VERLAINE, Paul
Poeta francese, nato a Metz il 30 marzo 1844, morto a Parigi il 7 gennaio 1896. Nel 1851 entrò in collegio a Parigi, compiendo gli studî al liceo Bonaparte. La vocazione poetica gli si desta assai presto: a quattordici anni indirizza una epistola in versi a V. Hugo e "scopre" Banville e Baudelaire. Nel 1864 s'impiega al comune di Parigi e contemporaneamente frequenta i caffè letterarî. Ivi s'inizia alle pericolose volutià della "Musa verde", l'absinthe, contraendo il vizio degli abusi alcoolici. Sono di quegli anni i Poèmes saturniens (1866) che contengono, accanto a ingenue imitazioni, alcuni dei primi tipici poemi verlainiani. Ma il libro passa quasi inosservato, al pari delle Fêtes galantes (1869), dove pure è già V. tutto intero. Nel 1870 il poeta sposa la giovanissima Matilde Mauté di Fleurville, dalla quale avrà un figlio. Del tempo del suo fidanzamento rimane un libro, La bonne chanson. Ma l'assestamento di V. nella famiglia e nell'impiego dura poco: nel 1871 le sue simpatie comunarde gli fanno perdere il posto; ed è dello stesso anno l'apparizione di Arthur Rimbaud, destinata a sconvolgere tutta la sua vita. Iniziatasi con la "scoperta" fatta da V. del giovane poeta, l'amicizia per Rimbaud - sulla quale i più recenti biografi hanno, o pretendono di avere, tolto ogni velo, rivelandone il fondo scabroso - provoca a poco a poco la completa rottura tra V. e la moglie. Nell'estate 1872 V. fugge dal domicilio coniugale, peregrinando a lungo con l'amico per la pianura belga, e riparando quindi a Londra, dove i due trascorrono l'inverno in preda alla miseria. Tramontati i tentativi di riconciliazione con la moglie, cominciano i dissapori tra i due poeti, che culminano nella tragica scena di Courtrai, dove V. ubriaco ferisce l'amico con due colpi di rivoltella, ed è condannato a due anni di carcere dalle autorità belghe (1873). In carcere V. si converte alla religione, scrive le migliori poesie di Sagesse e di Amour, fa propositi di ravvedimento che sembrano dominare negli anni successivi, da lui trascorsi tra Inghilterra e Francia facendo il professore di lingue. Ma la resistenza del poeta alle sue incoercibili passioni ha un limite. A poco a poco, gli stessi rimorsi lo risospingono all'alcool, che ridesta in lui la vecchia sensualità "faunesca". L'avventura con Rimbaud ha una seconda edizione sbiadita nell'amicizia per il giovane Lucien Létinois, che induce il poeta all'acquisto di una fattoria e a un disastroso esperimento di colonia agricola. Morto Lucien, venduta all'asta la fattoria, V. perde qualsiasi ritegno e si immerge definitivamente nel vizio più dissoluto. Lo vediamo, nel 1885, a Vouziers, condannato a un mese di prigione per minacce contro la madre. Alla fine dello stesso 1885, dopo un nuovo periodo di vagabondaggio, si trasferisce stabilmente a Parigi, dove trascorre gli ultimi dieci anni, che ci offrono lo spettacolo miserevole della decadenza del poeta. Frattanto, per un paradossale contrasto, la celebrità letteraria, in una con la leggenda del "poeta maledetto", giunge a illuminare d'una singolarissima luce l'ultimo periodo della vita di V. Romances sans paroles (1875) e Sagesse (1879) erano rimasti senza eco. V. era a quell'epoca un dimenticato per gli stessi "parnassiani" amici di gioventù. Né al secondo libro aveva giovato l'etichetta cattolica: gli spiriti ortodossi guardarono infatti sempre con un certo sospetto al "fauno convertito". Il primo vero successo di V. è Parallèlement (1889), libro "profano", e quello che forse meglio rispecchia i termini della "leggenda" verlainiana, con il suo slancio "parallelo" verso la fede e il peccato, Dio e Satana. A Parallèlement, segue la ristampa delle opere precedenti, seguono Bonheur, Chansons pour elle, Liturgies intimes, ecc. Il giovane Moréas si fa paladino della sua fama, giornali ed editori richiedono l'opera sua; A. France, Lemaître, Bloy gli dedicano articoli, e nel 1894 viene eletto principe dei poeti.
