PAZZI, Alfonso de', detto l'Etrusco
PAZZI, Alfonso de’, detto l’Etrusco. – Nacque a Firenze nel ‘popolo’ di San Pier Maggiore il 19 ottobre 1509, da Luigi di Giovanfrancesco, antimediceo e repubblicano appartenente al ramo fiorentino della famiglia Pazzi, e da Lucrezia di Berardo Berardi, quarto di cinque figli.
Il padre ricoprì cariche di rilievo nella seconda Repubblica fiorentina (1527-1530) e fu uno degli ostaggi consegnati all’esercito imperiale dopo la resa di Firenze il 12 agosto 1530. Pazzi dovette far parte della milizia cittadina, istituita il 6 novembre 1528 e mobilitata in quel medesimo anno e durante l’assedio, il 16 maggio 1530, avendo superato i diciotto anni prescritti per l’ordinanza. Per il decennio che seguì la restaurazione medicea mancano notizie su di lui (se non per alcune sue poesie che si riferiscono alla creazione del duca Cosimo, alla battaglia di Montemurlo e al matrimonio del duca con Eleonora di Toledo).
Il padre morì poco dopo aver fatto testamento (rogato dal notaio Pier Francesco Macari l’11 ottobre 1542), in cui aveva nominato Alfonso suo erede universale. Il patrimonio di famiglia doveva essere ingente, stando a quanto scrive Niccolò Martelli nel secondo libro – rimasto manoscritto – del suo epistolario («25 o 30 mila scudi che la maggior parte si posson contare dalla sera alla mattina», Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., VIII.1447, c. 72r). Un patrimonio che, peraltro, fu consolidato da una fiorente attività mercantile in campo tessile, visto che nel 1561 gli eredi di Alfonso risulteranno possessori di ben tre botteghe di arte della lana (Archivio di Stato di Firenze, Decime granducali, 3784, c. 46r-v).
L’anno successivo alla morte del padre sposò Camilla di Piero del Giocondo, da cui ebbe tre figli maschi (Luigi, il futuro raccoglitore delle sue rime; Cosimo, che entrò nella Compagnia di Gesù e fu direttore spirituale di Eleonora Ramirez de Montalvo; Paolantonio) e una femmina (Lucrezia).
Il 7 settembre 1543 entrò a far parte dell’Accademia fiorentina, poco dopo il rientro a Firenze di Benedetto Varchi (Firenze, Biblioteca Marucelliana, B.III.52: Annali dell’Accademia degli Umidi poi Fiorentina, c. 14v). In tale occasione Antonfrancesco Grazzini compose il sonetto Dell’Accademia or ben sperar si puote (Grazzini, 1882, p. 9 n. VII).
La sua attività di poeta si svolse soprattutto nell’ambito di questa istituzione, con una grande varietà di temi (satira personale, politica, arte, musica) e un notevole numero di corrispondenti e destinatari, dallo stesso Grazzini, che a sua volta compose diversi testi in cui Pazzi era implicato a vario titolo, a vari personaggi di primo piano gravitanti attorno all’Accademia: letterati come Pier Francesco Giambullari, Giovan Battista Gelli e Niccolò Martelli; filosofi come Simone Porzio e Bartolomeo Ghettini detto il Selvaggio; artisti come Baccio Bandinelli, Giorgio Vasari, Benvenuto Cellini, Giovambattista Del Tasso, Niccolò Pericoli (il Tribolo). Ma il suo bersaglio d’elezione, oggetto di una satira costante, praticamente quotidiana (considerando che i manoscritti trasmettono diverse centinaia di invettive e satire in forma di sonetto indirizzate contro di lui), fu Benedetto Varchi, soprattutto a partire dall’anno del suo consolato nell’Accademia, il 1545.
