TIBALDI (de' Pellegrini), Pellegrino
TIBALDI (de’ Pellegrini), Pellegrino. – Nacque a Puria di Valsolda (Como) nel 1527, da Tibaldo Tibaldi de’ Pellegrini, muratore e architetto (Morigia, 1595; Zanotti, 1756, p. 20, il quale corregge l’erronea indicazione 1522 di Malvasia, 1678, 1841, p. 162, ripresa da Marcello Oretti, in Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, d’ora in poi BCABo, ms. B 123, c. 447). Suo fratello minore Domenico (v. la voce in questo Dizionario), fu anch’egli pittore e architetto, nonché incisore, e assunse come lui il patronimico Tibaldi quale cognome.
La formazione, avvenuta a Bologna e forse a Roma, si svolse all’insegna del classicismo di marca emiliana e dell’affermazione della maniera michelangiolesca, ma in assenza di documentazione non è possibile stabilire rapporti di diretto discepolato. Tra le sue prime opere si collocano l’Adorazione della Galleria Borghese a Roma, firmata e datata (1548 o più probabilmente 1549, secondo le letture più antiche; Zanotti, 1756, p. 20; Oretti, in BCABo, ms. B 123, c. 456), e gli affreschi della sala Paolina in Castel Sant’Angelo, di datazione oscillante (1547-48 o 1553). Nel maggio del 1548 venne pagato per la decorazione delle stanze di Bernardino Elvino nella Camera apostolica di cui era tesoriere (Balzarotti, 2017). Nel 1549, sempre a Roma, lavorò ad allestire alcuni apparati effimeri in occasione delle esequie di Paolo III (Bertolotti, 1885), e nel 1550, prima di rientrare a Bologna, dipinse uno stemma di Giulio III nel corridoio del Belvedere (Vasari, 1568, 1906, VII, p. 416). Altre imprese decorative sono assegnate a Tibaldi in questo primo soggiorno romano: la partecipazione alla decorazione delle cappelle Duprè e Della Rovere nella chiesa della Trinità dei Monti, a fianco di Daniele da Volterra (ibid., pp. 416 s.; Baglione, 1649), una facciata in un cortile in vicolo Savelli, ancora esistente al principio del XX secolo (Voss, 1913, p. 299, fig. 2), e infine gli affreschi nella villa del futuro cardinale Giovanni Poggi sul Pincio, cui si potrebbero riferire un disegno recante lo stemma Poggi al Louvre (Cabinet des dessins, R.F. 9052; Bodmer, 1937, p. 17; Gaudosio, 1981) e un progetto per soffitto agli Uffizi (Gabinetto disegni e stampe, 994 E; Johnston, 1973, n. 2), per il quale tuttavia l’identificazione non è unanimemente accolta.
Al 1550-51, dopo numerose incertezze, è stata fissata la decorazione di palazzo Poggi a Bologna (Fortunati, in L’immaginario di un ecclesiastico, 2001; Bergamini, ibid.), dove Pellegrino congedò una delle sue maggiori imprese pittoriche nel ciclo con Storie di Ulisse in due sale dell’appartamento al pianterreno, entro una raffinata partitura a stucchi bianchi e dorati, in cui i modelli perineschi e michelangioleschi rivivono in atmosfere sognanti e ricercate così come in pose artificiose ed esagerate. A lui, coadiuvato da altri maestri (tra cui Giovan Francesco Bezzi, detto il Nosadella), spetta anche il fregio con storie bibliche nella sala di Susanna al piano nobile (Romani, 1988; Zacchi, in L’immaginario di un ecclesiastico, 2001). Pressoché contemporanei al ciclo mitologico di palazzo Poggi si devono ritenere gli affreschi parietali della cappella di patronato della stessa famiglia Poggi in S. Giacomo Maggiore a Bologna (1552; Winkelmann, 1994; Hansen, 2013, pp. 124-127), di cui Tibaldi avrebbe progettato anche l’architettura, secondo un’attribuzione seicentesca oggi contestata da evidenze documentarie (Hansen, 2001). Altri dipinti di questo secondo periodo bolognese sono la Sacra Famiglia con il Battista di Indianapolis e la Sacra famiglia di Capodimonte a Napoli (Winkelmann, 1986, p. 484), un perduto affresco in palazzo Paselli (Briganti, 1945, p. 106), e infine le due Sibille con putti della Pinacoteca nazionale di Bologna (Winkelmann, 1985).
