PAZUZU (in sumerico "conoscitore di incantesimi" ?)
Demone mesopotamico del vento di S-O, apportatore di malattie agli uomini.
La sua origine, come indica il nome, è sumerica. Esso godette di grande favore in età neoassira e neobabilonese, cui risalgono tutti i documenti artistici che possediamo. Le fonti letterarie possono dividersi in due categorie: quelle contenenti gli scongiuri contro i cattivi demoni (gli utukkū limnūti) e quelle di magia apotropaica più propriamente detta, in cui vengono enumerati i rimedi contro le forze del male. Nei primi testi P. parla in prima persona, definendosi figlio di Khanpa (talora anche di Bi), "re dei cattivi spiriti della tempesta, che esce dalla montagna violentemente infuriando". Questo demone è una creatura infernale, abitatrice dello arallū; tuttavia sembra che lo stesso P. sia impiegato anche contro gli altri demoni, affinché questi non tormentino i mortali.
I documenti figurati possono esser distinti in tre categorie: placche in bassorilievo, statuette a tutto tondo, teste in pietra o in terracotta di più rozza fattura. Le caratteristiche iconografiche restano sostanzialmente le stesse, ma naturalmente solo nel primo caso la scena in cui compare il demone meglio chiarifica la sua funzione.
La placca "degli Inferi", un amuleto bronzeo trovato in Siria, ora a Parigi nella Collezione de Clercq, in cui era stata vista una scena dell'Oltretomba, deve considerarsi in realtà l'illustrazione di un esorcismo: sul davanti infatti, diviso in quattro registri, compare il malato disteso sul letto, mentre nell'ultima zona, accanto alla Lamashtu raffigurata nel suo viaggio di ritorno agli Inferi, trasportata da un asino e dentro una barca che galleggia sul fiume limitante l'universo, è eretto P., demone a testa leonina, con un braccio alzato in atteggiamento minaccioso. Le sue caratteristiche sono meglio visibili nell'esemplare identico che è inciso sul retro della placca, mentre la testa e le zampe anteriori a tutto tondo si appoggiano al bordo superiore della scena: P. è un mostro dal corpo tutto coperto di scaglie, con gli arti anteriori leonini, i posteriori di rapace, coda di scorpione, fallo terminante in una testa di serpente, quattro grandi ali aperte dai due lati del corpo; la più spaventosa è la testa, semiferina, con corna di capra appiattite e convergenti a V sulla fronte, occhi globosi e sporgenti, bocca ghignante, ove appaiono le zanne aguzze.
Le stesse caratteristiche si ritrovano nelle statuette a tutto tondo, fra cui una del Louvre con il demone nudo, le grandi ali e le zampe posteriori di rapace, eretto, con un braccio alzato minacciosamente; un altro esemplare del Louvre e una statuetta del Museo Guimet lo mostrano invece accovacciato, o con un ginocchio piegato a terra; il P. del Museo Guimet ha il corpo di nuovo fermo, coperto di embricature, e un solo paio di corte ali. La posizione prostrata indica forse la sua sottomissione e può avvicinarsi a quegli altri frammenti di placche in cui P. compare, sempre con il braccio alzato, ma con corpo umano ravvolto in una lunga veste, zampe posteriori di rapace e testa leonina, accanto a genî barbuti dall'evidente carattere benefico, dato che si ritrovano nei bassorilievi ornanti, con valore profilattico, le porte del palazzo di Sennacherib. Seppure si tratta di P., occorre notare qui la sua nuova funzione benefica, parallelamente all'attenuarsi dei caratteri di terribilità connessi alla sua iconografia.
Infine tutta una numerosa serie di piccole teste, provenienti da Ur, Nippur, Babilonia, Kish, Karkamiş, ecc., ripropongono quelle caratteristiche somatiche accentuatamente ferme che già vedemmo nel mostro della placca de Clercq; elementi distintivi sono sempre gli occhi sporgenti, le fitte pieghe guanciali, le corna congiungentisi sulla fronte alla stessa altezza delle sopracciglia fortemente arcuate, e inoltre il collo con striature cordonate, assai sottili e talora rastremantesi verso il basso. Anche se non è possibile seguire un'evoluzione tipologica, dato il costante ricorrere delle caratteristiche sopra elencate, si registra tuttavia da un lato un'oscillazione verso forme non più semiumane, ma assolutamente ferme (di leone o di gatto); dall'altro la tendenza alla completa inorganicità, che deriva dalla voluta accentuazione di alcuni elementi (come il naso o le guance) per una maggiore potenzialità della forza apotropaica a queste rappresentazioni connessa.
Bibl.: O. Weber, Dämonenbeschwörung bei den Babyloniern und Assyrern, Lipsia 1906; F. Thureau-Dangin, Rituel et amulettes contre Labartu, in Revue d'Assyriologie, XVIII, 1921, pp. 189-94; E. Unger, in M. Ebert, Reallexikon der Vorgeschichte, VIII, Berlino 1927, p. 210, tav. LXX a-f, s. v. Mischwesen; C. Frank, Lamastu, Pazuzu und andere Dämonen, Lipsia 1941, pp. 15-23, tav. III; G. Contenau, La magie chez les assyriens et les babyloniens, Parigi 1947, p. 99; E. Dhorme, Les religions de Babylonie et d'Assyrie, Parigi 19492, pp. 266-7; H. W. F. Saggs, Pazuzu, in Archiv für Orientforschung, XIX, 1959-1960, pp. 123-7. Oltre le opere citate, riproduzioni di P. sono in: E. A. Wallis Budge, A Guide to the Babylonian and Assyrian Antiquities of the British Museum, Londra 19082, figg. alle pp. 118-119; C. Frank, Köpfe babylonischer Dämonen, in Revue d'Assyriologie, VII, 1909, pp. 21-32, tav. I; W. G. Schileico, Tête d'un démon assyrien à l'Ermitage impérial de Saint-Pétersbourg, in Revue d'Assyriologie, XI, 1914, pp. 57-9; C. L. Woolley, Carchemish, II, The Town Defences, Londra 1921, p. 127, fig. 43; id., in The Antiquaries Journal, III, 1923, pp. 332-3, fig. 6; id., ibid., V, 1925, pp. 18 ss., tav. VII, 2; O. Reuther, Die Innenstadt von Babylon, Lipsia 1926, p. 24, figg. 22-23; E. D. van Buren, Clay Figurines of Babylonia and Assyria, New Haven 1930, pp. 227-9, nn. 1111, 1113-1121, tav. LVIII, fig. 281; G. Contenau, Manuel d'archéologie orientale, I, Parigi 1927, p. 251, fig. 152, p. 253, fig. 153; III, 1931, pp. 1306-10, figg. 826, 830.