Vedi PELLA dell'anno: 1965 - 1973
PELLA (Πέλλα, Pella)
Città dell'antica Macedonia nel territorio della Bottièa, capitale del regno macedone dal tempo di Archelao (circa 400 a. C.), residenza di Filippo e città natale di Alessandro.
Stefano di Bisanzio (s. v. Pella) riferisce che il più antico nome della città era Boùnomos o Bounòmeia (Βούνομος o Βουνόμεια = pascolo di buoi). Il nome storico è tramandato di regola nella forma Πέλλα (così anche in Erodoto), ma anche Πέλλη (Ateneo, Plutarco, Suda), donde latinamente Pelle (Pomponio Mela), o al plurale Πέλλαι (Suda, s. v. ῾Ηρόδοτος).
Il nome di P. fu spiegato dagli antichi con miti eziologici, i quali mostrano che mai gli antichi considerarono il nome estraneo alla lingua greca. Attualmente si fonda l'interpretazione del nome sopra la glossa di Esichio: Πέλλα•λίϑος ("Pella = pietra"), e lo si considera come equivalente di ϕέλλα, in relazione con ϕελλάτας "pietra" e ϕελλεύς, "suolo pietroso". I risultati degli scavi recenti confermano questa interpretazione.
Primo Erodoto (vii, 123) ci dà notizia di P. come di una città della Bottièa, dicendo che lo stretto territorio di questa regione lungo il mare è occupato da due città: Ichne (῎Ιχναι) e Pella. Tucidide nomina solo due volte P. (ii, 99, 4; 100, 4). La testimonianza più importante è la descrizione di Livio (xliv, 46) (che attinge probabilmente a Polibio) che afferma che Emilio Paolo pose il campo a mille passi da Pella.
L'altura di Faco, presso la città, è nominata anche da Polibio (xxxi, 17, 2) e il tesoro collocato in essa da Diodoro Siculo (xxx, 11, 1); essa deve il nome alla forma lenticolare (cfr. ϕακός "lenticchia"). Il tesoro è ricordato anche da Strabone (vii, 330, fr. 20). Nello stesso luogo Strabone ci dà notizia che P. "ha una rocca nel lago chiamato Ludia" alludendo evidentemente alla fortezza nel Faco. Da questo lago, prosegue Strabone, "fluisce il fiume Ludia" che presenta fino a P. un percorso per nave di 120 stadî (Strab., loc. cit.; cfr. ibid., fr. 22 e 23 e Scilace, 66). Risulta chiaro da ciò che nell'antichità si poteva navigare il fiume Ludia e il lago omonimo a P., la distanza dal mare era allora di 22 km (contro i 30 di ora).
Le parti basse del lago presso P., dove probabilmente era anche l'intermuralis amnis di Livio (v. sopra), erano conosciute sembra, col nome di Βόρβορος, a giudicare da Plutarco (De fuga, 603 C).
Le paludi e il lago, sotto il nome di Lago di Giannitsà, tenevano sommersa la pianura tra P. e Vèrria (Berèa) fin circa il 1930. Circa il 1937 il lago fu prosciugato completamente.
La posizione di P., fu identificata con approssimazione da viaggiatori del sec. XIX come Leake, Pouqueville, Consinéry, Griesebach e soprattutto Delacoulonche. Le osservazioni di questi sono riassunte in M. Dimitsas (῾Η Μακεδονία, ecc., p. 100 ss.). A. Struck (Makedonische Fahrten, ii, Serajevo 1908), preparò alcuni schizzi topografici (cfr. Ph. M. Petsas, Pella, in Balkan Studies, i, Salonicco 1960, p. 121): alcuni mostrano gli stadî successivi, attraverso i quali sarebbe passato il Golfo Termaico e il lago, rispettivamente nei secoli V e I a. C. e circa il 500 d. C. Gli scavi condotti da G. P. Oikonomos non, avevano potuto inigliorarli sensibilmente (cfr. E. Oberhummer, in Pauly-Wissowa, vol. xix, c. 342 ss.).