Di ritorno nell’Urbe nel 1553, Tibaldi venne pagato per gli affreschi della chiesa di S. Andrea sulla via Flaminia (Bertolotti, 1885), oggi perduti, ma noti a Vasari tramite disegni preparatori (Vasari, 1568, 1906, VII, p. 417). Sul finire dello stesso anno dipinse un fregio nel palazzo Ricci Sacchetti a Roma (Pugliatti, 1984, p. 407) e ricevette l’incarico della decorazione della cappella del Battista nella basilica di Loreto, dove si recò nel gennaio del 1554, impegnandosi nei lavori sino all’estate del 1555 (Coltrinari, 2016). Di questo perduto ciclo pittorico rimangono solo due scene, la Predica e la Decollazione del Battista, ora nel palazzo apostolico lauretano. Nel 1554 è documentata la presenza di Pellegrino ad Ancona, dove dipinse il Battesimo di Cristo nella chiesa di S. Agostino (Da Morrovalle, 1964, p. 358; Gaudioso, 1973, p. 411), pala a cui Giuliano Briganti (1945, pp. 83-85) collegò tre elementi di predella raffiguranti la Decollazione del Battista (Milano, Pinacoteca di Brera), la Natività del Battista (Senigallia, coll. Morpurgo) e la Visitazione (Urbino, Galleria nazionale delle Marche).
Nel 1558, dopo un soggiorno bolognese (al quale si riconducono i ritratti del cardinale Poggi nella cappella in S. Giacomo Maggiore e l’affresco con Prometeo che rapisce il fuoco in palazzo Poggi), Pellegrino era di nuovo nelle Marche, ad Ancona, dove realizzò la decorazione pittorica della loggia dei Mercanti, saldata nel 1561 (Briganti, 1945, p. 125; Alexander, 1997). Il raggio delle sue commissioni si estese al ducato estense di Ferrara, dove nel 1562 portò a termine un affresco iniziato da Girolamo da Carpi nel monastero olivetano di S. Giorgio (Vasari, 1568, 1906, VI, p. 476), già ritenuto perduto alla fine del XVIII secolo. Al 2 febbraio 1564 risale una lettera di Tullio Albonese, commissario generale di Carlo Borromeo, da cui risulta che Tibaldi era a Bologna (Briganti, 1945, p. 125). L’anno successivo egli si recò per un periodo di tre mesi ad Ancona, mentre è incerta la sua partecipazione al ciclo di dipinti, ora perduti, che Carlo Cesare Malvasia (1678, 1841, p. 164) vide in palazzo Cupellini Malvezzi a Bologna. In un periodo appena precedente al trasferimento in Lombardia dovrebbero collocarsi la Visitazione del Rijksmuseum di Amsterdam, dubitativamente attribuita (Thiel, 1976), il S. Longino e la S. Margherita del castello Sforzesco di Milano (provenienti da palazzo Ferretti ad Ancona), e infine alcuni dipinti, in parte perduti, già in S. Michele in Bosco a Bologna (Winkelmann, 1986, p. 491), la cui paternità è stata di recente discussa e riassegnata al fratello Domenico (Benati, in Domenico e Pellegrino Tibaldi, 2011, pp. 314 s.).
