PCR (sigla dell’ingl. Polymerase Chain Reaction)
Tecnica utilizzata per amplificare in provetta frammenti di DNA di cui siano note le due estremità. Inventata da K. Mullis nel 1983, fu resa efficiente nel 1988 grazie all’uso dell’enzima Taq DNApolimerasi del batterio Thermus aquaticus, resistente all’alta temperatura. La PCR è diventata indispensabile nelle ricerche di biologia molecolare e nelle applicazioni di medicina diagnostica.
Con la PCR è possibile amplificare e isolare uno specifico segmento di DNA (amplicone) dal genoma di specie viventi o da un DNA artificiale o clonato. Le dimensioni dell’amplicone possono variare da poche decine di paia di basi fino a un massimo di 15.000÷20.000 paia di basi (un cromosoma ha una lunghezza dell’ordine di milioni di paia di basi). L’amplificazione avviene grazie a cicli successivi di sintesi del segmento di DNA, delimitato da due primer, o inneschi sintetici (frammenti a singola elica di DNA lunghi circa 15÷25 basi) complementari alle sue estremità. In questa reazione a catena la polimerasi copia le due eliche di DNA stampo, partendo dai primer; l’amplificazione è esponenziale, perché ogni nuova elica fa anch’essa da stampo per la successiva replicazione (neosintesi). La provetta in cui avviene la reazione viene posta in uno strumento (termociclatore), che permette cambiamenti rapidi di temperatura, e che contiene i seguenti componenti: quantità anche minime del DNA da amplificare (pochi femtogrammi, cioè 10-15 g, praticamente una copia di genoma aploide); concentrazioni in eccesso dei due primer, che devono appaiarsi anche a tutte le nuove copie di DNA; i 4 deossinucleosidi trifosfato liberi (dNTP, dove la lettera N sta per guanina, adenina, timina o citosina), basi che costituiscono i ‘mattoni’ che verranno incorporati nel DNA neosintetizzato; l’enzima Taq polimerasi, che copia i filamenti stampo di DNA sintetizzando i nuovi; un sale di magnesio, necessario al funzionamento dell’enzima; il sistema tampone che mantiene costante nella provetta il pH ottimale per l’attività enzimatica; la quantità d’acqua necessaria per portare a volume la reazione (circa 10÷50 µl). Nella reazione viene sintetizzato solo il frammento di DNA compreso tra i due primer: questi sono complementari e antiparalleli, ognuno posto a una estremità di uno dei due filamenti dell’amplicone. Ogni primer permette la sintesi di uno dei due filamenti di DNA dell’amplicone. La velocità di sintesi del nuovo filamento è alta (circa 60 nucleotidi al secondo). Ogni ciclo della reazione ha tre fasi: nella prima (a 94÷95 °C) si ha la denaturazione del DNA (separazione dei filamenti della doppia elica); nella seconda (a circa 55÷68 °C, in funzione della lunghezza e composizione in basi dei primer) si ha l’appaiamento dei primer sui due filamenti; nella terza fase (a 70÷72 °C) si ha l’inizio della sintesi dei nuovi filamenti a partire dal sito di appaiamento di ciascun primer alla temperatura ottimale per la Taq polimerasi. Con 21 cicli si ha più di un milione di copie della copia iniziale. La temperatura elevata impedisce anche appaiamenti casuali dei primers con regioni non desiderate.
PCR
Utilizzo e applicazioni delle biotecnologie
La velocità e la specificità della PCR, e la possibilità di ottenere copie teoricamente infinite di un particolare gene o regione di DNA, hanno trovato immediati riscontri in molti settori delle biotecnologie: dalla diagnostica di laboratorio alla microbiologia, all’oncologia, allo studio delle malattie ereditarie, alla medicina legale, alla paleontologia. In biologia la PCR ha permesso di chiarire la funzione di molti geni, di eseguire mappe genetiche accurate ed è stata ed è tuttora di fondamentale importanza per la realizzazione del Progetto genoma umano. La PCR viene usata anche nell’ambito della paleontologia e dell’antropologia molecolare. Nello studio dei processi evolutivi, si è rivelata indispensabile per l’analisi della filogenesi molecolare (la classificazione degli organismi in funzione della relazione esistente tra proteine o tra acidi nucleici), e per la ricostruzione degli alberi genealogici ‘universali’, basati sulla caratterizzazione dei genomi delle varie specie.