Nei tempi storici, tranne la menzione di Erodoto e quella di Tucidide, null'altro ci è tramandato fino al termine della guerra del Peloponneso, quando Archelao (413-399 a. C.) decise di costruire un palazzo in P. (decorato da Zeus) e di trasferirvi la capitale da Aigai.
Da allora P. crebbe rapidamente in grandezza e importanza. Durante gli anni torbidi che seguirono il regno di Archelao e soprattutto dopo la presa della città da parte degli Olinti, durante il regno di Aminta II, P. ebbe a soffrire probabilmente qualche diminuzione. Ma Senofonte ci riferisce che gli ambasciatori di Acanto e di Apollonia, parlando a Sparta, avevano chiamato P. "la più grande delle città in Macedonia" (Xen., Hellen., v, 2, 13).
Ai tempi di Filippo e di Alessandro le notizie intorno a P. sono rare e inesatte. È tramandato esplicitamente che essa fu la sede di Filippo V e di Perseo (Polyb., iv, 66, 6; xxix, 4,7; Liv., xxvi, 25, 1; xxxvii, 7, 11; xlii, 41, 12).
Dopo la battaglia di Pidna, P. passò in potere dei Romani (168 a. C.), i quali depredarono il centro politico e morale dell'avversario. In seguito alla divisione della Macedonia, P. divenne la capitale della terza parte, mentre a capitale della seconda fu scelta Tessalonica (da allora questa città si accresce rapidamente a scapito di P. che da allora decade). È notevole che non si conoscano monete di P. dal 168 a. C. fino al 148 a. C. Solo dal 30 a. C. P. compare di nuovo nella monetazione con il titolo Colonia Iulia Augusta Pella, e costituisce una stazione della Via Egnazia. Dione Crisostomo, circa il 100 d. C., dice di aver visto in P. solo "molta terracotta frantumata" (xxxiii, 402); ma evidentemente esagera. Più esatta la testimonianza di Luciano (150 circa d. C.), il quale dice di P. che un tempo, sotto i re macedoni, era un luogo felice, ora ha poveri e pochissimi abitanti (Alex. sive Pseudom., 6). Le successive sorti di P. sono meno note. Comunque è citata ancora da Ierocle nel sec. VI d. C. e da Costantino Porfirogenito nel sec. X.
Scavi. - Dopo l'unione della provincia alla Grecia (1912) la Società Archeologica Greca, per opera di G. P. Oikonomos, cominciò da P. le sue ricerche in Macedonia. Esse furono interrotte dopo solo due campagne di scavi (1914-15), dalla prima guerra mondiale. I reperti erano: case elleniche del tipo a peristilio con cripta ipogea e pozzo; accessorî diletti e suppellettili di bronzo e ferro, monete d'argento di Cassandro, ecc.
Dal 1955 il Servizio Archeologico Greco ritornò a P. per ricerche superficiali dapprima e raccolta di reperti casuali. Fu rinvenuto allora un notevole cane di marmo, databile circa al 460 a. C. Conseguenza di questi lavori furono gli scavi, esplorativi da principio (diretti da Ph. Petsas, dall'aprile 1957). In seguito ai risultati di quelle prove, furono intrapresi scavi sistematici su larga scala, che cominciarono nel maggio 1957 e continuarono fino ad ora (1963), per opera dell'eforo della zona Ch. Makaronas, con la collaborazione di Ph. Petsas.
I risultati furono particolarmente ricchi. Con scavi di prova fu accertata da principio l'estensione della città. Si trovò che l'acropoli si estendeva sopra una duplice altura, cioè sopra il colle, dove è ora il comune della Paleà Pèlli, ma anche sul colle a occidente di esso, dove nessuno aveva sospettato prima l'esistenza di resti della città.
Fu identificato anche il Faco, la fortezza che era un tempo entro il lago; ma si mostrò che l'altura artificiale non era originariamente opera dei re macedoni, ma un insediamento preistorico, almeno dell'epoca del Bronzo. Non è inverosimile che questo centro preistorico, eccellente terreno da pascolo, si chiamasse Bounomos.
