paura
Significa, in assoluto, una condizione di timore e di smarrimento provocata da un pericolo o una minaccia, come in If I 6 esta selva ... / che nel pensier rinova la paura: qui opportunamente Guido da Pisa commenta: " renovat mihi timorem pariter et pavorem "; il valore del termine, inoltre, si completa nelle attestazioni successive: al v. 15 quella valle / che m'avea di paura il cor compunto, con il motivo dell'afflizione, e al v. 19 Allor fu la paura un poco queta, con quello del ‛ quietarsi ' (" ipsa tribulatio curae et variae passiones cessaverunt ", Graziolo).
Così in I 44, e II 63 è impedito / sì nel cammin, che vòlt'è per paura, dove la condizione di smarrimento come effetto del timore è rilevata dal verso successivo, e temo che non sia già sì smarrito (il Landino qui precisa che l'indicazione volto per paura chiarisce come l'abbandono della giusta via sia causato dalla fragilità umana e non dalla malizia); e ancora in VII 5, XVI 50, XXI 27. In XVII 106 Maggior paura non credo che fosse, l'intensificazione del significato si attua nel rapporto con i due casi mitologici, dei quali si fissa il momento più alto di sbigottimento, Fetonte che abbandona le redini (v. 107) e Icaro che si sente le reni spennar per la scaldata cera (v. 110). La medesima forma assoluta si ritrova nella locuzione ‛ aver p. ' di Pg XXX 45 il fantolin corre a la mamma / quando ha paura.
Altrove si completa con la specificazione della cosa temuta, come in If XXXIV 123 la terra... / per paura di lui fé del mar velo (" bellissima e magnifica immaginazione ", Cesari); Pg II 127 se cosa appare ond'elli [colombi] abbian paura, e III 19, XIII 136; Vn XXIII 14 mi domandavano di che io avesse avuto paura (le donne accorse intorno a D. delirante hanno il presentimento della dolorosa visione); Rime XCI 105, Fiore CCXI 14; Cv IV XIII 11, XIX 10, XXV 10 (due volte). In If I 53 questa mi porse tanto di gravezza / con la paura ch'uscia di sua vista, avviene una sorta di fusione di causa ed effetto, sì che p.è la minaccia stessa che muove dall'aspetto terrificante della lupa.
Il concetto di timore per un pericolo è più convenzionale in If XXIII 12 la prima paura mi fé doppia, e 20, XXXIV 10 e Pd XXVI 19.
La componente dello smarrimento si evidenzia e quasi si isola in Pg IX 65 uom che 'n dubbio si raccerta / e che muta in conforto sua paura, per l'antitesi di conforto, e in XXXI 13 Confusione e paura insieme miste / mi pinsero un tal " sì ", per la coordinazione con confusione. Partecipa di più complessa locuzione in Vn XXXIII 5 9 mi fan pensoso di paura forte.
Altrove, attenuandosi o svanendo il riferimento al pericolo o al danno, il valore di p. si precisa in uno stato di preoccupazione; così in If IX 13 nondimen paura il suo dir dienne, dove il disagio è provocato dall'atteggiamento d'incertezza di Virgilio di fronte alle forze demoniache che impediscono l'ingresso nella città di Dite (vv. 4-12): " ostendit quomodo conceperit suspitionem ex locutione truncata Virgilii ", Benvenuto. Anche in XXXI 39 fuggiemi errore e crescémi paura, il turbamento nasce dall'incontro con le figure, più misteriose che minacciose, dei giganti. In Vn XXIII 11 una donna giovane e gentile... con grande paura cominciò a piangere, che torna in 17 6, esprime il doloroso sgomento della donna ‛ pietosa ' alla vista di D. in delirio. Cfr. anche Rime dubbie II 9.
Il medesimo significato di stato ansioso in previsione di pericolo è in Cv IV XII 5 le ricchezze... recano... maggiore quantitade a desiderio, e, con questa, paura grande e sollicitudine sopra l'acquisto, dove si precisa il negativo effetto delle ricchezze, che veramente non quietano, ma più danno cura; e in Fiore CLXXX 3, CLXXXVI 13 e CC 9.
