BROCARDO (Broccardo, Brocardi), Pellegrino
Nativo di Pigna (Imperia), come risulta da una lapide apposta sulla casa del canonico primicerio a Ventimiglia da lui fatta restaurare e ampliare n 1565, non si sa nulla delle sue vicende, salvo che era stato a Milano, a Roma, a Napoli e forse anche a Venezia, fino al viaggio in Egitto intrapreso nel 1556, al quale è affidata la sua fama.
Partito da Ragusa il 12 apr. 1556, rimase a lungo bloccato a Corfù in attesa di un'occasione d'imbarco.
Un giorno che, per ingannare il tempo, aveva preso a tracciare un disegno di quella fortezza, arrestato come spia e condotto davanti al bailo veneziano, venne tosto rimesso in libertà per intervento di Bortolo Vendramin, che era fortunatamente in sua compagnia. Riprese il viaggio il 10 maggio sulla nave "Riccia", e toccata Zante - dove vide il preteso sepolcro di Cicerone - dopo una sosta di quindici giorni a Candia, in quattro giorni, a bordo d'una nave ragusea, raggiunse Alessandria. Il 18 luglio partì alla volta del Cairo, che risalendo il Nilo raggiunse al tempo del "bairan". Il 10 agosto, con una carovana di asinelli, andò a Mataria, uno dei Luoghi Santi, celebre per il giardino del balsarno, e il 7 agosto assistette alla pittoresca festa della "tagliata del Nilo". Due giorni dopo si recò a visitare le piramidi e ne prese con cura le misure, tracciando un disegno della maggiore.
Il 17 settembre iniziò il viaggio di ritorno e per via fluviale raggiunse Rosetta, donde proseguì per Alessandria. Contava di imbarcarsi per Cipro, ad Abukir, per poi recarsi a Gerusalemme, ma non sappiamo se sia riuscito a realizzare il suo programma.
Il racconto di questo viaggio in Egitto è in una lettera che scrisse da Alessandria il 17 ott. 1556 a un "signor Antonio" non meglio identificato. La lettera descrive Alessandria, soprattutto nei porti e nelle fortificazioni, il Cairo coi suoi minareti carichi di lampade, le piramidi, le sfingi e - diffondendosi in molti particolari per numerose pagine - lo spettacolo della partenza della carovana per la Mecca, che mosse dal Cairo il 24 agosto. Essa è contenuta nel ms. Marciano 6730, di provenienza Fontanini, e - nota a Marco Foscarini, che le aveva attribuito grandissima importanza per la parte dedicata alle piramidi - fu pubblicata integralmente nel 1803 dal Morelli. R. Almagià ne ha segnalato un'altra redazione in un codice vaticano miscellaneo (Lat. 6038, cc. 126-136), anonima, la quale differisce dalla marciana per un periodo in più (dove si indicano le dimensioni del Cairo) e inoltre contiene nove disegni a penna, richiamati nel testo, che rappresentano vedute prospettiche di Corfù, di Zante, della città di Candia, l'obelisco di Cleopatra e la colonna di Pompeo ad Alessandria, uno schizzo di questa città e uno, rezzamente abbozzato, del Cairo, la grande piramide, il "naviglio detto germa" e infine un'iscrizione copiata a Zante. Il codice marciano è invece privo di disegni, benché siano annunciati nelle ultime righe. Sempre l'Almagià fornisce un'ampia descrizione di una grande pianta prospettica del Cairo, acquerellata a colori su carta, che si conserva nell'Archivio di Stato di Torino in una raccolta di "Carte topografiche e fortificazioni" formata nella seconda metà del Cinquecento. In basso reca un rettangolo con l'iscrizione Nova et exacta Cayri Aegyptiorum chorographia a Peregrino Brocardo ligure una cum piramidibus anno 1557 augusti mense diligenter descripta et per locorum distantias commensurata, che aveva fatto credere all'Amat di San Filippo, il quale ne diede per primo la notizia, seppure alquanto imprecisa, che si trattasse di una redazione latina della lettera, assai più completa della versione datane dal Morelli.