D'altra parte si trovò che le costruzioni della duplice acropoli erano fondate su roccia viva e che il rivestimento attuale della roccia è soltanto quello che si formò dopo la rovina di esse. Si spiega così anche il nome storico di P. ("luogo pietroso"). Il cambiamento del nome fu conseguenza, pare, del passaggio del centro della città, dai pascoli presso il lago, dove era l'insediamento preistorico del Faco, alle alture rocciose dove fu l'acropoli dei tempi storici.
Fra i reperti del colle occidentale dell'acropoli è un capitello dorico del principio del sec. IV a. C. Questo e altri indizî (mura monumentali di spessore fino a 2,20 m; costruzioni di grandezza impressionante, ecc.) rafforzano l'ipotesi che su questo colle occidentale si alzasse il palazzo di Archelao, sebbene la maggior parte dei ritrovamenti appartenga naturalmente all'età ellenistica.
Sul colle che è ora occupato dal comune Paleà Pèlli, soprattutto presso le rovine della chiesa dei SS. Apostoli, è logico che si sia ricercato il tempio più insigne di P., quello di Atena Alkidemos. Ma le ricerche condotte finora non hanno dato indizi convincenti. Parimenti attendono conferma dagli scavi tutte le notizie date a suo tempo da letterati e viaggiatori intorno ai templi della città, al teatro, ai ginnasî, agli altri edifici di carattere pubblico e religioso.
Limitate ricerche si sono fatte nelle tombe da una parte e dall'altra della città, nella località detta i Bagni di Alessandro Magno, e in varî punti entro la cerchia delle mura della città. Questa, negli anni di maggior fiore, si stendeva con dolce pendio dall'acropoli fino alle sponde del lago, segnate ora pressapoco dall'attuale fosso di prosciugamento.
Nel centro circa della città lo scavo fu particolarmente felice: furono scoperti splendidi edifici, in parte almeno a due piani, con peristili e pavimenti di mosaico, circondati secondo il sistema ippodameo da larghe strade, per le quali correvano condutture d'acqua di terracotta e canali di pietra.
Meravigliosa è l'ornamentazione dei pavimenti con ciottoli, soprattutto in due camere che sono adorne di rappresentazioni musive. I mosaici sono fatti con ciottoli naturali sia nella forma sia nel colore. I ciottoli sono principalmente bianchi o azzurro scuro, ma sono anche impiegati ciottoli di color grigio per le ombre e di vario colore per alcuni particolari. Singolare ed efficace il contorno delle figure, ottenuto con strisce di terracotta o di piombo (v. vol. v, p. 294).
Nel centro di una camera è la rappresentazione musiva di Dioniso nudo sopra una pantera: il dio porta in testa una corona e tiene con la sinistra il tirso, mentre con la destra si regge al collo della pantera.
Un secondo mosaico orna il centro di un'altra camera e rappresenta la scena di una caccia al leone, circondata da una cornice con decorazioni vegetali. Il leone occupa il centro della scena e assalta a sinistra una persona che si difende con la lancia; ma volge indietro la testa, verso destra, donde un altro giovane l'assale con la spada. Molto probabilmente tema della rappresentazione è il noto episodio di Cratero che, durante la caccia al leone presso Susa, salvò la vita ad Alessandro. La fig. 16 rappresenta Alessandro che si difende, a destra è raffigurato Cratero che si lancia da dietro contro il leone; questo sta nel mezzo tra le due figure umane. Altri due mosaici rappresentano una coppia di centauri e un grifone che dilania un cervo.