Significa invece la pavidità, come debolezza soggettiva piuttosto che come reazione a una minaccia esterna, in Pg XXII 90 per paura chiuso cristian fu'mi: si badi che, non essendo intervenuto l'ardore della fede a vincere questa carenza di coraggio (" quia non fui tam ardens in amore Christi, ut sponte subirem supplicium ", Benvenuto), Stazio è punito quale accidioso (questa tepidezza il quarto cerchio / cerchiar mi fé, vv. 92-93); confonde pertanto i termini il Tommaseo e guasta la finezza del giudizio dantesco, quando afferma che " la paura non coraggiosa l'animo sincero di Dante vuole anco negli spiriti da lui più onorati punita ". Appaiono inclini a sottolineare la viltà piuttosto che l'autentico peccato di accidia anche il Galletti (in Lett. dant. 1119) e il Chimenz (" veramente parrebbe piuttosto mancanza di coraggio, ch'è ben altra cosa ").
La p. è, nella poetica stilnovistica, quel turbamento spirituale che si produce nel misterioso imperio di Amore. Come in Cavalcanti ‛ tremore ' e ‛ paura ' caratterizzano la psicologia dell'innamorato, frequenti sono in D. le attestazioni di p. come elemento della condizione amorosa: in Vn XIII 8 8 tremando di paura che è nel core, l'espressione è prossima a quella cavalcantiana " sento nel cor un pensero / che fa tremar la mente di paura " (Io temo 4); ancora tremore e p. sono uniti in Rime LXV 6 sovra 'l meo cor piove / tanta paura, che mi fa tremare, e in CXVI 55; mentre la p. ritorna come dominante manifestazione dell'amore e quasi s'identifica con esso in LXVII 62 la mia persona pargola sostenne / una passion nova, / tal ch'io rimasi di paura pieno, e 82, LXXX 6, LXXXIX 1, Rime dubbie XI 3, Cv II Voi che 'ntendendo 45. La medesima natura è forse da riconoscere nella p. che mista a confusione D. prova al cospetto di Beatrice nel Paradiso terrestre (Pg XXXI 13, citato).
La locuzione ‛ far p. ' si trova attestata in If XXXI 95 quando i giganti fer paura a' dèi, dove significa che i giganti si rivelarono temibili persino dagli dei (" Magnum illa terrorem intulerat Iovi / fidens iuventus horrida brachiis ", Orazio Carm. III IV 49-50); Pg XXIX 141 una spada lucida e aguta, / tal che di qua dal rio mi fé paura (" la paura di Dante non è della spada che lo ferisca di dolore, ma sì di rimprovero del suo non saper approfittare per sé di quella potente parola, del non saper degnamente imitare l'apostolo ", Tommaseo); così ancora in Pd XI 69 e XV 103.
La p. della spada ritorna autentica in Fiore CCXII 8 e' sì le fece molto gran paura, nello scontro in cui Paura mise giù in terra boccone Ardimento, la cui spada era molto chiara e fina.
Con valore traslato esprime varie situazioni spirituali: in If XXVIII 113 vidi cosa ch'io avrei paura, / sanza più prova, di contarla solo, significa la reticenza a descrivere lo straordinario spettacolo di Bertram dal Bornio che tiene il proprio capo in mano a guisa di lanterna; in Vn XVIII 9 dimorai alquanti dì con disiderio di dire e con paura di cominciare, significa l'esitazione o mancanza di ardimento (non ardia di cominciare) a intraprendere la loda: motivo, questo dell'intreccio di desiderio e di esitazione, che sigilla l'ampio prologo del cap. XVIII a Donne ch'avete; mentre in XXXV 6 7 mi giunse ne lo cor paura / di dimostrar con li occhi mia viltate, corrisponde a un moto di pudore della propria sofferenza, la quale sta per rivelarsi con le lagrime che la pietà della Donna gentile gli muove dal cuore. Cfr. ancora Rime CV 9, Rime dubbie III 3 3, Cv IV XII 6 e XXV 7.
Anche con valore traslato si ritrovano le locuzioni ‛ aver p. ' e ‛ far p. '; la prima è attestata in Pg XXI 118 " Non aver paura ", / mi dice, " di parlar; ma parla e digli... ", dove esprime l'esitazione di D. tra la richiesta di Stazio e la volontà di Virgilio; in Fiore CX 8 a gente umane / di cui forza e santade ha gran paura, dove vale " stare in pensiero ": la legge divina vuole che le elemosine siano distribuite a quegli uomini la cui buona salute desta preoccupazione o è negl'interessi della Provvidenza (il Petronio intende diversamente: " genti... povere e malate (lett.: da cui forza e salute sono fuggite via "); e ancora in CLXXII 7, CLXXXVI 6 e CXCVII 3.