BAGLIONI, Pellino
Figlio di Cucco di Gualfreduccio, forse era già nato quando il padre, insieme con molti altri Baglioni "et eorum filii", fu compreso, il 14 giugno 1333, nel "libro rosso" antimagnatizio di Perugia. Non si può, quindi, dire con certezza se Cucco, e con lui il figlio, fosse esiliato dopo i fatti del 1° dic. 1331in cui fu ucciso Oddo degli Oddi. Nel 1352, comunque, dopo che il 24 luglio i Baglioni furono riammessi in Perugia, il B. è ricordato col fratello Colaccio nel documento con cui i Baglioni chiedevano al capitano del popolo di adoperarsi per la pacificazione tra loro e la rivale famiglia degli Oddi. Nel 1355 il B. era tra i "giovani" che parteciparono al "nobile et generoso torneamento" diretto da Baglione Novello e da Averardo Montesperelli. Nell'agosto 1361 era costretto a lasciare Perugia perché implicato nella congiura fallita, che avrebbe dovuto togliere il potere ai "Raspanti" : ad essa parteciparono tutti i gentiluomini e più di mille popolari, con a capo Tribaldino di Manfredino. Ribelle, il B. prese forse anch'egli parte alle scorrerie in territorio perugino, nel corso delle quali fu catturato e decapitato il fratello Colaccio. Ma si sa anche che fu al servizio di Urbano V nella Marca, quindi nel Regno per il re d'Ungheria. Nella primavera del 1371 il B. rientrò a Perugia insieme a coloro, tra cui il cugino Pandolfo, che vi vennero riammessi dopo esserne stati espulsi nel 1368 per la congiura a favore dei papa. Nel 1372 il B. era uno dei sei ambasciatori mandati dal Comune di Perugia a Gregorio XI in Avignone. Più tardi fu uno dei priori che l'abate di Monmaggiore cacciò, nel maggio del 1375, dal loro palazzo. Nella sollevazione di Perugia contro il malgoverno di Gherardo di Puy, che ebbe inizio ai primi del successivo dicembre, troviamo il B. chiamato anzitutto a far parte, il 15 dicembre, dei cinque ufficiali della guerra, una sorta di quartier generale dell'insurrezione. Poi, quando furono redatti i patti della resa, il B. intervenne con altre personalità influenti alla deliberazione di mandare quattro cittadini con 100 lance a comunicare il testo dell'accordo agli assediati. Era ancora fra coloro cui i priori chiesero consiglio quando l'8 genn. 1376 si dovettero prendere decisioni in merito ad alcuni inconvenienti verificatisi durante l'esecuzione dei patti di resa. Il B. venne incluso, ovviamente, nel lungo elenco di Perugini coinvolti nel processo di scomunica instaurato dal papa in conseguenza della cacciata dell'abate di Monmaggiore. Il 4 marzo 1376 era fra i dieci "sapientes" eletti per deliberare "de modis tenendis circa regimine... civitatis". Il 3 giugno dello stesso anno fu mandato ambasciatore a Barnabò Visconti e al Comune di Bologna. E il 24 ottobre venne inviato ad Ascoli, dove, scrivendogli il 13 novembre successivo, i priori perugini gli si rivolgevano come "nobili et circumspecto viro civi nostro dilecto P. Cucchi de Ballionibus capitaneo nostre gentis armorum in civitate Eschulana...". Se ne deve dedurre che la missione ad Ascoli dovette essere non solo politica, ma anche militare, come del resto dimostrano i pagamenti a suo favore deliberati al principio dell'anno seguente, sotto la data del 17 gennaio. Il 17 marzo dello stesso 1377, ricordando che "multa... actitavit et fecit" contro il dominio clericale, il B. chiese e ottenne dai priori che fosse dichiarata nulla qualsiasi pretesa a suo carico basata su sentenza dell'ostile autorità ecclesiastica. Le benemerenze anticlericali non impedirono al B. di trovarsi in posizione scoperta - era già stato designato come uno dei futuri otto capitani delle porte e della guardia della città - nella cospirazione antipopolare e filopontificia che, scoperta al principio del 1378, gli procurò il confino all'Aquila, quindi a Lucignano, infine a Prato (30 genn. 1381). Ma non dovette certamente starsene quieto nell'esilio, se lo troviamo partecipe nel 1383 del "trattato" dei Michelotti a favore dell'antipapa Clemente VII che provocò una grave frattura in seno ai "Raspanti". Già del resto, nel settembre o al principio di ottobre del 1381, egli aveva fatto parte dei gruppo di fuorusciti che avevano preso Castel d'Arno e lo avevano conservato fino al 1382. Tuttavia anche il B., come il cugino Pandolfo, riacquistò nel 1384 i diritti politici e subito il suo nome apparve strettamente legato a quello del cugino, capi dichiarati, l'uno e l'altro, della reazione aristocratica che durerà per un decennio e che porterà all'espulsione in varie riprese di tutti i "Raspanti" attraverso una serie ininterrotta di atti arbitrari e di violenze, che incominciarono subito, appena dopo la riammissione dei nobili nella città.
