PELITTI
– Famiglia di costruttori di strumenti musicali a tastiera e a fiato attiva a Varese nel secolo XVIII, indi a Milano dal terzo decennio del secolo XIX.
La fabbrica Pelitti fu fondata a Varese da Luigi Giulio Melchisedech Pelitti, nato nel 1736 e figlio di Francesco Aquilino Giacob, per la costruzione di «clavicembali e organi da chiesa» (così l’articolo a firma di Luigi P.zini, 1881, 11, p. 103). La data di fondazione, incerta, va collocata dopo la metà del Settecento (e non nel 1720, come vorrebbe l’aneddotica autocelebrativa ottocentesca). Luigi Giulio morì dopo il 1785.
Continuarono l’attività in Varese i figli Paolo (nato il 3 novembre 1765, morto dopo il 1797) e Giovanni (nato il 6 ottobre 1775, morto dopo il 1820), i quali decisero di dedicarsi alla costruzione degli strumenti d’ottone (un corno del 1795 firmato da Paolo è a Roma, Museo nazionale degli strumenti musicali) e, almeno il più giovane dei due, anche al commercio degli strumenti. Il secondogenito di Paolo (nato nel 1795, morto dopo il 1815), che prese i voti come francescano con il nome di Aquilino, continuò invece per diletto a costruire strumenti a tastiera.
Tre dei nove figli nati dal matrimonio tra Giovanni Pelitti e Caterina Crespi si dedicarono a loro volta alla costruzione degli ottoni. Paolo, nato il 25 ottobre 1802, trasferì la fabbrica da Varese a Milano verso il 1822. Giuseppe, nato il 31 luglio 1811, e Carlo, nato il 7 gennaio 1818, si stabilirono anch’essi nel capoluogo lombardo. Allorché Paolo si spostò a Genova nel 1828 per impiantarvi una nuova azienda (ivi morì nel 1844), toccò al giovanissimo Giuseppe rilevare la fabbrica milanese; nel 1835 a Carlo fu affidato il ruolo di capo-officina, ch’egli mantenne fino alla morte, avvenuta a Milano nel 1864.
Si deve a Giuseppe Pelitti, «uomo straniero quasi alle lettere, ma pur dotato di uno squisito sentimento artistico e di una rara potenza inventiva» (Magrini, 1855, p. 262), l’impressionante successo ottenuto dalla ditta a partire dagli anni Trenta, nonché l’invenzione di vari strumenti musicali a fiato, alcuni dei quali ebbero duraturo successo.
Nel 1835 Giuseppe ideò il ‘bombardino’, un flicorno baritono in Si bemolle che ha riscosso un lungo consenso nelle bande italiane (oggi gli si preferisce l’euphonium, strumento affine, ma di differenti prestazioni). Dieci anni più tardi sottopose otto strumenti diversi al giudizio dell’Istituto lombardo di scienze e lettere, tra cui il ‘pelittifono’, costruito in gran parte in legno coperto di pelle, con solo la canna d’imboccatura e le valvole in metallo (unico esemplare a Roma, Museo nazionale degli strumenti musicali), presentato in un concerto di cui esiste un dettagliato rendiconto (Il Pirata, 26 agosto 1845). Di tale gruppo di strumenti fa parte anche il ‘controfagotto metallico’, descritto come «molto più sonoro del controfagotto comune, avente due semitoni di più nel grave, e qualche nota di più nell’acuto» (Premiazioni arti e industria, 1845). A questi va aggiunto il ‘bombardone’, che ottenne dalla commissione dell’Istituto un lusinghiero giudizio interlocutorio, non senza la raccomandazione di apportare alcune migliorie prima della valutazione definitiva. Per tutti questi strumenti Giuseppe ottenne una medaglia d’argento, con diritto a quella d’oro qualora essi negli anni seguenti fossero stati consacrati da un effettivo successo pratico (ibid.). Nel 1847 il costruttore ripresentò infatti il bombardone, questa volta chiamato ‘pelittone’, accompagnandolo con le attestazioni di numerosi e autorevoli musicisti che ne confermavano la validità, ciò che gli valse l’ambita medaglia d’oro. Nello stesso concorso presentò anche «una tromba di nuova invenzione […] con una pompa di lunghezza variabile colla quale senza cambiamento di ritorti si passa per tutti i tuoni» (ibid., 1847). Nella stessa circostanza Giuseppe sottopose altre due ingegnose invenzioni, un flicorno in Mi bemolle che prese poi il nome di genis (restato in uso nella terminologia bandistica italiana fino a qualche decennio fa) e un’intera serie di duplex, ossia coppie di strumenti distinti e indipendenti, ma muniti di un’imboccatura comune.