Pazzi aborriva in particolare le opzioni linguistiche varchiane, all’epoca vicine alle teorie bembesche e quindi agli antipodi del fiorentinismo mediceo sostenuto da Giambullari, Gelli e da lui stesso (alla scelta del soprannome ‘Etrusco’ non è sicuramente estranea la sua posizione in quest’ambito); ma non mancava di criticarne anche le lezioni dantesche e petrarchesche, le idee filosofiche (ispirate all’aristotelismo padovano, inviso alla tradizione neoplatonica locale e considerato tendenzialmente eretico sul piano religioso) e quelle sull’arte e sulla musica. Questo contrasto, nel corso del tempo, dovette attenuarsi, visto che il 16 agosto 1551 Pazzi, estratto a sorte come elezionario del nuovo consolo, propose proprio il nome di Benedetto Varchi.
Lo stesso Pazzi fu candidato a consolo (senza successo) il 15 agosto 1544, e in veste di elezionario propose come statutario dell’Accademia Giovan Battista Gelli nel febbraio 1546, mentre fallì la sua candidatura a provveditore avanzata nello stesso momento da Niccolò Martelli, così come quella a censore proposta da Francesco da Sangallo il 15 agosto 1546. Analoghi fallimenti si registrarono il 26 novembre 1549 (estratto come candidato per la nuova Balìa, non fu scelto dal consolo) e il 2 febbraio 1550 (allorché fu proposto senza successo come consolo, come censore e come provveditore). Caddero nel vuoto anche le sue proposte di elezionario aggiunto per il nuovo consolo il 22 febbraio 1551 e il 21 febbraio 1552, data dell’ultima menzione di Pazzi negli annali dell’Accademia. Una sola volta ebbe successo la sua elezione a provveditore, avvenuta il 2 settembre 1547 (ma non confermata l’8 aprile 1548); così come fu accolta una sua proposta, formulata il 3 dicembre 1550, ossia quella di Francesco Torello quale riformatore dell’Accademia.
Gli annali dell’Accademia fiorentina registrano tre sue letture nell’Accademia privata: il 19 novembre 1545, di argomento non specificato; l’11 agosto 1547 sul sonetto di Francesco Petrarca Orso, al vostro destrier si po’ ben porre (Rerum vulgarium fragmenta, n. 97) e il 21 novembre 1549 su un altro sonetto petrarchesco, Persequendomi Amor al luogo usato (Rerum vulgarium fragmenta, n. 110). Il 29 luglio 1546, sotto il consolato di Lorenzo Ridolfi, segretario Anton Francesco Doni, nell’Accademia si lesse una lettera in cui Pazzi chiedeva ai colleghi di pronunciarsi sulla natura di Laura, stabilendo cioè se fosse stata un personaggio reale o no; la risposta giunse solo il 5 maggio dell’anno seguente: «al [...] quesito si propose che Madonna Laura era stata donna di sangue et di carne amata somamente e piaciuta al detto Petrarca e in questa oppenione si confermorno tutti gli accademici» (Annali dell’Accademia degli Umidi poi Fiorentina, c. 42v; la lettera, c. 37r). Una lettera di Doni a Francesco Reveslà in data 10 marzo 1547 attesta che presso la stamperia doniana sarebbero dovute uscire le Rime in ghiri dell’Etrusco alla burchiellesca; Pazzi, da parte sua, sostenne tale stamperia con alcuni sonetti, tra cui La maschera che avete per impresa (Masi, 2013, pp. 73 s.).
Significativa, da un punto di vista della politica culturale cosimiana, fu la permanenza di Pazzi nell’Accademia fiorentina dopo la riforma di Lelio Torelli dell’11 agosto 1547, in seguito alla quale molti appartenenti al nucleo originario degli Umidi (tra cui Grazzini) furono allontanati.
