PEDAGOGIA (XXVI, p. 580; App. III, 11, p. 380)
La p. è la riflessione sull'educazione: tale riflessione può assumere le forme proprie dell'arte, della storia, della filosofia, della scienza e variamente collegarsi alle altre forme del sapere e dell'operare. Questa pluridimensionalità ne vieta ogni accezione rigida e univoca. La prima edizione della Enc. Ital. prospettava la p. come momento dialettico della filosofia, secondo il pensiero di G. Gentile; la terza Appendice ne indicava alcuni più recenti sviluppi come p. sociale e come p. sperimentale. In questa voce si puntualizzano alcuni aspetti che hanno ricevuto l'attenzione degli studiosi negli ultimi anni.
Pedagogia generale. - Con questo termine si comprendono per lo più gli studi che vengono chiamati presso vari autori di teoria dell'educazione: intesa da taluni come parte della filosofia, e da talaltri come una disciplina autonoma avente un proprio statuto distinto per oggetto e per metodo fra le altre scienze morali, o sociali, o umane. L'autodefinizione critica della p. rappresenta pertanto il primo problema della p. generale, che comporta anche la definizione dei suoi rapporti con le altre discipline consorelle (come l'etica, la psicologia, la sociologia, l'antropologia, anch'esse più o meno soggette a problemi analoghi).
Si può ritenere che la riflessione sull'educazione abbia attraversato successivamente vari stadi: intuitivo, empirico, storico, filosofico, scientifico. Tali stadi continuano a coesistere, anche quando il comparire di un nuovo punto di vista assume i dati precedenti entro un altro quadro di riferimento; la p. si presenta pertanto talvolta come un nome collettivo per ricerche diverse correlate all'educazione, quale mera unità attributiva delle scienze "pedagogiche", e comunque, pur nelle impostazioni più unitarie, come indagine multidisciplinare e tendenzialmente interdisciplinare.
Presso gli autori tedeschi, il dibattito è stato ampio e approfondito, anche in concomitanza col definirsi, nello stesso ambito culturale, del ruolo della psicologia (con W. Wundt e O. Külpe) e della sociologia (con A. e M. Weber). Le posizioni vanno da quella estrema di A. Lasson, per il quale la p. "non è una scienza e nemmeno parte di una scienza", ad altre più ambivalenti come quella di W. Dilthey per il quale essa è "un'anomalia nella scienza odierna", o di Th. Litt per cui essa "è un unicum scientifico", fino all'ammissione di essa come scienza morale in P. Natorp, H. Nohl, L. Von Wiese e altri (Stähler, Schadow, Simmen; significativa l'espressione di Moog per cui "il suo oggetto non è dato, ma è da creare"). In queste discussioni per lo più non è in gioco soltanto l'unità e autonomia della p., ma anche la questione se essa debba considerarsi piuttosto una scienza descrittiva di fatti, oppure una scienza normativa di valori: il che si ricollega alla distinzione introdotta dai neokantiani tra scienze della natura (nomotetiche, cioè di leggi esprimenti regolarità costanti) e scienze dello spirito (idiografiche, cioè di comprensione storica dell'individuale). Molti pedagogisti tedeschi condividono la tesi di F.E. Schleiermacher, che esiste un sistema assiologico-culturale, entro il quale l'educazione opera come mediatrice tra le generazioni: la p. è pertanto scienza descrittiva, ma descrittiva di realtà spirituali oltre che fisiche, cui si accosta con un metodo comprensivo (Dilthey) ed ermeneutico (Paulsen), che rivela l'emergenza dei valori dalla stessa storia. Si accostano a queste vedute tra i pedagogisti più noti A. Fischer, W. Flitner, G. Kerschensteiner, e un russo di cultura tedesca come S. Hessen.