Nel 1563, su incarico di Pio IV e del nipote Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, Pellegrino ebbe l’incarico di progettare e di seguire il cantiere del collegio Borromeo di Pavia (Baroni, 1937; Peroni, 1961; Alexander, 2005). Nello stesso anno si sposò con Caterina Muttoni (Giuliani, 1997). Il trasferimento definitivo in Lombardia avvenne però solo nel giugno del 1566 (Rocco, 1939, p. 210), e determinò l’abbandono dei cantieri delle fortificazioni di Ancona e Ravenna, patrocinati da Pio IV, su cui esistono scarne notizie, ma che dovettero rappresentare per l’artista l’occasione di convertirsi in maniera stabile alla pratica dell’architettura (Peroni, 1965; Alexander, 1997; Repishti, in Domenico e Pellegrino Tibaldi, 2011).
Il rapporto fiduciario di Tibaldi con il Borromeo gli valse numerosi incarichi sia per la famiglia del cardinale (chiesa di S. Maria Podone) sia nell’ambito della riorganizzazione del complesso episcopale di Milano: in modo particolare dal 1567 sino al 1585 Pellegrino fu architetto-ingegnere della Veneranda Fabbrica del duomo, dove congedò i progetti e diresse i lavori del battistero, del tempietto dell’altare maggiore, dei pulpiti circolari, dello scuròlo, del tornacoro, di alcuni altari nelle navate (Rocco, 1939; Repishti, 2003, pp. 33-43; Benati, 2010; Gritti, 2010; Russo, 2014; Cupperi, 2012), trovandosi a collaborare con gli scultori attivi presso la Fabbrica, dall’orafo Giovanni Andrea Pellizzone allo stuccatore e scultore Francesco Brambilla, nonché con stuccatori attivi nei cantieri alessiani di Milano come Antonio Abondio, detto Ascona, per il quale diede una perizia a Lodi relativa a una recinzione presbiteriale in marmo (Fraccaro, 1994).
Disegni relativi a queste opere, in particolare per il battistero e il tabernacolo, si conservano presso la Biblioteca Ambrosiana e la Raccolta Bianconi dell’Archivio storico civico di Milano (per tutti i disegni architettonici relativi al cantiere del Duomo si veda www.disegniduomomilano.it). Due disegni per le scene della vita di s. Ambrogio destinate agli stalli del coro si conservano presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano (F.251.Inf., nn. 87-88; Coleman, 1984), così come i dodici cartoni relativi alle vetrate con Storia dei ss. Quattro Coronati.
Negli stessi anni Tibaldi progettò la nuova canonica degli ordinari del duomo e il restauro del palazzo arcivescovile con le vicine scuderie (Fraccaro, 1991). Contemporaneamente aveva avviato il cantiere del collegio fondato a Pavia da Pio V Ghislieri (1571), di cui seguì i lavori sino al 1584 (Angelini, 2017).
Sul fronte dell’architettura religiosa si cimentò in diverse tipologie di edifici e diverse iconografie, dalla pianta centralizzata (primo progetto per la chiesa dei gesuiti di Milano, 1567; tempio civico di S. Sebastiano, 1577; chiesa del Lazzaretto, 1580; cappella del collegio Ghislieri) a quella longitudinale (chiesa di S. Cristoforo a Lodi, 1565-73; secondo e definitivo progetto per S. Fedele, 1568; santuario di Caravaggio, 1570-71; chiesa di S. Agata Martesana, 1572; chiesa di S. Gaudenzio a Novara, 1577; chiesa dei Ss. Martiri a Torino, 1577; santuario di Rho, 1584). I disegni elaborati per Rho si conservano tuttora presso il locale collegio degli oblati e sono di particolare interesse per l’attenzione agli spazi di accoglienza dei pellegrini, risolti in un grandioso quadriportico anteriore (Grassi, 1966, figg. 535-539), mentre i disegni per il santuario di Caravaggio si conservano presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano e presso l’Ashmolean Museum di Oxford (Scotti, 1973; Santucci, 2012). Nel 1571 Tibaldi elaborò inoltre un progetto, non realizzato, per il rinnovamento del tiburio della basilica di S. Ambrogio a Milano (Bonavita, 2004).
