pauperismo
Fenomeno economico e sociale per cui in determinati periodi larghi strati della popolazione sono colpiti dalla miseria in conseguenza di un complesso di fattori di varia natura (quali penuria di risorse naturali e di capitali, scarso spirito di intraprendenza, cattiva distribuzione della ricchezza ecc.) o anche di fatti eccezionali (guerra, carestia, crisi economica, inflazione acuta ecc.), che possono suscitare gravi situazioni di depressione economica e di disoccupazione, o accentuare squilibri già esistenti. Il problema del p., benché di povertà come fenomeno collettivo si possa parlare anche in epoche precedenti, si è imposto all’attenzione di studiosi e di governi nella sua gravità soltanto agli inizi dell’Età moderna, quando lo sviluppo sempre maggiore dell’economia di scambio determinò il progressivo distacco dalla terra di grosse masse di coltivatori costretti a scegliere tra l’emigrazione in città, il bracciantato agricolo e la disoccupazione. Fu questo il periodo delle rivolte violente di contadini e del vagabondaggio dei mendicanti, pericoli resi ancora più gravi, nei Paesi aderenti alla Riforma, dalla soppressione delle fondazioni religiose che avrebbero potuto portare qualche parziale rimedio alla situazione. Da ciò l’affermarsi nei Paesi protestanti di un’azione statale, repressiva e assistenziale insieme (in Inghilterra la poor law raggiunse appunto, tra il 1597 e il 1601, il suo assetto definitivo, caratterizzato dalla sostituzione al vecchio concetto della beneficenza di quello della rieducazione al lavoro), mentre nei Paesi cattolici l’assistenza ecclesiastica, dopo il Concilio di Trento, tornò a prevalere in modo assoluto sulle timide iniziative dei poteri laici. Con gravità assai maggiore il problema si riaffacciò nell’Europa occidentale alla fine del sec. 18° e ai primi del 19°, in seguito al rapido incremento della popolazione, allo sviluppo della grande industria, all’agglomerarsi nelle città di ingenti masse di salariati esposte alle crisi periodiche, alla disoccupazione e alla fame. Soltanto però nel sec. 20°, sotto la pressione del sindacalismo operaio, ci si è avviati decisamente verso una vasta e complessa legislazione sociale, soprattutto attraverso le assicurazioni obbligatorie e avendo di mira l’ideale della sicurezza sociale. Dal punto di vista teorico il problema del p. è stato affrontato specialmente nel quadro delle analisi sullo sviluppo del capitalismo. Se per T.R. Malthus esso andava imputato alla crescente eccedenza della popolazione rispetto alle fonti di nutrimento, per K. Marx e F. Engels la «pauperizzazione» di settori sempre più vasti di popolazione doveva considerarsi la conseguenza necessaria della cosiddetta teoria del crollo: la caduta tendenziale dei saggi di profitto avrebbe infatti indotto i capitalisti a comprimere costantemente i salari a livello di sussistenza per assicurarsi margini costanti di plusvalore, ossia di lavoro non retribuito. Questa previsione del marxismo, insieme alle altre che formano il nucleo del «socialismo scientifico», fu contestata da E. Bernstein nell’ambito delle correnti del «revisionismo» socialdemocratico e successivamente da J. Schumpeter, sulla base della constatazione di evidenza empirica secondo la quale non il p., ma il benessere e l’arricchimento diffusi sono stati gli effetti più rilevanti dello sviluppo capitalistico.