Gli autori francesi (e svizzeri e belgi di lingua francese) sono di tendenze piuttosto eclettiche. Mentre per E. Durkheim la p. è teoria pratica dell'educazione, che applica i risultati della psicologia e della sociologia a un intervento intenzionale di "socializzazione metodica", per L. Cellerier essa studia i fenomeni educativi in riferimento agli scopi e ai fattori educando-educatore-ambiente, e per P. Lapie le teorie della p. sono semplici "corollari" della psicologia e della sociologia. Ben diverse e più ampie sono le interpretazioni di R. Hubert, per cui la p. deve "elaborare una dottrina dell'educazione che sia insieme teorica e pratica come la dottrina morale di cui è prosecuzione, e che non è esclusivamente scienza né tecnica né filosofia né arte, ma tutto questo insieme, ordinato secondo articolazioni logiche". Analogamente il belga R. Buyse ritiene che la p., superate varie tappe nella sua storia, "per esser pienamente sé stessa continuerà ad alimentarsi simultaneamente alle diverse fonti: l'empirismo dei pratici, l'ispirazione degl'innovatori, la visione sintetica dei filosofi, il controllo esatto degli scienziati". A queste vedute si accostano pure M. Debesse, R. Dottrens e G. Mialaret.
Gli autori inglesi e americani hanno impostato la questione dell'autonomia e unità della p. contestualmente alla polemica contro l'asssociazionismo empiristico ereditato da Locke, Mill, Bain e ripreso dal comportamentismo americano dopo Watson. Per gl'inglesi in particolare, sulla scorta della filosofia analitica di G. E. Moore, C. L. Stevenson, B. Russell, G. Ryle, il linguaggio pedagogico mal si presta a un'analisi rigorosamente formale, mentre offre interessanti risvolti a un'analisi informale; il suo linguaggio descrittivo si limita infatti a tassonomie o classificazioni, mentre il suo linguaggio prescrittivo formula per lo più regole troppo generali o troppo particolari; l'analisi informale dei termini mutuati dal linguaggio comune (come sviluppo, imparare, insegnare) rivela invece una ricca tematica. L'educazione si rivela essere, più che un processo, una famiglia di processi: un insieme di azioni verbali, performative, espressive che inducono a imparare nel senso di acquisire un modus operandi. Si distinguono in queste analisi autori come R. S. Peters, D.W. Hamlyn, P. H. Hirst, G. Vesey, R. F. Dearden, M. Oakeshott, J. P. White, J. Passmore. Da parte loro, gli americani come R. D. Archambault, B. O. Smith, M. Black, G. Kneller, I. Scheffler non assumono posizioni dissimili; secondo lo Scheffler, nell'analisi del linguaggio pedagogico bisognerebbe anzitutto chiarire le definizioni (distinguendo quelle stipulative da quelle descrittive, ed entrambe da quelle programmatiche o persuasive), indi gli slogans e le metafore. Il pensiero pedagogico angloamericano non si esaurisce del resto in queste indagini preliminari: da un lato continua la tradizione inglese dello Spencer, contrastata da una sempre viva tradizione platonica d'idealismo oggettivo; dall'altro continuano i fecondi sviluppi americani della tradizione del Dewey, anche se resi più attenti alle indicazioni della psicologia genetica con J. Bruner, e sollecitati da una problematica sociale egualitaria, come in B. Bloom, H. Passow e altri. Non mancano influenze della psicoanalisi, come in S. Isaacs, M. Klein, E. H. Erikson, H. J. Eysenck.
