epaminonda allora beotarco (v. epaminonda; leuttura), mentre P., non sappiamo bene per quale ragione, non rivestiva in quell'anno tale carica che coperse quasi ogni anno per 13 volte, come dice Plutarco, dalla liberazione di Tebe alla sua morte. Negli anni successivi, mentre Epaminonda si occupava soprattutto di sfruttare la vittoria demolendo la potenza spartana nel Peloponneso, P. si preoccupava di estendere l'egemonia tebana al nord nella Tessaglia e nella Macedonia. Ivi intervenne una prima volta nel 369 cercando con poco successo di farsi mediatore fra il tiranno Alessandro di Fere e gli oligarchici tessali e riuscendo invece a occupare Larissa, ch'era stata presidiata da Alessandro II di Macedonia, e a indurre questo ad accordi. Al termine di quella campagna (la data e la successione degli avvenimenti non sono però ben chiare) fu coinvolto con Epaminonda in un'accusa di alto tradimento dovuta, come pare, alle mene del partito democratico più avanzato e alla stanchezza delle continue spedizioni militari. Non fu rieletto beotarco per l'anno successivo, ma tuttavia, vista la situazione che si faceva sempre più torbida in Tessaglia, vi fu mandato senza truppe cittadine. Intervenendo in Macedonia, costrinse Tolomeo di Aloro, che aveva usurpato il regno, ad accettare l'egemonia tebana e a inviare ostaggi tra cui il giovane Filippo figlio di Aminta che trascorse così qualche anno in Tebe. Cercando poi di fare nuovamente da mediatore tra Alessandro di Fere e i Tessali, recatosi al campo del tiranno fu da lui arrestato a tradimento. L'anno seguente (367) i Tebani inviarono una spedizione per liberarlo, ma lungi dal riuscire, evitarono un disastro soltanto per opera di Epaminonda che seguiva la spedizione come semplice soldato. Una nuova spedizione comandata da Epaminonda, rieletto beotarco, riuscì a liberare P., ma non a stabilire accordi durevoli con Alessandro di Fere che, appena libero dal timore dei Tebani, riprese la sua politica di espansione e di violenza. P., liberato, fu inviato ambasciatore a Susa dove il re Artaserse II lo trattò col massimo onore, rinnovando la vecchia amicizia con Tebe e proponendo una pace generale favorevolissima ai Tebani. Questa pace peraltro andò in buona parte a vuoto. P., rieletto beotarco, volle sistemare definitivamente le cose di Tessaglia e, raccolto un grande esercito di Beoti alleati e mercenarî, diede battaglia ad Alessandro presso i colli di Cinoscefale (364). Qui egli si dimostrò prode soldato e valente generale per avere saputo sapientemente coordinare in modo del tutto nuovo gli assalti della cavalleria e della fanteria, preludendo all'uso della tattica delle armi combinate per parte dei generali di Filippo e di Alessandro. Ma, essendo perito nel combattimento, la vittoria non fu compiuta e rimase priva della sua efficacia come due anni dopo quella di Epaminonda a Mantinea.
Per la prodezza, la valentia di stratego, l'affetto alla patria, P. sta degnamente accanto a Epaminonda, col quale però non è paragonabile né per interessi culturali né per austerità di vita. Come politico, condivise con Epaminonda l'errore di ritenere possibile un'egemonia tebana in Grecia, senza dare a quest'egemonia alcun contenuto o scopo ideale, ciò che portò a inutile sperpero d'energie dei Beoti e di tutti i Greci e infine alla rovina di Tebe; ma, più avveduto di Epaminonda, riconobbe l'importanza vitale che aveva per la Beozia non la continuazione della guerra con Sparta, dopo che questa era stata ridotta all'impotenza con la fondazione di Megalopoli e di Messene, non la supremazia marittima per cui mancavano a Tebe le forze e le attitudini, ma un assetto della Tessaglia che la tenesse unita strettamente alla Beozia nella lotta contro i tiranni e contro l'espansione macedonica.
Fonti: Senofonte non menziona Pelopida se non a proposito della ambasciata a Susa. Fonte principale è Plutarco, Pelopidas, che risale, almeno in parte, ad antichi storici beotici; così per l'insurrezione di Tebe che narra ampiamente, con qualche variante, anche nel De genio Socratis. Inoltre Diodoro, lib. XV (Eforo), e Nepote, Pelop. Cfr. G. Queck, De fontibus Plut. in vita Pelop., Dramburg 1876.
Bibl.: K. J. Beloch, Griechische Geschichte, II, 1, 2ª ed., Berlino 1922, p. 145 segg.; II, ii, 2ª ed., ivi 1923, p. 239 segg.; Cambridge Ancient History, VI, Cambridge 1927, p. 64 segg.; A. Schäfer, Demosthenes und seine Zeit, I, 2ª ed., Lipsia 1885, p. 16 segg.; E. v. Stern, Geschichte der spartanischen und thebanischen Hegemonie vom Königsfrieden bis zur Schlacht bei Mantinea, Dorpat 1884; id., Xenophons Hellenika und die beotische Geschichtsüberlieferung, ivi 1887; E. Funk, De Thebanorum ab anno 378 usque ad annum 362 gestis, Berlino 1890; E. Fabricius, Die Befreiung Thebens, in Rhein. Museum, XLVIII (1893), p. 448 segg.; B. Niese, Chronologische und historische Beiträge zur griechischen Geschichte der Jahre 370-64 v. Chr., in Hermes, XXXIX (1904), p. 84 segg.; A. Momigliano, Filippo il Macedone, Firenze 1934. Sulla battaglia di Cinoscefale v. J. Kromayer, Antike Schlacthtfelder, II, Berlino 1907, p. 116 segg.