Il B. scrive di aver intrapreso il viaggio apposta "per vedere queste cose e averne gli schizzi". Al Morelli egli non parve, "sebbene civilmente educato..., uomo di gran letteratura". Nella sua relazione manca infatti ogni notazione colta, e nella visita alle piramidi, che ne costituisce un po' l'elemento centrale, le vestigia di quell'antica civiltà lo lasciano del tutto insensibile; delle mummie egli non avverte che l'"odor di pece", e, benché non abbia timore d'avventurarsi all'interno di una piramide, entrandovi "per una buca, col capo all'ingiù e il corpo per terra", in definitiva non sa raccontare altro che d'averla vista tutta e misurata dentro e fuori.
In realtà la sua dimensione è proprio qui, in questo vedere e misurare, né gli si può chiedere altro, o magari muovergli l'appunto che non nomina Strabone e Plinio, come saprà invece fare vent'anni dopo Filippo Pigafetta. Le parole non gli servono se non per introdurre, accompagnare l'immagine, ed è soprattutto attraverso questa che egli s'esprime. Quando, credendolo suo cittadino (ma il Morelli cercherà invano di ricollegarlo alla famiglia veneziana che porta lo stesso cognome), Venezia lo ricorderà in una mappa della sala dello scudo in palazzo ducale, l'iscrizione dettata da Girolamo Zanetti spiegherà che ne è degno appunto perché "piramides ceterasque Aegiptiae et Romanae antiquitatis reliquias graphice delineatas in patriam misit".
Già all'epocca di questo viaggio doveva probabilmente essersi avviato al sacerdozio. Sembra comunque che non fosse mercante, come lo erano i suoi compagni, in particolare il veneziano Alfonso Basalù, del quale narra la morte immatura (ma pare incredibile che al Cairo non si sia riuscito a trovare quel po' di rabarbaro che sarebbe bastato a salvarlo). Da un mercante sarebbe stato lecito attendersi un'informazione più dettagliata su molti altri aspetti di un paese che per un occidentale era pur sempre quello dei prodotti d'Oriente. Egli li ignora quasi completamente, e per esempio, a proposito delle galere da mercato che vede ad Alessandria, tralascia l'importante notizia che vi erano state trattenute dalla peste, che aveva impedito a lungo il loro approdo.
Dal 1556 mancano sue notizie fino al 1565, quando lo troviamo "quasimodo canonicus et cantor" a Ventimiglia. Nel 1571 è suddiacono nella cattedrale di Genova e nel 1576 è canonico, sempre a S. Lorenzo, dove una lapide ricorda, nel chiostro, che costruì una casa a sue spese. Era in dimestichezza col vescovo Cipriano Pallavicino e fu a lungo suo ospite nella villa di Cornigliano. Il 19 genn. 1590, canonico della cattedrale di Genova e titolare del beneficio parrocchiale della chiesa di S. Tommaso in Pigna, nonché di una pensione di dieci scudi l'anno a carico della cattedrale di Ventimiglia, nominò un procuratore, dandogli mandato di liquidare una parte delle sue entrate in favore di Domenico Brocardo, canonico della cattedrale di Ventimiglia, presumibilmente suo parente.
Morì l'8 febbr. 1590.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Genova, Arch. notarile,not. Antonio Molfino, f. 10, atto del 19 genn. 1590; M. Foscarini, Della letteratura veneziana, Padova 1752, p. 377; I. Morelli, Dissertazione intorno ad alcuni viaggiatori eruditi veneziani poco noti, Venezia 1803, pp. 31-49 (ristampata in Operette, II, Venezia 1820, pp. 5985); P. Amat di San Filippo, Biografia dei viaggiatori italiani, Roma 1981, p. 299; G. Lumbroso, Descrittori italiani dell'Egitto e di Alessandria, in Atti d. Accad. naz. d. Lincei, s. 3, Memorie, III(1879), pp. 449-452; G. Ricchieri, Viaggiatori e descrittori italiani dell'Egitto dalla metà del sec. XVI in poi, in L'opera degli Italiani per la conoscenza dell'Egitto..., parte I, Roma 1926, p. 135; R. Maineri, P.B., in Giorn. stor. e lett. della Liguria, XIII (1937), pp. 42-44; R. Almagià, Intorno al viaggiatore P. B., in Rivista geografica italiana, LXI (1954), pp. 328-331.