Gli studiosi italiani, declinato dall'inizio del secolo ormai il positivismo pur aperto a fermenti spiritualistici di G. A. Colozza, A. Gabelli, P. Siciliani, G. Tarozzi, si sono prevalentemente riconosciuti nelle file del neoidealismo gentiliano o crociano, o in quelle del neospiritualismo rosminiano o tomistico: ciò si traduce in una costante riaffermazione del primato filosofico, per cui la p. ritenuta in varia guisa più o meno autonoma (in quanto distinta dialetticamente, ovvero definita per un proprio oggetto formale) rimane comunque nell'ambito delle discipline filosofiche. Per i neoidealisti essa è soprattutto riflessione storica (C. Dentice d'Accadia, A. Attisani) o autoconsapevolezza dello sviluppo dello spirito (G. Lombardo Radice, che vi unisce viva sensibilità ai problemi didattici concreti); per gli spiritualisti essa è riflessione sul divenire della persona verso l'autocoscienza e l'autodominio, in quanto sostenuto dall'aiuto dell'educatore, a sua volta illuminato dai valori, ultimamente riferiti a una garanzia trascendente (B. Varisco, G. Calò, L. Stefanini, R. Resta, e i loro discepoli). I neotomisti (M. Casotti, N. Petruzzellis) la ritengono scienza nel suo nucleo essenziale filosofica, ma con molteplici apporti esterni sui piani della teleologia (dei fini), dell'antropologia (dei soggetti) e della metodologia (dei metodi: in questo settore con apertura alla ricerca sperimentale).
Accanto alle tradizioni accennate, nuove vie dischiudono quegli studiosi che accettano prospettive fenomenologiche e problematicistiche (G. M. Bertin) o rinnovano tratti dello strumentalismo deweyano (L. Borghi, A. Visalberghi). A questi ultimi si accosta, ma con viva sensibilità alla filosofia analitica e alla critica epistemologica, C. Metelli di Lallo, che propone un concetto di p. come tecnologia della condotta, per cui v. oltre. I marxisti infine fanno riferimento alla teoria gramsciana dell'egemonia, per sostenere una riduzione della p. sotto la categoria dell'ideologia.
In altri paesi, la p. annovera pure studiosi di spicco: fra gli altri vanno notati lo svedese Th. Husén e il belga G. De Landsheere, per i quali la p. si fonda principalmente sulla ricerca scientifica positiva; e il polacco B. Suchodolski, che polemizza con le posizioni dell'essenzialismo platoneggiante da posizioni di marxismo dialettico, arricchite da senso storicistico.
Pedagogia speciale. - Con il termine si designa non tanto il complesso degli studi e ricerche di carattere particolare o comunque "non filosofico" in riscontro a ciò che si è detto sopra, quanto piuttosto il settore di studi che riguardano l'educazione di soggetti che presentano dei deficit e sono pertanto disadattati. Data la grande rilevanza morale e sociale del problema, esso ha ricevuto notevole attenzione negli ultimi decenni. I disadattati possono trovare difficoltà d'inserimento nella vita normale per minorazioni di tipo sensoriale (cecità, sordità) o motorio (lesioni da malattia, come la poliomielite, o da trauma come parto distocico, mutilazioni, ecc.), ovvero per deficit intellettivo (idiozia, imbecillità, debilità mentale) o per disturbi nella sfera affettiva, del carattere e della condotta. Diverso è il caso di coloro che non presentano situazioni di questo tipo, ma solo disarmonie dello sviluppo reversibili, o ritardi dovuti a cause ambientali, o difficoltà e devianze di condotta per condizioni sociali: benché bisognosi di particolare assistenza educativa, essi sono infatti degli pseudoanormali cui giovano non tanto terapie quanto una piena normalizzazione delle circostanze di vita.
Dopo le premesse poste dal Pestalozzi e dal Froebel, i pionieri della p. speciale sono stati J. Esquirol, J. Itard ed E. Séguin (che fondò la prima "scuola speciale" nel 1852) seguiti da H. Hanselmann, O. Décroly, M. Montessori, S. De Sanctis, G. Montesano, e più recentemente da E. Minkowski, G. Mauco, H. Zulliger, A. Ossicini, R. Zavalloni. La p. speciale comprende tra i suoi compiti: il riconoscimento e l'intervento precoce sulle cause di disadattamento; l'azione concertata delle famiglie, della scuola e degli operatori sociali, attraverso équipes nelle strutture territoriali e centri e consultori; l'organizzazione eventuale di scuole speciali per soggetti disadattati gravi, e di classi differenziali, di recupero, di sviluppo, di appoggio o di rotazione per i soggetti con disadattamenti di media gravità; i disadattati lievi e quelli per cause sociali dovrebbero essere pienamente integrati nelle scuole ordinarie. Esiste oggi tuttavia la tendenza diffusa a ridurre ai soli casi gravissimi il ricovero in istituti appositi, facilitando al massimo l'integrazione a tutti gli altri, onde evitare l'innesco di un circolo vizioso di automantenimento delle conseguenze segreganti della minorazione, che viene rafforzato anziché attenuato dalle istituzioni "totali" che accolgono soggetti disturbati isolandoli dall'ambiente circostante.
