PELLEGRINO da Sessa
PELLEGRINO (Peregrino) da Sessa. – Non sono noti né luogo e data di nascita, né i nomi dei genitori di questo scultore, attivo nell’Italia meridionale nella seconda metà del XIII secolo. Il suo nome è tramandato da due iscrizioni che ricorrono, rispettivamente, sulla base del candelabro del cero pasquale della cattedrale di Sessa Aurunca e nella cornice inferiore di un bassorilievo raffigurante Giona vomitato dalla balena, parte di un ciclo comprendente anche la Predica di Giona a Ninive e due Pavoni che si abbeverano a un kantharos. I rilievi, ora murati nella navata destra della cattedrale, rivestivano la rampa e il parapetto della scala di accesso all’ambone, demolita nel 1756 (Di Lella, 1904, p. 47; Carotti, 1978, p. 753; Capomaccio, 2002, p. 113), e a tale funzione si deve la loro forma trapezoidale. Il testo delle iscrizioni si ripete identico in entrambi i casi: «Munere divino decus et laus sit Peregrino talia qui sculpsit. Opus eius ubique refulxit».
La maggior parte della critica ha identificato lo scultore con il «magister Peregrinus» richiamato da Carlo I d’Angiò per completare l’esecuzione di «fenestras vitreas» in una sua cappella sita nel «viridario» di S. Lorenzo presso Foggia, come attesta una missiva inviata al balio di Sessa nel 1273 (Bertaux, 1903, p. 768). Perplessità sono state però espresse da Dorothy Glass (1991, p. 156), e non è improbabile che si tratti di un caso di omonimia, vista la diversa natura delle opere richieste dal sovrano. Il documento del 1273 ha avvalorato in passato l’ipotesi di una presunta provenienza pugliese di Pellegrino (Cochetti Pratesi, 1958, pp. 85-87), da altri ritenuto di origine capuana (Carotti, 1978, p. 976, con bibl.) o erroneamente identificato con l’omonimo scultore «de stirpe Salerni» che firma l’iconostasi della cattedrale di Bari, databile intorno al 1233 e stilisticamente distante dai rilievi di Sessa (Glass, 1991, p. 156, con bibl.).
Un’altra iscrizione sulla base del candelabro di Sessa consente di riferire tale manufatto alla committenza del vescovo Giovanni (1259-83), che portò a termine l’allestimento dell’arredo liturgico della cattedrale, avviato dai suoi predecessori. Al vescovo Pandolfo (1223-59) si deve l’ambone, già iniziato in anni anteriori al suo episcopato come dichiara una delle due iscrizioni superstiti; al successore Giovanni spetta, oltre al candelabro, anche il coro a intarsi marmorei, smantellato nel XVIII secolo e in parte reimpiegato dopo il 1850 nel parapetto della tribuna dell’organo, opera di un maestro Taddeo non altrimenti documentato. Una terza iscrizione sull’ambone, registrata dalle fonti e non più in situ, attribuiva la conclusione dell’opera a Giovanni (Bertaux, 1903, p. 603), ma non è possibile stabilire con certezza se l’epigrafe fosse riferibile al compimento dell’ambone esistente, e quindi alla creazione della scala con i rilievi di Pellegrino, o ad altri lavori.
Alcuni studiosi ritengono più probabile che le Storie di Giona provengano dalla scala di un secondo ambone perduto (Venturi, 1904, p. 589; Glass, 1991, p. 209), ma non sussistono prove sull’originaria destinazione dei rilievi a tale struttura. La raffigurazione di Giona nella balena, intesa come prefigurazione della morte e resurrezione di Cristo, si riallaccia comunque a una tradizione molto diffusa in Campania, dove la rappresentazione del profeta, dapprima inghiottito e poi rigettato dalla pistrice, si trova comunemente affrontata sui salienti degli amboni a doppia rampa con allusione al messaggio salvifico della Parola di Dio (Glass, 1991; Scirocco, 2015). L’aggiunta dell’episodio con la Predica di Giona a Ninive distingue il programma figurativo dell’ambone di Sessa dagli esempi più antichi. Secondo una recente ipotesi, nella scena sarebbe da scorgere un modello di buon vescovo che, come Giona con i niniviti, esorta i fedeli a pentirsi dei propri peccati per raggiungere la vita eterna, simboleggiata dai pavoni (Scirocco, in corso di stampa).