Nel campo dell’architettura civile si collocano invece, oltre ai due collegi pavesi, i palazzi Spinola, Cusani (poi Erba Odescalchi) e Visconti a Milano (Giacomini, 2003), e il collegio della Guastalla (1571), mentre di recente si è ribadito un coinvolgimento di Pellegrino nella progettazione della villa Pliniana di Torno (ante 1578), sul lago di Como, già ritenuta sua opera ma poi ricondotta a Giovanni Antonio Piotti (Della Torre, 1990; Bosman, 2013). Nel 1583, per il tribunale di Provvisione della città di Pavia, Tibaldi progettò la nuova cella campanaria della torre maggiore, crollata nel 1989 (Giordano, 1989b; Ead., 1991b), e nel 1585 diede un progetto per l’arco d’ingresso del ponte coperto (Tolomelli, 2000). Intensa fu anche la sua attività al soldo della Regia e Ducale Camera come ingegnere militare (Repishti, 2007) e come allestitore di apparati effimeri e scenografie (Della Torre - Schofield, 1994, pp. 42 s.). A testimoniare la sua attività in questo settore rimane un disegno (Biblioteca Ambrosiana di Milano, F.251.Inf., n. 64) relativo a un arco trionfale dove Pellegrino introduce il motivo della colonna dislocata sorretta da angeli, poi riutilizzato nell’altare della cappella della Guastalla in S. Fedele a Milano (Della Torre - Schofield, 1994, p. 222), completata da opere pittoriche di Giovanni Ambrogio Figino.
Nei primi anni Ottanta Tibaldi si trovò coinvolto in un processo intentatogli con l’accusa di malversazioni a danno della Fabbrica del duomo di Milano, da cui fu assolto nel 1585 (Annali..., 1881, p. 20; Rocco, 1939, pp. 41-60), mentre nel 1582, poco prima della morte del fratello Domenico, gli fu richiesto, per volere del cardinale Gabriele Paleotti, un parere sull’avanzamento dei lavori di ricostruzione della cattedrale di S. Pietro a Bologna (Terra - Thurber, in Domenico e Pellegrino Tibaldi, 2011). Proprio sul tema dell’articolazione funzionale e liturgica delle chiese cattedrali Pellegrino diede contributi significativi nei territori diocesani suffraganei dell’arcivescovo di Milano: Tortona (Perin, 1992), Bergamo (Schofield, in Domenico e Pellegrino Tibaldi, 2011), e infine Vercelli, dove avviò la ricostruzione del nuovo duomo con una pianta ricondotta al modello centralizzato del quincunx vaticano (Thurber, 1997).
Negli anni milanesi l’attività pittorica fu marginale, anche se Pellegrino «tutt’il giorno s’occupa nella pittura», come riferiva una fonte anonima coeva (Della Torre - Schofield, 1994, p. 42). Perduto è il ciclo raffigurante profeti, evangelisti e angeli nel palazzo ducale (poi Reale) di Milano, celebrato in rima da Giovan Paolo Lomazzo (Bora, 1998). Tibaldi fu inoltre attivo come coordinatore di campagne decorative e come perito (ad esempio nella cappella del Rosario in S. Tommaso di Pavia; Casati, 2012, pp. 172-178). Dopo la morte di Carlo Borromeo nel novembre del 1584, la posizione di Pellegrino quale ingegnere della Fabbrica del duomo si complicò, e forse per questo motivo egli assunse commissioni pittoriche, come la Madonna del Rosario nella parrocchiale di Frassineto Po (Alessandria), completata nel 1587 da Simone Peterzano (Natale, 1988).