Alcune colonne, del primo peristilio scoperto in P., sono già state rialzate. Delle rimanenti parti architettoniche si ritrovarono soprattutto tegole di terracotta con ornamenti a colore e a rilievo, i cosiddetti στρωτῆρες καλυπτῆρες ἡγεμόνες e καλυπτῆρες ἀνϑεμωτοί, e le sime, ugualmente decorate, dei tetti terminanti con un frontone. Le comuni tegole del tetto portano bolli come quello della fig. 15. Altri bolli sono ΒΑΣΙΛΙΚΟΣ (sott. κέραμος), o le prime lettere della parola βασιλικός seguite dal nome, in genitivo, di fornitori o dignitarî del re, come: ΝΙΚΟΛΑΟΥ, ΣΩΣΙΑ, ΕΥΑΡΧΟΥ, ΛΥΣΙΜΑΧΟΥ, ΑΡΙΣΤΟΝΟΥ, ecc.; pochi bolli portano il nome di re come ΑΝΤΙΓΟΝΟΥ, ΦΙΛΙΠΠΟΥ, ecc.
Gli edifici del centro della città si datano alla fine del sec. IV a. C., ma alcuni presentano restauri improvvisati d'età posteriore. È evidente che la città nulla aggiunse di nuovo al suo aspetto monumentale, dopo la conquista romana del 168 a. C.: quel po' di vita che rimase ancora nell'interno di essa si svolse tra rovine riadattate rapidamente.
Al contrario, fuori delle mura della città, il territorio intorno ai cosiddetti Bagni di Alessandro Magno, a giudicare dagli scavi condotti finora, che hanno dato anche reperti ellenici e preistorici, presenta caratteri prevalentemente romani. La località si trova circa 1 km e mezzo a occidente della città. Se ricordiamo che Emilio Paolo si accampò mille passus inde, apparirà probabile che l'accampamento di Emilio si sia sviluppato poi in un centro romano. Questo centro, abbondante di acque, fu evidentemente la stazione della Via Egnazia che, fino ai tempi del dominio turco, conservò anche, in diverse forme, il nome della città (cfr. Delacoulonce, op. cit., p. 84).
Degli oggetti rinvenuti a P. prima e durante gli scavi, sono degni di ricordo: a) una stele sepolcrale di marmo che si trova ora al museo di Istanbul; b) un rilievo di marmo (probabilmente frammento di un frontone) rappresentante un uomo a cavallo, ora al museo di Salonicco; c) iscrizioni funebri, e alcune poche votive, in greco e in latino; alcune statue e rilievi di marmo, vasi di terracotta e di bronzo, una statuetta di bronzo di Posidone del tipo del Lateranense, idoletti di terracotta, arnesi e suppellettili di bronzo, di ferro, d'osso, intonaci colorati di pareti, monete d'oro, d'argento e soprattutto di bronzo. Questi ultimi oggetti sono custoditi nel museo provvisorio di P. e appartengono per lo più all'età ellenistica e a quella immediatamente seguente alla conquista romana.
Durante gli ultimi giorni di scavo della campagna del 1961 sono venuti alla luce importanti mosaici dell'inizio del III sec. a. C. Uno di essi rappresenta il ratto di Elena da parte di Teseo; un secondo mostra una scena di caccia, con due cacciatori seminudi fiancheggianti un cervo ed accompagnati da un cane; un terzo illustra un'amazzonomachia nel centro, circondata da fregi con decorazioni minori. L'identificazione del primo mosaico - il ratto di Elena - è resa certa dalla presenza di iscrizioni a fianco dei personaggi: la scena di caccia è firmata dall'artista (ΓΝΩΣΙΣ).
Bibl.: Per i primi scavi: G. P. Oikonomos, in Praktità, 1914 e 1915; id., in Deltion, 1918; id., in Ath. Mitt., 1926. Per la bibl. prec. al 1937 si veda F. Stählin, in Pauly-Wissowa, XIX, 1937, c. 341 s. I risultati dei nuovi scavi sono apparsi in: Bull. Corr. Hell. (Chronique des fouilles), 1957; Ann. Br. School Athens (Archaeology in Greece), 1957 ss. Brevi articoli furono pubblicati da Ph. Petsas, in Illustrated London News, 2 agosto 1958; Archaeology, 1958 e in Balkan studies, I, Salonicco 1960; M. S. F. Hood, Archaeological Reports for 1961-62, in Hellenic Society and the british School at Athens, 1961.