Novità si registrano anche nell’iconografia del candelabro, che presenta una base figurata con tre personaggi maschili e tre femminili che inscenano una processione pasquale. Il fusto della colonna tortile, in marmo bianco e mosaico, è suddiviso in tre sezioni da due anelli con rilievi. In quello inferiore, il vescovo in cattedra è circondato da cinque ministri; in quello superiore, Cristo in trono, affiancato da un angelo su ciascun lato, corrisponde all’immagine del vescovo nell’anello sottostante. Completano la scena tre santi, uno dei quali identificabile in s. Pietro, gli altri due interpretati come s. Paolo e s. Casto, quest’ultimo vescovo e martire sessano (Capomaccio, 2002, p. 219). Più che una trasposizione visiva della cerimonia del sabato santo, il ciclo sembra incentrato sulla celebrazione dell’autorità vescovile, derivata direttamente da Cristo attraverso la mediazione apostolica.
La cultura figurativa di Pellegrino si distacca dal classicismo romanico campano, testimoniato proprio a Sessa dai rilievi del portale centrale della cattedrale, in favore di una resa naturalistica pienamente partecipe del clima artistico di marca gotica che contraddistingue l’Italia meridionale in età federiciana e protoangioina, in parallelo con l’esperienza del più noto Nicola di Bartolomeo da Foggia. Il mostro che divora Giona tradisce lo studio dal vivo di esemplari della fauna marina. Uno spiccato interesse per il dato realistico si riscontra anche nelle frequenti osservazioni di costume e nella caratterizzazione emotiva dei personaggi raffigurati sulla base del candelabro e nella Predica a Ninive. Nei rilievi lo scultore affronta problemi nuovi come la rappresentazione delle forme in scorcio e il rapporto tra anatomia e movimento (Gandolfo, 1999, p. 118).
Non sono note altre opere di Pellegrino, al quale Francesco Gandolfo (1999, p. 116) ha attribuito anche i capitelli dell’ambone, distinguendo la sua mano da quella dello scultore responsabile delle figure presenti negli anelli del candelabro, di qualità inferiore.
Ignoti sono il luogo e la data di morte di Pellegrino da Sessa.
Fonti e Bibl.: É. Bertaux, L’art dans l’Italie méridionale. De la fin de l’Empire Romain à la Conquête de Charles d’Anjou, II, Paris-Rome 1903, pp. 602-605, 768-771; A. Di Lella, Studi di storia e di archeologia nell’arte medioevale ‘neo-campana’, Cassino 1904; L. Venturi, Storia dell’arte italiana, III, Milano 1904, pp. 581-590; L. Cochetti Pratesi, Rilievi nella cattedrale di Sessa Aurunca e lo sviluppo dei marmorari ‘neocampani’ nel XIII secolo, in Commentari, IX (1958), pp. 75-87; A. Carotti, in L’art dans l’Italie méridionale. Aggiornamento all’opera di Bertaux sotto la direzione di Adriano Prandi, V, Rome 1978, pp. 751-755, 975-977 (con bibl.); D.F. Glass, Romanesque sculpture in Campania. Patrons, programs and style, University Park, (Pa.) 1991, pp. 148-159, 209-217 (con bibl.); F. Gandolfo, La scultura normanno-sveva in Campania, Roma-Bari 1999, pp. 111-119; C. Capomaccio, ‘Monumentum resurrectionis’. Ambone e candelabro per il cero pasquale. Iconografia e iconologia del monumento nella cattedrale di Sessa Aurunca, Città del Vaticano 2002; E. Scirocco, Jonah, the whale and the ambo, in Antique memory and Medieval art, a cura di I. Foletti, Roma, in corso di stampa.