Dubbia, invece, la partecipazione ad altri due consessi accademici fiorentini: quella all’Accademia del Piano (nome che si riferisce al piano di Ripoli, presso Firenze) risulterebbe dall’elenco presente nel codice della Biblioteca nazionale di Firenze, Magl., IX.126, c. 16r, in cui è citato un Bibone Etrusco; peraltro Pazzi compose alcune rime proprio contro i ‘Pianigiani’. Litta, non si sa su quale base, lo ascrisse anche tra i fondatori dell’Accademia de’ Piattelli o de’ Piacevoli, una compagnia di amanti della caccia dediti al genere della facezia.
Di sicuro il 12 maggio 1548 Pazzi fu nominato podestà di Fiesole, con uno stipendio di 700 lire, che copriva anche le spese di mantenimento di tre notai, quattro domestici e un cavallo (Archivio di Stato di Firenze, Tratte, 989, c. 77r-v), rimanendovi per sei mesi (fino al 12 novembre dello stesso anno). Al periodo della podesteria datano con sicurezza alcuni componimenti, tra cui il capitolo per la compagnia della Cicilia di Fiesole (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., VII.534, cc. 111r-116r). Tra Fiesole e Settignano, a Maiano, possedeva una villa (Castellani, 2006, pp. 98 s.), ma la sua residenza fiorentina si trovava in piazza degli Strozzi, dove il censimento del 1551 registrava la presenza di quattro maschi, una femmina e due serve (Archivio di Stato di Firenze, Misc. medicea, 223, c. 289r).
Pochi avvenimenti si registrano anche negli ultimi anni di vita. Dal 1° dicembre 1551, per un anno, ebbe la carica di provveditore e ragioniere dei pupilli (una carica che poteva essere rivestita solo dai padri di famiglia ultraquarantenni, quale egli era): il Magistrato dei pupilli era un’istituzione umanitaria che assisteva gli orfani di padre e le vedove privi di tutori legali. All’inizio del 1555 datano probabilmente le ottave iniziali di un incompiuto poema encomiastico sulla guerra di Siena, dichiaratamente composte poco meno di un anno dopo l’inizio dell’assedio della città, il 26 gennaio 1554 (Firenze, Biblioteca nazionale, Raccolta Palatina, Vincenzo Capponi, 134, pp. 562 s.). Il poema non fu portato a termine a causa della morte dell’autore.
Pazzi morì a Firenze il 3 novembre 1555.
Le fonti settecentesche, basandosi su un manoscritto di Girolamo da Sommaia (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., VIII.81, c. 234r), riportano il testo dell’iscrizione – oggi scomparsa – che si trovava sulla sua tomba nella chiesa fiorentina di S. Trinita, «davanti alla Cappella degli Usimbardi» (Manni, 1815, p. 66): «Alfonsi Pacci mortale | hic spiritus astris | vivit adhuc probitas | ingeniumq(ue) sales. | M.D.LV».
Delle poesie di Pazzi esiste un gran numero di manoscritti autografi. Alcuni codici contengono raccolte organiche o zibaldoni interamente di sua mano: il citato enorme zibaldone dell’Archivio di Stato di Firenze, Guardaroba medicea, 221; la raccolta di canti carnascialeschi a Firenze, Biblioteca nazionale, Banco Rari, 71; l’altro zibaldone sempre alla Nazionale di Firenze, Magl., VII.534; una raccolta di Rime non burlesche ancora alla Nazionale di Firenze, Raccolta Palatina, Vincenzo Capponi, 183. In altri codici si trovano invece testi poetici sparsi: un gruppetto nel Magl., VII.535, cc. 1r-18r; tre sonetti a Roma, Biblioteca apostolica Vaticana, Autografi Ferrajoli, Raccolta I-II, c. 99r-v; quattro nell’Archivio di Stato di Firenze, Acquisti e doni, 1.35, c. 1; uno nel Magl., VII.361, c. 5r; uno a Firenze, Biblioteca Riccardiana, Mss., 1505, c. 1r. Dagli autografi derivarono numerosissime copie e due raccolte postume rimaste manoscritte: quella curata da Girolamo Amelonghi, detto il Gobbo da Pisa, nel 1557 (vari manoscritti la attestano) e quella che il figlio Luigi mise insieme nel 1572-73 (Firenze, Biblioteca nazionale, Raccolta Palatina, Vincenzo Capponi, 134).