Nel frattempo si erano venute palesando le precoci doti tecniche e imprenditoriali del figlio Giuseppe Clemente, nato il 31 novembre 1837: nel 1860, visitate in un viaggio di studio le più rinomate fabbriche di strumenti a fiato tedesche e francesi, egli aprì una propria officina, assumendo 40 operai.
Alla morte di Giuseppe, avvenuta a Milano il 24 aprile 1865, le due aziende vennero unificate e fu acquistato lo stabilimento di via Castelfidardo a Milano, dove la fabbrica si trasferì verso il 1870, epoca cui risale un manifesto-catalogo con le foto di Giuseppe e Giuseppe Clemente. Qui l’azienda ebbe sede fin dopo il 1885, allorché fu aperta una succursale a Precotto (oggi Milano), che intorno al 1890 divenne la sede definitiva.
I tratti distintivi della ricerca tecnica di Giuseppe Clemente sono riassunti nell’articolo di Luigi P.zini, dove, a proposito dei suoi strumenti, si allude alla «cura delle forme in rapporto con le leggi dell’acustica», «alla perfetta intonazione, alla solidità ed ottimo funzionamento delle meccaniche», e ancora al fatto che «nello stabilimento Pelitti v’hanno veri e abili cesellatori, che prodigano intorno agli ottoni tutte le finezze e le seduzioni dell’arte loro» (P.zini, 1881, 13).
Grazie alle doti imprenditoriali di Giuseppe Clemente, la già florida azienda Pelitti ebbe dunque ulteriore impulso: allargò in breve tempo le sue esportazioni in molti Paesi, istituendo depositi a Buenos Aires, Lima e Montevideo. A lui si deve inoltre un ampliamento della gamma dei prodotti costruiti, l’inizio della produzione di strumenti a fiato in legno e della distribuzione di strumenti ad arco e a pizzico, nonché di musica a stampa e di altri prodotti (leggii, carta da musica, custodie per strumenti ecc.).
Tra le principali invenzioni riconducibili a Giuseppe Clemente nel periodo 1865-1880 vi furono tre serie complete di strumenti per fanteria, cavalleria e marina, appartenenti alla famiglia dei flicorni dal più piccolo al più grave, ma costruite con forme adeguate alla differente posizione di suono cui sono destinati, adatte quindi rispettivamente all’esecuzione durante la marcia, a cavallo, e da seduti.
A Giuseppe Clemente si deve anche la ‘tromba alla bersagliera’ (1870), flicorno a un solo pistone che divenne noto ovunque in Europa ed è tuttora conosciuto nel mondo anglosassone con il nome bersag horn. L’anno successivo realizzò, su esplicita richiesta di Giuseppe Verdi, le trombe per la ‘prima’ dell’Aida al Cairo. Ma la vera gloria ideativa fu rappresentata dallo strumento che, in omaggio all’illustre ispiratore, prese il nome di ‘trombone contrabbasso Verdi’ (1881).
Così recita una cronaca dell’epoca: «Verdi, unitamente al maestro Boito ed al signor Giulio Ricordi, si recò […] allo Stabilimento Pelitti, ove si fecero ripetuti esperimenti col nuovo trombone basso in si b[emolle], ottava del trombone tenore. Il nuovo istrumento ha dato splendidi risultati per estensione, timbro, sonorità, forza, dolcezza e facilità di esecuzione, accoppiandosi in modo perfetto cogli altri tromboni» (P.zini, 1881, 36, p. 319). A questo trombone furono affidate in seguito tutte le parti più gravi per gli ottoni nelle musiche italiane dell’Ottocento, di norma intestate ‘cimbasso’: questo termine aveva dapprima designato uno strumento di legno con campana metallica, e poi vari ottoni gravi con caratteristiche costruttive del tutto diverse dal trombone; si finì così per assegnare tal nome anche al nuovo trombone, che in Italia ha sostituito il basso tuba in orchestra almeno fino agli anni Venti. A partire dagli anni Settanta del Novecento si è ricominciato a costruire esemplari affini al ‘trombone contrabbasso Verdi’, anche se spesso tagliati in Fa e non in Si bemolle contrabbasso, reintroducendo per essi, seppur impropriamente, la denominazione di ‘cimbasso’.