La PCR permette l’amplificazione selettiva di una o più specifiche sequenze bersaglio in un campione eterogeneo di sequenze. Spesso il substrato di partenza è il DNA genomico totale di un particolare tessuto o di determinate cellule in coltura, in cui la sequenza bersaglio di solito rappresenta una minuscola frazione. Ad es., se si intende amplificare 1,6 kb del gene della α-globina dal DNA umano (le dimensioni del genoma aploide umano sono pari a 3.300 Mb), il rapporto tra DNA bersaglio e DNA di partenza sarà di 1,6: 3.300∙103, ossia ca. 1:2.000.000. Molte reazioni di PCR hanno come obiettivo l’amplificazione di bersagli ancora più piccoli, come singoli esoni, che con una media di 140 coppie di basi ca. rappresentano meno dello 0,000005% di una popolazione di partenza di DNA genomico umano. Nel caso che le sequenze bersaglio siano segmenti di DNA codificante, il DNA di partenza è costituito dal cDNA totale, preparato isolando l’RNA di un tessuto o di una linea cellulare di interesse, che viene poi convertito in DNA con l’ausilio dell’enzima trascrittasi inversa. Il procedimento si chiama RT-PCR, dove RT sta per Reverse Transcriptase.
Uno dei campi di applicazione più importanti della PCR, dal punto di vista sia clinico-epidemiologico che di ricerca, è la microbiologia: la tecnica può essere infatti usata per l’identificazione, in un campione di materiale infetto, di un qualsiasi patogeno (virus, batterio) di cui sia conosciuta anche solo una limitata porzione della sequenza genomica. Ad es., il virus HIV, grazie alla PCR può essere individuato in fase di diagnosi, quando ancora il numero di copie è ancora molto basso, prima che la malattia venga conclamata. Sono virtualmente analizzabili mediante PCR tutte le malattie genetiche ereditarie di cui sia stato identificato il locus genetico implicato, quali, per es., le varie forme di talassemia, di emofilia, la distrofia muscolare di Duchenne e altre. Data la sensibilità di questa tecnologia è possibile distinguere fra alleli che differiscano anche per un solo nucleotide. Grazie ai test genetici i potenziali genitori possono essere identificati come portatori sani di malattie ereditarie, o i figli per verificare se sono realmente affetti dalla patologia in questione. La possibilità di rilevare il DNA anche con quantità limitate di materiale cellulare ha conferito un ruolo di particolare rilievo a questa tecnologia nella diagnostica prenatale: in questo caso sono sottoposte a PCR cellule fetali ottenute da amniocentesi o da campioni di villi coriali. La PCR può essere anche applicata nel campo della fecondazione in vitro, per capire se gli embrioni umani allo stadio di 6÷8 cellule (blastomeri) siano portatori di anomalie, prima di procedere all’impianto degli embrioni nell’utero materno. La PCR viene impiegata anche nella tipizzazione dei tessuti, per l’analisi degli antigeni di istocompatibilità, indispensabile nei trapianti d’organo, e per l’identificazione di tipi cellulari specifici appartenenti a uno stesso organismo.
Un settore che si è di recente avvalso della tecnica della PCR è quello della medicina legale: è possibile la tipizzazione del patrimonio genetico di un individuo da minime quantità di tessuto (capelli, frammenti di pelle, sangue, saliva, liquido seminale, ecc.), mediante PCR, utilizzando marcatori del DNA altamente polimorfici. Si procede in modo analogo per le esclusioni o gli accertamenti di paternità.
La PCR è uno strumento diagnostico anche nel campo dell’oncologia. È possibile infatti identificare diversi elementi genetici (ad es., oncogeni e geni oncosoppressori, geni per fattori di crescita e loro recettori, mutazioni puntiformi o traslocazioni) correlati con la genesi e l’evoluzione dei tumori. Le principali applicazioni in questo ambito includono sia la possibilità di caratterizzare la patologia su base molecolare, sia di individuare le cellule tumorali residue resistenti alla chemioterapia, sia di mettere a punto la terapia più efficace per il singolo paziente.
È una forma di PCR quantitativa con due principali applicazioni: quantificare l’espressione genica (e confermare l’espressione differenziale dei geni individuati mediante analisi di ibridazione con microarray); vagliare le mutazioni e i polimorfismi di un unico nucleotide. Nei laboratori di analisi viene utilizzata anche per misurare la quantità di sequenze di DNA o RNA in campioni clinici o industriali (agenti patogeni, OGM, contaminanti dei cibi e delle acque, ecc.). Questa tecnica ha permesso di superare le critiche rivolte alla PCR in quanto metodologia non quantitativa ma solo qualitativa, che si basavano sul fatto che, essendo una procedura che amplifica in modo esponenziale gli acidi nucleici partendo da quantità infinitamente piccole, avrebbe rivelato anche molecole di contaminanti presenti nel campione senza nessun significato infettivo o patologico, quindi con molti falsi positivi.