Peire d'Alvernhe
Trovatore provenzale, nato in Alvernia e probabilmente di origine borghese. La sua attività poetica è documentata dal 1157 al 1170. Fu alla corte di Provenza e in quella di Spagna, fu in rapporto con Raimondo V di Tolosa, Raimondo Berengario IV di Barcellona, Alfonso VII di Castiglia e con Ferdinando II di León.
Ci sono rimasti circa venti componimenti sicuramente a lui attribuibili, la maggior parte di argomento amoroso, ma alcuni anche d'ispirazione religiosa e a sfondo moralistico, caratterizzati da uno stile elaborato e costruito secondo schemi retorici nel quale è avvertibile l'influsso dell'opera di Marcabruno. La sua produzione lirica rappresenta un momento di transizione e di equilibrio, come ricerca di una ‛ classicità ', nell'evoluzione della tradizione trobadorica fra la generazione della prima metà del secolo (Marcabruno, Jaufre Rude]) e quella sviluppatasi intorno al 1170 (Raimbaut d'Aurenga, Bernart de Ventadorn, Guiraut de Bornelh, ecc.). A quest'ultima si ricollega col ‛ vers ' Chantarai d'aquestz trobadors, sorta di rassegna satirica nella quale vengono citati dodici trovatori contemporanei e che fu composta probabilmente alla fine dell'estate del 1170, in una località di nome Puivert, in occasione di una sosta del corteo che accompagnava la principessa Eleonora, figlia di Eleonora d'Aquitania, in Spagna per le sue nozze con Alfonso VIII di Castiglia.
D. lo cita in VE I X 3 come esempio dei vulgares eloquentes che per primi poetarono in lingua d'oc, insieme con altri antiquiores doctores non nominati. Il modo della citazione è dovuto, secondo il De Lollis, all'informazione che D. trasse dalla vida provenzale, forse scritta in Italia da Uc de Saint Circ nel XIII secolo, nella quale P. d'Alvernhe viene definito " lo primiers bons trobaire que fo outra mon ", nonché alla posizione che i componimenti dell'alverniate dovevano occupare nel canzoniere provenzale conosciuto da D. e cioè all'inizio della silloge. Anche il Santangelo sostiene quest'ultima ipotesi, escludendo che il canzoniere visto da D. contenesse vidas trobadoriche, e amplia lo studio della tradizione manoscritta dei testi trobadorici con l'intento di definire la posizione che in essa ebbe la silloge conosciuta da Dante. I risultati di questi studi, però, suggeriscono di assumere una posizione più prudente e realistica, quella cioè per cui si considera probabile che D. abbia conosciuto diverse raccolte di liriche occitaniche sia a Firenze che a Bologna o alla corte dei Malaspina. Il Santangelo, inoltre, attribuisce ad antiquiores della citazione dantesca nel De vulg. Eloq. il valore di comparativo, deducendone che D. doveva conoscere altri trovatori anteriori a P. d'Alvernhe mentre, su questa base, tale conoscenza si dovrebbe escludere attribuendo all'aggettivo dantesco il valore corretto di superlativo relativo (cfr. l'ediz. Marigo, p. 312). Gli antiquiores doctores sono dunque gli altri poeti volgari più antichi, più o meno contemporanei di P. d'Alvernhe, e non altri più antichi di lui. Del resto anche in Vn XXV 4 D. non risale oltre la generazione di P. quando dice di non trovare poeti volgari di lingua occitanica anzi lo presente tempo per cento e cinquanta anni.
Un rapporto fra l'opera di P. d'Alvernhe e la lirica dantesca può forse istituirsi confrontando Al poco giorno e al gran cerchio d'ombra (Rime CI) con Dejosta ls breus jorns e ls loncs sers (ediz. Del Monte, VII). La canzone sestina dantesca, infatti, mentre mutua lo schema metrico da Arnaut Daniel (cfr. VE II X 2, XIII 2), appare vicina nell'intonazione e nella scelta delle immagini alla citata lirica di P. sia per l'analogia dell'esordio stagionale invernale sia, soprattutto, per l'affinità dell'immagine cromatica dell'alverniate (vv. 48-49 " dompneis d'amor q'en lieis s'espan e creis / plens de dousor, vertz e blacs, cum es nics ") con quella dantesca (vv. 10-11 il dolce tempo che riscalda i colli / e che li fa tornar di bianco in verde) che, pur nella diversità dell'impiego condizionato dalla scelta di verde come parola-rima nello schema della sestina, sembra evocata dalla suggestione della precedente immagine provenzale.
Bibl. - Edizioni: R. Zenker, Die Lieder Peires von Auvergne, in " Romanische Forschungen " XII (1900) 653-924 (e, in volume a parte, Erlangen 1900); A. Del Monte, P. d'Alvernha. Liriche, Torino 1955 (recens. di F. Lecoy, in " Romania " LXXVII [1956] 387-391). Per la bibl. relativa a P. d'A. si rimanda ad A. Pilleth. Carstens, Bibliographie der troubadours, Halle 1937. Si vedano inoltre, in particolare: C. de Lollis, Intorno a P. d'A., in " Giorn. stor. " XLIII (1904) 28-38; S. Santangelo, D. e i trovatori provenzali, Catania 1921 (1959²); A. Schiaffini, Lingua e tecnica nella poesia d'amore dai provenzali al Petrarca, in " Cultura Neolatina " III (1940) 149 ss; A. Viscardi, La poesia trobadorica e l'Italia, in Problemi e Orientamenti, IV, Milano 1948, 1 ss.; F.A. Ugolini, La poesia provenzale e l'Italia, Modena 1949; A. Schiaffini, D. e i trovatori, nelle dispense Letture del De vulg. Eloq. di D., Roma 1959; G. Folena, Vulgares eloquentes. Vite e poesie dei trovatori di D., Padova 1961; R.M. Ruggieri, Tradizione e originalità nel lessico " cavalleresco " di D.: D. e i trovatori provenzali, in L'Umanesimo cavalleresco italiano da D. al Pulci, Roma 1962, 67 ss.; T.G. Bergin, Dante's provençal gallery, in " Speculum " XL (1965) 15 ss.