Varsavia, Patto di
Alleanza politico-militare e organizzazione di mutua assistenza fra l’Unione Sovietica e le democrazie popolari dell’Est europeo, operativa dal 1955 al 1991. Ispirata dal desiderio dell’URSS di rafforzare il proprio controllo sui Paesi satelliti, già operante attraverso una serie di accordi bilaterali di alleanza, e di riarmare la Repubblica democratica tedesca, rappresentò una risposta politica al riarmo della Repubblica federale di Germania, consentito dalla sua inclusione nella UEO e nella NATO (Accordi di Parigi e di Londra del 1954). Il patto prevedeva un’integrazione militare, consultazioni politiche e un impegno alla difesa reciproca tra URSS, Polonia, Cecoslovacchia, Repubblica democratica tedesca, Romania, Bulgaria, Ungheria e Albania (che però ne uscì di fatto nel 1961, al momento della frattura ideologica con Mosca, e formalmente nel 1968, dopo l’invasione della Cecoslovacchia). I sovietici imposero una quasi totale standardizzazione degli equipaggiamenti, della dottrina e delle strategie e procedure militari sul proprio modello. Il patto in quanto tale prese progressivamente a funzionare come copertura politica per dare una parvenza di pariteticità e collettività decisionale tra gli Stati membri, nelle prese di posizione verso la NATO o verso gli stessi membri; per es., nel 1968 Mosca fece nominalmente decidere al Patto di V. di invadere la Cecoslovacchia di A. Dubček. Con l’impossibilità da parte dei sovietici di mantenere l’egemonia sul blocco orientale, il patto si poteva già considerare militarmente irrilevante nel 1990, quando ne uscì la Repubblica democratica tedesca, che ne era stata il bastione militare verso occidente, con oltre 350.000 soldati sovietici sul proprio territorio. Dopo pochi mesi l’URSS accettò di evacuare le proprie truppe da tutti gli altri Paesi membri entro il 1994, impegno che la Russia avrebbe poi rispettato, e il 1° apr. del 1991 il Patto di V. venne formalmente sciolto in una riunione a Praga.