Opere. I testi di Pazzi giunti alle stampe sono i 113 componimenti che Giovanni Bottari pubblicò nel 1729, basandosi sulla raccolta manoscritta esemplata poco prima da Anton Maria Biscioni (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., VII.868), in Il terzo libro dell’opere burlesche. Di M. Francesco Berni e di M. Gio. Della Casa, dell’Aretino, de’ Bronzini, del Franzesi, di Lorenzo de’ Medici, del Galileo, del Ruspoli, del Bertini, del Firenzuola, del Lasca, del Pazzi, e di altri autori, Firenze 1723 (ma Napoli 1729), pp. 273-350; e la raccolta di canti carnascialeschi che Aldo Castellani ha trascritto principalmente dal citato Banco Rari, 71: A. Castellani, Nuovi canti carnascialeschi di Firenze. Le ‘canzone’ e mascherate di Alfonso de’ Pazzi, Firenze 2006, pp. 123-281.
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca Marucelliana, Mss., B.III.52: Annali dell’Accademia degli Umidi poi Fiorentina, cc. 14v, 19v, 30r, 34v, 37r-v, 42v, 44r, 45r, 47r, 58r-v, 59v-60r, 66r-v, 68v, 70r, 75r; Biblioteca nazionale, Magl., IX.69: A.M. Biscioni, Giunte alla Toscana letterata del Cinelli, pp. 685-688, 691; L. Domenichi, Facezie, motti e burle di diversi signori e persone private, Venezia 1565, pp. 250, 384, 408, 412-415, 420, 430 s.
G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 27; A.F. Grazzini, Rime, a cura di F. Moücke - A.M. Biscioni, I, Firenze 1741, pp. 304, 323; D.M. Manni, Le veglie piacevoli, V, Firenze 1815, pp. 36-68; F. Zambrini, Cenni biografici intorno ai letterati illustri italiani, Faenza 1837, p. 165; P. Litta, Famiglie celebri d’Italia, XXII, disp. 128, tav. IV, Milano 1851; A.F. Grazzini, Le rime burlesche, a cura di C. Verzone, Firenze 1882, passim; G. Pedrotti, A. de’ P. accademico e poeta, Pescia 1902 (la recensione di G. Secchi in Giornale storico della letteratura italiana, XLI (1903), pp. 394-401); M. Plaisance, L’Accademia e il suo Principe. Cultura e politica a Firenze al tempo di Cosimo I e di Francesco de’ Medici, Manziana 2004, ad ind.; R. Nosow, The debate on song in the Accademia Fiorentina, in Early music history, XXI (2002), pp. 175-221; D. Zanrè, Cultural non-conformity in Early modern florence, Aldershot 2004, ad ind.; G. Masi, Politica, arte e religione nella poesia dell’Etrusco (A. de’ P.), in Autorità, modelli e antimodelli nella cultura artistica e letteraria tra Riforma e Controriforma. Atti del seminario internazionale di studi, Urbino-Sassocorvaro, 9-11 novembre 2006, a cura di A. Corsaro - P. Procaccioli, Manziana 2007, pp. 301-358; Id., Simboli e vicende tipografiche doniane (1546-1549), in Dissonanze concordi. Temi, questioni e personaggi intorno ad Anton Francesco Doni, a cura di G. Rizzarelli, Bologna 2013, pp. 71-98; Id., A. de’ P. (l’Etrusco) (Firenze 1509-1555), in Autografi dei letterati italiani. Il Cinquecento, II, a cura di M. Motolese et al., Roma 2014, pp. 271-280.