Pedagogia comparata. - La p. studia ciò che è, e ciò che dovrebbe essere: nel primo ambito rientrano la storia della p. (a sua volta distinguibile in storia del pensiero pedagogico e in storia delle istituzioni educative, prima fra tutte la scuola) e la p. comparata. Quest'ultima, anziché volgersi alla ricostruzione del passato, si volge al presente per descrivere (e nei limiti del possibile per spiegare) somiglianze e differenze nella p. di diversi paesi e culture. I primi studi sui sistemi pedagogici stranieri furono avviati da M. A. Jullien e V. Cousin in Francia, da M. Arnold e M. Sadler in Inghilterra, da H. Mann e H. Barnard negli SUA, da L. Tolstoij e K. Ushinskij in Russia, da D. Sarmiento in Argentina. Ad essi seguirono numerosi studiosi fino a oggi, come F. Schneider e F. Hilker in Germamia, N. Hans e J. Lauwerys e dopo di loro J. E. King e B. Holmes in Inghilterra, I. Kandel e R. Ulich e G. Z. Bereday negli SUA, A. Vexliard in Francia, G. Gozzer in Italia, P. Rosselló in Svizzera.
Il primo compito della p. comparata è descrittivo e documentativo; molte difficoltà si frappongono tuttavia all'osservabilità e alla misurabilità dei fenomeni culturali; non tutti gli aspetti sono quantificabili, e quelli che lo sono vengono per lo più offerti con parametri e criteri di scelta non uniformi e pertanto non sempre confrontabili. Notevoli progressi in tal senso sono stati compiuti attraverso l'istituzione di sistemi internazionali di documentazione, costituiti presso il Bureau international d'education, l'Unesco, e nel nostro continente presso il Consiglio di cooperazione culturale, il Consiglio d'Europa, l'OCSE. Organismi appositi son sorti inoltre per l'innovazione educativa come il CERI, per la programmazione come l'Istituto internazionale per la pianificazione dell'educazione, e per la valutazione del profitto scolastico in diversi paesi come l'IEA.
Al momento descrittivo e documentativo, che presuppone già un'informazione selettiva secondo criteri scientifici, segue il momento interpretativo ed esplicativo. È ovviamente impossibile formulare al riguardo delle leggi: ma il comparatista può dare un quadro ragionato delle condizioni e delle tendenze in atto. Si discute se sia a tal punto possibile un terzo momento, quello normativo: per lo più si esclude che la comparazione basti a produrlo, ma l'esame ragionato di molte alternative già realizzate può fornire quanto meno indicazioni, orientamenti, suggerimenti. Il programmatore esercita l'arte della extrapolazione, della proiezione previsionale, della congettura ragionata dei futuribili.
Pedagogia tecnologica. - La tecnologia è nata con l'uomo fabbricatore di strumenti: essa esprime il modo propriamente umano di affrontare i problemi della sopravvivenza e dell'adattamento attivo all'ambiente. In tal maniera, all'ambiente naturale si sovrappone in misura sempre più vasta un ambiente artificiale, che è il prodotto della cultura; a poco a poco, come dice J. Dewey, "la natura si umanizza e l'uomo si socializza" attraverso la divisione complementare del lavoro.
