peggio
Raramente attestato nelle opere minori di D., registra una maggiore frequenza nelle tre cantiche della Commedia.
Da notare innanzitutto il tipo sintagmatico ‛ fare p. ' (documentato in D. sempre in relazione con un precedente ‛ mal fare '), per porre in evidenza un'azione comparativamente più negativa, la quale finisce per ripercuotersi sul suo stesso soggetto: Pg XIV 116 mal fa Castrocaro, e peggio Conio; Pd V 68 più si convenia dicer ‛ Mal feci ', / che, servando, far peggio (" in modo più empio "; detto di Iefte, cui meglio si conveniva riconoscere di aver errato nel formulare il suo voto, piuttosto che mantenerlo sacrificando la propria figlia).
Cfr. altresì ‛ fruttare p. ', in . Pd XIII 71 un medesimo legno [albero], / secondo specie, meglio e peggio frutta (varia, opposta risultanza di ciò che è contingente in relazione all'influsso dei cieli). Vedi anche Pg XVIII 125. Locuzione avverbiale è di male in peggio, solo in Pd XXI 126 quel cappello, / che pur di male in peggio si travasa (progressivo decadere della dignità cardinalizia, cui sono elevate persone sempre meno degne). Si veda poi l'uso avverbiale di p. seguito da un aggettivo, o, meglio, da un participio con valore di aggettivo, in Cv III XV 17 peggio che morti, per esprimere una misura negativa al massimo grado.
Nell'uso poetico dantesco, p. è anche forma nominativale per ‛ peggiore ', in qualità di aggettivo indeclinabile (cfr. Cavalcanti A me stesso 6): Rime LXXV 3 peggio fia la lonza del castrone (dalla tenzone con Forese), in cui p. non vuol già indicare la minore bontà della lonza rispetto ai petti de le starne citati nel verso precedente, ma allude " al fatto che essa lonza, non meno delle starne, rovinerà il ghiottone nella borsa, e oltre a ciò fornirà la carta per le obbligazioni, che un giorno dovranno pure esser pagate " (Barbi, Problemi II 135).
Attestato è l'uso sostantivato di p. - preceduto anche dall'articolo determinativo: il peggio, " cosa peggiore " - che assume connotazioni diverse secondo il particolare contesto: If I 132 a ciò ch'io fugga questo male e peggio (qui " la dannazione "); XXVII 107 Allor mi pinser li argomenti gravi / là 've 'l tacer mi fu avviso 'l peggio (parla Guido da Montefeltro, l'incauto consigliere di Bonifacio VIII: " il tacere mi parve peggior partito che non il parlare ", Sapegno). Cfr. anche Pd VIII 115.
Nell'uso sostantivale è da comprendere la locuzione al peggio, soltanto in Pg X 110, col significato di " nel peggiore dei casi ", " nella peggiore delle ipotesi ".
Va rilevato, infine, il sintagma ‛ stare peggio ', seguito da proposizione infinitiva, nel senso di " esser cosa peggiore ", in cui la voce è assunta in funzione di predicato: Cv I II 4 peggio sta biasimare che lodare.