La poesia di V. è eminentemente istintiva, nata dalla biografia: "poesia d'occasione" nel senso goethiano. Pochi poeti danno l'impressione del "dono" come egli sa dare. E, dove quel dono non lo assiste, la sua pagina rimane smorta e povera, sciatta e prolissa, pratica lamentazione e "documento". Nei Poèmes saturniens, attraverso influenze banvilliane, gautieriane e baudelairiane, già si accenna la sua schietta natura di canzonista, già si delinea quella sua voce rauca e gracile, così prodigiosamente musicale; quel suo accento inimitabile, nuovo e moderno eppur così misteriosamente legato alla fonte, gotica e popolare, della più lontana tradizione francese. Ma è con le Fêtes galantes e la Bonne chanson che il "dono" si afferma, per trionfare in Romances sans paroles e in Sagesse. Lo ritroveremo ancora in Jadis et naguère, in Parallèlement, complicato dai sensi aspri e amari d'un'esistenza decaduta e offerta allo sbaraglio fisico e morale. Lo ritroveremo infine nelle opere già tarde, seppure a sprazzi e frammenti che vanno via via diradandosi, soffocati dalla polemica lamentosa, pornografica o bacchettona, dalla tediosa esibizione autobiografica. Come tutti i poeti d'istinto, V. ignora i ripieghi della "bella letteratura", la poesia raffinata e composita di puro intelletto o di pura forma: ciò però non toglie che l'arte, anche nel senso di tecnica, mestiere, sia in lui grandissima. Ma, quando il suo estro più profondo s'impone, nascono Clair de lune, En sourdine, Ariettes oubliées, i sonetti e le canzoni di Sagesse, sovente mormorati appena, dove il ritmo, il respiro poetico si flettono sulle più sottili vibrazioni del sentimento, s'accordano a tutte le impercettibili variazioni della voce interiore. Ivi la parola si fa incorporea, confonde i suoi colori e i suoi contorni nel tremito canoro, sembra svanire ai confini della musica pur senza nulla perdere della sua individualità, del suo significato preciso e leggiero.
Certo anche nelle sue opere più tarde son tratti di forza, moti di desolato scontento, visioni a volte quasi allucinate, che fanno pensare all'influenza avuta su di lui dall'arte breve e folgorante del giovinetto Rimbaud. Ma la maggior parte dell'ultima produzione è lirica di qualità inferiore, come quella libertina di Chansons pour elle e Odes en son honneur, dove pure un volto, una figura, l'atteggiamento d'un bel corpo femminile son colti spesso in segni vivaci e precisi, che ricordano la pittura contemporanea d'un Degas o di un Toulouse-Lautrec. Più debole ancora è la parte religiosa, ove se ne eccettui il momento di accorata rassegnazione cristiana e di disperata invocazione a Dio rappresentato da Sagesse: più tardi il poeta fu tradito dalle necessità di sfruttamento pratico cui si trovò costretto, una volta dilapidato l'esiguo patrimonio e iniziata la triste "bohème" parigina degli anni ultimi.
V. ha anche scritto memorie, racconti e saggi in prosa, dettati: spesso da necessità giornalistiche e di valore piuttosto scarso (sarebbe tuttavia ingiusto non ricordare la serie dei Poètes maudits, che ebbe il merito di rivelare alla Francia lirici dell'importanza di un Corbière e di un Rimbaud). Come in genere i poeti del suo tipo, egli non sa esprimersi in prosa, e la sua frase rotta e saltellante dimostra l'incapacità a piegarsi all'esposizione di un pensiero o alla narrazione seguita. Lirico nella più intensa espressione del termine rimane V., profondamente nativo, tanto che la grazia della sua voce e la schiettezza del suo sentimento poetico ci inducono oggi ad attenuare il peso delle sue colpe, e la sua figura acquista, sullo sfondo dell'epoca in cui visse, un rilievo tutto romantico, quasi dell'ultimo sperduto nipote di François Villon.
Opere: P. V.: Øuvres complètes, voll. 6, Parigi 1898-1903.
Bibl.: Ch. Morice, P. V., Parigi 1887; E. Lepelletier, P. V., sa vie, son oeuvre, ivi 1907; E. Delahaye, V., ivi 1920; M. Coulon, Au coeur de V. et de Rimbaud, ivi 1925; F. Porché, V. tel qu'il fut, ivi 1933.