Dall'aprile all'ottobre del 1384 il B. fece parte dei cinque ufficiali della guerra contro i figli di Ceccolino Michelotti e contro Guglielmino di Carlo d'Assisi. Il 23 dicembre fu eletto capitano generale per la riconquista dei luoghi (Fratta, Montone, Vernazzano, Montegualandro, ecc.) ancora non recuperati alla giurisdizione di Perugia. Nei primi mesi del 1385 l'operazione era, almeno in parte, compiuta. Alla fine di tale anno troviamo il B. eletto fra i cinque cittadini per l'unione e la quiete della città. Quindi nel 1386 fu segnalato a Urbano VI che aveva chiesto a Perugia un cittadino atto al governo di Corneto e di Montalto. È probabile che il B. abbia ricoperto tale incarico. Nel settembre del 1387 fu mandato a Lucca con cento cavalieri quale scorta al papa che veniva a Perugia. A questa missione si riferisce la lettera indirizzatagli dalla Signoria fiorentina il 16 settembre, con la quale si prendeva atto delle scuse del B. per essere passato senza licenza e senza preavviso per il territorio di Firenze, ma non si mancava di lamentare le ruberie commesse dai soldati perugini. Il 16 nov. 1387 il B. venne inviato ambasciatore a Urbino, al conte Antonio di Montefeltro, per trattare una comune difesa contro i Brettoni e le compagnie di ventura. Il 18 ag. 1388 fu spedito con genti armate e dotato di amplissimi poteri a Città della Pieve travagliata dalle fazioni. Vi dovette ritornare anche l'anno dopo "come huomo informato di quei mali humori".
Il 9 sett. 1389, dopo che il moto capeggiato da Pandolfo ebbe portato i nobili all'incontrastato dominio della cosa pubblica espulsi ormai tutti i "Raspanti", i priori e i camerlenghi nominarono per sei mesi cinque "prudentissimi" cittadini, i quali con pieni poteri e col titolo di conservatori della pace e della libertà del Comune di Perugia vigilassero "circa conservationem et manutentionem libertatis et status boni, liberi, pacifici et tranquilli comunis et populi perusini et circa custodiam et fortificationem civitatis et comitatus Perusii... et circa persecutionem rebellium". Tra i cinque, detti anche "dell'arbitrio", troviamo il Baglioni. Si approssimano gli anni decisivi del governo dei "gentiluomini", che storici e cronisti così duramente bolleranno. Il B. e Pandolfo, esercitando una sorte di tirannica diarchia, sovrapposero a ogni altro organo della costituzione comunale il loro potere personale, potere che neppure la presenza di Bonifacio IX, giunto nella città per pacificarla (17 ott. 1392), riuscì a scuotere: dei disordini che appena un mese più tardi indussero il papa a rifugiarsi nel monastero di S. Pietro e a fortificarvisi fu certamente responsabile, insieme a Pandolfo, anche il B., il quale tuttavia rispetto al violento cugino sembra essere una mente più politicamente matura e accorta. Sul finire del 1392 e nei primi mesi dell'anno seguente il B. fu particolarmente impegnato a Città della Pieve, di cui aveva in mano la rocca. Devastò Piegaro, tentò di sottrarre Monteleone e Cetona ai Montemarte d'Orvieto. Ma nel giugno del 1393, insieme alla rocca di Città della Pieve espugnata da Ceccolino Michelotti, cadde uno dei pilastri esterni del potere del B. e di Pandolfo, mentre in Perugia stavano per essere riammessi i "Raspanti", dietro i quali era la minacciosa presenza di Biordo Michelotti; questi non era tenuto verso i nobili nemmeno dai fragili patti che, auspice il pontefice e i Fiorentini, erano stati firmati a Deruta il 19 maggio 1393 dai fuorusciti e dagli ormai indeboliti aristocratici al potere. Il 30 luglio 1393 il B. fu ucciso insieme con Pandolfo dagli insorgenti "Raspanti" (riammessi solo il 1° luglio nella città), che rapidamente s'impadronirono di Perugia cacciandone i nobili e preparando l'ingresso di Biordo. In data 17 giugno 1394 la memoria del B. venne condannata e ne furono confiscati i numerosi beni, dei quali è conservata una duplice descrizione nei catasti dell'Archivio perugino. Il B. aveva sposato Chiara di Francesco degli Oddi. Suoi figli furono Domenico, Angelo, Giovanni, Polidoro; quest'ultimo lo troviamo, verso la metà del '400, podestà di Firenze.
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