Nel 1586, su invito di Filippo II, Tibaldi si trasferì in Spagna, dove è documentato nell’agosto di quell’anno affiancando Federico Zuccari (Scholz, 1984, p. 766; García-Frías Checa, 2006, p. 120). Lavorò alla decorazione pittorica del monastero di S. Lorenzo dell’Escorial, dove dipinse grandi cicli a fresco nel chiostro basso e nella biblioteca (Béguin - Di Giampaolo, 1993). Nel corso del soggiorno iberico si colloca anche la redazione di un trattato architettonico, parzialmente condotto come volgarizzamento del De architectura di Vitruvio e del De re aedificatoria di Leon Battista Alberti, e tramandato in due manoscritti non autografi (Paris, Bibliothèque nationale, ms. Ital. 464, e Milano, Biblioteca Ambrosiana, cod. P.246.Sup.; L’architettura di Leon Battista Alberti..., 1988; Tibaldi, 1990).
Di ritorno dalla Spagna in Lombardia nel 1596, Pellegrino congedò i progetti per la facciata del santuario di Saronno (Repishti, 2003, pp. 50-57) e per quella del duomo di Milano, noto solo attraverso la copia seicentesca di Francesco Maria Richini (Archivio della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano, Archivio Disegni, 205; Repishti, 2003, pp. 51, 57 s., figg. 44-45; J. Gritti, in www.disegniduomomilano.it/ disegni/detail/95/, 14 maggio 2019).
Tibaldi morì a Milano il 27 maggio 1596 (Motta, 1888, p. 43). Della sua biblioteca si conserva l’inventario redatto nel marzo 1600 (Giuliani, 1998). A continuare il retaggio familiare in Lombardia furono il cugino Andrea, già suo collaboratore all’Escorial, e il di lui figlio Domenico, che esercitarono la pittura sino al secondo decennio del XVII secolo (Barbieri, 2014-2015). Il figlio di Pellegrino, Lucibaldo (Luca Baldo), studiò al collegio Borromeo di Pavia e venne nominato giureconsulto nel 1590 (Giuliani, 1997, p. 51).
Nell’itinerario pittorico di Pellegrino resta ancora aperto il problema della formazione a Bologna con Bartolomeo Bagnacavallo, come vogliono diverse fonti (Malvasia, 1678, 1841, p. 154), o direttamente a Roma, al seguito di Perino del Vaga, come voleva Lomazzo (Le tavole del Lomazzo, 1997; ipotesi rilanciata da Romani, 1990). Su cartone di Perino sono stati forse realizzati due affreschi in S. Luigi dei Francesi, raffiguranti il Vaso di Soissons e la Battaglia di Tolbiac (Pugliatti, 1984). D’altro canto il catalogo tibaldesco poggia su un numero ridotto di opere da cavalletto e perlopiù sulla decorazione murale, spesso sottoposta, come nel caso degli affreschi escurialensi, a pesanti restauri nel primo Novecento. Molti dubbi permangono sul periodo anteriore all’Adorazione Borghese (1548-49), nel quale ricadevano dipinti poi riassegnati ad altri maestri (Winkelmann, 1986, p. 476). In particolare le incertezze cronologiche sulla sua partecipazione alla decorazione della sala Paolina lasciano aperto il dibattito sull’alunnato presso Perino e sulla data del suo arrivo nell’Urbe. Alla mano di Pellegrino è assegnato un corpus grafico cospicuo, anche se non sempre di sicura autografia (la produzione grafica fu esclusa dalla monografia di Briganti del 1945); esso conta fogli distribuiti in numerosi musei italiani ed europei, talvolta riconducibili a opere su tela o a fresco. Dello Sbarco dei compagni di Ulisse per rubare i buoi del Sole in palazzo Poggi esiste il disegno presso il Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi; un disegno per un camino raffigurante Ercole sulla pira e uno per il Dono di Eolo in palazzo Poggi si conservano al Louvre (Cordellier, 2001). Per l’Annuncio della venuta del Battista nella cappella Poggi esiste il disegno preparatorio a Windsor (Zamboni, 1967, p. 153), per il Battesimo delle turbe uno schizzo a penna al Metropolitan Museum di New York (Bean - Stampfle, 1965). Inoltre un disegno del Battesimo