Giuseppe Clemente svolse anche attività pubblica a favore dell’industria e del commercio degli strumenti a fiato nell’Italia postunitaria (fu tra l’altro sindaco di Precotto). Le prime evidenze di un’indole aperta e fondamentalmente generosa si rilevano già dalla fondazione di una società di mutuo soccorso a beneficio dei suoi dipendenti (Cronaca Varesina, 6 dicembre 1874). Magnanimo fu anche l’atteggiamento dimostrato da Pelitti verso i colleghi imprenditori (P.zini, 1881, 21). Sempre a lui, in quanto rappresentante delle istanze e degli interessi dei fabbricanti di ottoni, spettò difendere gli interessi delle esportazioni italiane messe in difficoltà da un nuovo trattato commerciale con la Francia (cfr. Pelitti, 1882).
Alcuni sventurati accadimenti familiari travagliarono gli ultimi anni di vita del grande costruttore. Nel 1887 venne a mancare prematuramente e in circostanze poco chiare il secondogenito Eugenio, nato nel 1861; nel 1898 morì suicida il primo figlio, Paolo, nato nel 1860. Non essendoci altri eredi diretti, alla morte di Giuseppe Clemente, avvenuta il 16 marzo 1905, la gestione della fabbrica passò per alcuni anni alla vedova Antonietta Corso (1834-1912), che la diresse fino alla sua scomparsa, quando l’attività passò a Carlotta Gola fino al 1915, che infine vendette definitivamente la ditta Pelitti ai fratelli Amedeo e Mario Bottali, già proprietari della fabbrica Antonio Bottali (Rovira, 1921).
La più importante e nutrita serie di strumenti a fiato Pelitti si trova a Roma, nel Museo nazionale degli strumenti musicali, dove è conservata anche la collezione privata di strumenti appartenuta alla famiglia.
Fonti e Bibl.: Milano, Archivio storico civico, Famiglie, Pelitti; Milano, Istituto lombardo di scienze, lettere e arti, Premiazioni arti e industria, 1845, 1847, 1853.
Mattinata musicale dell’editore Giovanni Ricordi, in Il Pirata. Giornale di letteratura, belle arti, e teatri, XI (1845), 17, p. 70; I. Cambiasi, Esposizione degli oggetti d’arti e manifatture in Brera, in Gazzetta musicale di Milano, VI (1847), 24, pp. 185-187; L. Magrini, senza titolo, ibid., XIII (1855), 33, pp. 260-262; Id., Fabbrica di strumenti in ottone di P. G., dall’I. R. Istituto di Scienze, Lettere ed Arti premiato colla medaglia d’oro per la creazione di Duplex, ibid., XV (1857), 36, pp. 283 s.; Fratellanza di mutuo soccorso tra operai addetti alla fabbricazione di strumenti musicali istituita dal Cav. G. P., in Cronaca Varesina, 6 dicembre 1874; P. Piacenza, Cenni sulla fabbrica d’istrumenti musicali di G. P. in Milano, Acqui 1872; L. P.zini, Visita allo stabilimento P., in Gazzetta musicale di Milano, XXXVI (1881), 11, pp. 103 s.; 12, pp. 111 s.; 13, pp. 123 s.; 21, pp. 193 s.; Visita di Verdi allo stabilimento P., ibid., 36, p. 319; G.C. Pelitti, Apprezzamenti sulla fabbricazione degli strumenti musicali in Italia, loro importanza, progressi ed esportazione, Milano 1881; Id., Relazione sugli strumenti musicali in legno in ottone ed a percussione presentati dalle diverse fabbriche alla Esposizione di Milano, Milano 1881; Id., I fabbricanti di strumenti musicali, Milano, 1882; E.G. Rovira, Il concorso nazionale di liuteria: Roma 1916-1920, Roma 1921, p. 11; R. Meucci, The Pelitti firm: makers of brass instruments in 19th-century Milan, in Historic brass society journal, VI (1994), pp. 304-333, ed. it. Una famiglia di costruttori di ottoni: i P. a Milano nel XIX secolo, in I Fiati, II (1995-1996), n. 9, pp. 52-59; n. 10, pp. 42-47; Id., Meucci, Zibaldone strumentistico milanese, in Rassegna di studi e di notizie… Museo degli strumenti musicali, XXXVIII (2011), vol. 34, pp. 307-309, 317.