La comunicazione (di cui l'insegnamento è una specie, particolarmente indirizzata a certi effetti) si avvale da secoli di un mezzo che si può dire tecnologico: il libro a stampa. Oggi a esso si sono affiancati i mezzi per la registrazione, riproduzione e diffusione dei suoni e delle immagini. Ogni mezzo ha sue possibilità e suoi limiti, e presenta vantaggi e rischi. La p. non può fare a meno di considerare tutto ciò, nella corretta prospettiva strumentale: essa deve quindi affrontare il problema delle tecnologie didattiche (in ingl. educational technologies), in rapporto con le indicazioni della semiologia, della linguistica, delle teorie e tecniche delle comunicazioni di massa.
Oltre a questo primo aspetto, ve n'è un secondo più vasto e importante, che tende a trasformare in maniera radicale tutto l'assetto della pedagogia. Esso si riconduce alla teoria generale dei sistemi: allevamento, addestramento, istruzione, insegnamento, educazione, formazione sono attività che si svolgono internamente al sistema sociale-culturale, che può esser considerato come un grande sistema autoregolato. Si possono in questo identificare delle variabili, degli stati e delle operazioni; se ne possono descrivere le linee di sviluppo e le alternative, in parte con modelli statistici probabilistici. Alcune procedure, da determinati punti di partenza a determinati punti di arrivo, possono essere formalizzate in algoritmi; certi segmenti abbastanza significativi d'istruzione, per esempio, possono essere affidati alla regolazione automatica di sequenze programmate, e queste possono addirittura essere gestite da dispositivi meccanici, elettrici o elettronici. La definizione delle risorse e quella degli obiettivi, la misura dei rendimenti e l'analisi dei costi efficaci vengono mutuate dall'econometria e dalla teoria della programmazione, mentre l'impianto generale corrisponde a un'impostazione di tipo cibernetico. Ovviamente, restano all'uomo le scelte di valore qualificanti: ma anche in tal caso la p. si presenta come tecnologia per l'orientamento della condotta. Caratteristico esempio di questo indirizzo, connesso a origini neobehavioristiche, è il pensiero di B.F. Skinner.
Bibl.: E. Planchard, La ricerca in pedagogia, Brescia 1963; B. Suchodolski, Trattato di pedagogia generale, Roma 1964; R. Hubert, Trattato di pedagogia, ivi 1965; E. Planchard, Introduzione alla pedagogia, Brescia 1966; J. P. Wynne, Le teorie moderne dell'educazione, Roma 1966; A. Kriekemans, Trattato di pedagogia generale, Brescia 1966; G. M. Bertin, Educazione alla ragione: lezioni di pedagogia generale, Roma 1968; G. Mialaret, Introduzione alla pedagogia, ivi 1970. Sulla critica epistemologica: C. Metelli di Lallo, Analisi del discorso pedagogico, Padova 1966; A. Granese, Filosofia analitica e problemi educativi, Firenze 1968; R.S. Peters e altri, Analisi logica dell'educazione, ivi 1971; I. Scheffler, Il linguaggio della pedagogia, Brescia 1972; J. Dolch e altri, Epistemologia pedagogica tedesca contemporanea, ivi 1974; G. F. Kneller, Logica e linguaggio della pedagogia, ivi 1975. Per un quadro complessivo dei problemi pedagogici: M. Debesse, G. Mialaret, Trattato delle scienze pedagogiche, 6 voll., Roma 1971 segg. Sulla ricerca educativa: E. Becchi, Problemi di sperimentalismo educativo, Roma 1969; G. De Landsheere, Introduzione alla ricerca in educazione, Firenze 1973. Sulla pedagogia speciale: R. Zavalloni e altri, La pedagogia speciale: 1° vol. I problemi; 2° vol. I metodi, Brescia 1967. Per la pedagogia comparata: N. Hans, Educazione comparata, Roma 1964; F. Hilker, Pedagogia comparata, ivi 1966; E. King, Prospettive mondiali dell'educazione, ivi 1968; G. Z. F. Bereday, Il metodo comparativo in pedagogia, Brescia 1969; A. Vexliard, La pedagogia comparativa, ivi 1972.