di Cristo di Ancona si conserva al Teylers Museum di Haarlem e disegni per gli affreschi escurialensi si conservano a Londra (British Museum) e a Venezia (Gallerie dell’Accademia; Béguin - Di Giampaolo, 1993). Due fogli, divisi tra l’Albertina di Vienna e la Biblioteca Ambrosiana di Milano, sono stati recentemente attribuiti a Pellegrino e ricondotti a un suo possibile coinvolgimento nel cantiere decorativo della sala Regia in Vaticano nella primavera del 1564 (Colzani, 2017). A partire dalla pala della Galleria Borghese e dall’intervento nella chiesa della Trinità dei Monti, oltre all’influenza michelangiolesca, nella pittura di Pellegrino le vene del manierismo tosco-emiliano e soprattutto di Daniele da Volterra sembrano intensificarsi. Modi del classicismo raffaellesco appaiono soprattutto negli affreschi della cappella Poggi, mentre suggestioni parmigianinesche e influenze venete riemergono di continuo nelle opere bolognesi e marchigiane. Tibaldi sembra caratterizzato sia in pittura sia in architettura da uno stile spregiudicatamente duttile ai desiderata dei committenti, ma impositivo rispetto ai contesti operativi, mediando tra cultura classicista, enfasi manieriste, rigori postridentini. In pittura egli mescolò motivi classicisti, o meglio raffaelleschi, con la lezione di Michelangelo e Primaticcio, elaborando infine una cifra stilistica sofisticata, adeguata sia a scene mitologiche sia a episodi della storia sacra, che gli valse da parte di Giuliano Briganti (1945) il riconoscimento di grande divulgatore della Maniera. In architettura la sua approfondita conoscenza dell’antico (Pantheon in primis) e del primo Cinquecento romano (la nuova basilica vaticana; Della Torre - Schofield, 1994, pp. 51-116) si univa a un senso della magniloquenza particolarmente risentito ma spesso rivestito di motivi decorativi ora sobri ora ricercati, distanti nettamente dall’horror vacui di Galeazzo Alessi, il quale pure dovette esercitare su Tibaldi una certa influenza sin dal soggiorno bolognese del 1553-55, e poi per tramite delle sue opere milanesi (palazzo Marino, S. Barnaba, facciata di S. Maria presso S. Celso). L’uso dell’ordine architettonico assunse una funzione ritmica influente sulla spazialità delle aule ecclesiali soprattutto in S. Fedele a Milano, con la giustapposizione di due campate quadrate con colonne libere angolari, e in S. Gaudenzio a Novara, dove le pareti della navata sono scandite da binati di semicolonne, nonché nella chiesa dei Ss. Martiri a Torino, sfondando il perimetro dell’aula con magniloquenti serliane su colonne. Di contro, nei santuari di Rho e di Caravaggio, ma ancor prima nella chiesa degli olivetani di Lodi, l’architetto optò per nitide e rigorose paraste con modanature squadrate e rivestimenti candidi (Giordano, 1989a, pp. 56-58; Ead., 1991a); anche per le facciate delle chiese egli sperimentò soluzioni differenti, dall’equilibrato impaginato edicolare di S. Fedele alle ipertrofiche scansioni ritmiche del santuario di Saronno o della chiesa di S. Raffaele a Milano, dove nelle grandi erme di sapore alessiano si dimostra una sensibilità risentita per il complemento scultoreo. In definitiva, al dibattito architettonico coevo Pellegrino offrì un repertorio di opzioni linguistiche di straordinaria ricchezza e modernità. Anche sul fronte più circoscritto dell’architettura milanese Tibaldi lasciò un’eredità difficilmente eludibile, e misurabile in negativo sulle dure opposizioni di Martino Bassi (a più riprese dal 1569; Annali..., 1881, pp. 81 s.; Rocco, 1939, pp. 23-40), suo principale antagonista sulla scena cittadina, ma in particolare apprezzabile in Ercole Turati e Giuseppe Meda, nonché, in prospettiva, in Francesco Maria Richini.
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