CASCESE (Cajés, Caxés, Cascesi), Patrizio
Pittore di origine aretina, passò in Spagna a lavorare per Filippo II e lì rimase per tutto il resto della sua vita. La prima notizia di lui la fornisce un contratto stipulato dal duca di Requeséns, ambasciatore di Filippo II a Roma, in data 18 sett. 1567, con il quale lo si impegnava per tre anni al servizio del re di Spagna con uno stipendio di 20 ducati al mese insieme con il fiorentino Romolo Cincinnato, a partire dal successivo inizio di dicembre (Martin Gonzáles, 1971).
Nel contratto steso a Roma, dove entrambi i pittori si trovavano "residenti alla corte pontificia", ma non si sa a quale lavoro impegnati, il C. è indicato come "de Arezo", ed è ricordato con un suo fratello Ercole, egli pure ivi residente. Si è quindi supposto che il C. fosse nativo della borgata di Cascese, nel comune aretino di Castel San Niccolò, e che di là derivasse il suo cognome che in lingua castigliana cinquecentesca dava luogo alle varianti ortografiche Cajés, Caxés e molte altre che si riscontrano in documenti e firme, anche relativi al figlio Eugenio.
Dal fatto che si sposò in Spagna con Casilda de la Fuente (il citato primogenito, Eugenio, pittore, nacque intorno al 1575) e che ivi morì solo nel 1612. Si può dedurre che fosse partito dall'Italia piuttosto giovane e che fosse nato dunque intomo al 1540.
Il 1567 è l'anno in cui diversi pittori italiani vengono contemporaneamente invitati in Spagna in rapporto con i molti lavori avviati dal re tra Madrid e l'Escorial: tra essi è G. B. Castello detto il Bergamasco, architetto e pittore già noto per le sue opere genovesi, con il figliastro Niccolò Granello (e il figlio adolescente Fabrizio Castello che a sua volta diventerà pittore), Francesco da Urbino e, appunto, il Cincinnato e il Cascese. Dal momento che il contratto indica specificamente l'obbligo di lavorare sotto la direzione di G. Becerra, resta implicito che venissero impiegati nella decorazione dell'Alcázar di Madrid e del palazzo del Pardo che il pittore spagnolo, per tanti anni attivo in Italia, aveva avviato da qualche tempo. Di fatto Vincenzo Carducci nei Diálogos ricorda che sia il Cincinnato sia il C. erano impegnati a dipingere nell'Alcázar insieme con il Bergamasco; ma le opere da essi realizzate sono andate distrutte.
Nel 1570 il contratto di ingaggio venne rinnovato, e pare che fin da allora il C. ricevesse l'incarico di preparare il disegno per il retablo maggiore della chiesa madrilena di S. Felipe el Real, posta sotto il patronato del re, la cui esecuzione però si protrasse nel tempo, al punto che solo nel '95 le pitture vennero commissionate allo stesso C. e a Bartolorneo Carducci. L'opera allora non venne realizzata, come risulta da un ulteriore documento del 1609 che annulla l'atto precedente, ed in seguito è ricordata come opera del C. e del Leoni (Poriz), distrutta in un incendio nel 1718. Perduto è anche il retablo per la cappella di don Fernán López; a Torrelaguna, di cui il C. fu incaricato nell'89, sicché ogni ipotesi intorno alla probabile cultura con cui il pittore si era mosso da Roma resta nel vago, appoggiata solo all'assai generico manierismo dell'incisione del frontespizio della sua traduzione del Vignola (1593) e ai caratteri propri al suo compagno di ingaggio, il Cincinnato, portatore di un manierismo raggelato in forme auliche, distillate da prototipi di primo Cinquecento, che incontrava il favore di Filippo II e ben rispondeva anche al rigido classicismo delle costruzioni in corso. È probabile che il C. avesse qualche familiarità con l'architettura o, quanto meno, con i suoi fondamenti teorici, come dimostrano sia gli incarichi relativi alla progettazione di retablos i cuiordini rispettavano ormai la più rigorosa regola cinquecentesca sia, soprattutto, il lavoro che ne ha reso più noto il nome in Spagna, cioè la citata traduzione in castigliano della Regola delli cinque ordini... del Vignola, pubblicata per la prima volta a Madrid nel 1593 e dedicata al principe Filippo, il futuro Filippo III. L'opera ebbe nel Seicento ben sette edizioni.
Non sembra comunque, a giudicare dall'insieme degli incarichi ricordati dai documenti, che il C. durante la sua lunga attività in Spagna godesse come artista di una situazione di prestigio paragonabile a quella di Bartolomeo Carducci, a cui fu molto legato e accanto al quale si trovò impegnato talvolta in quelle opere di occasione che il servizio di corte esigeva, apparati per feste e per funerali, montati in poco tempo e subito dopo disfatti e accantonati. Fu spesso utilizzato dal re per stimare, secondo l'uso, le opere eseguite da altri artisti: per esempio quelle del Tibaldi all'Escorial nel 1591.
Altri retablos ricordati dai documenti (uno per un non ben identificato borgo di Esquino in Biscaglia, 1601, ed un altro per la cappella di S. Niflo de la Guardia in S. Felipe el Real contrattati insieme con il figlio, ancora un altro nel 1611) sono andati perduti come quelli più giovanili già in precedenza citati.
Si conservano invece due sobrie nicchie marmoree di ordine classico da lui disegnate per la chiesa di El Carpio (Valladolid) destinate alla sepoltura della famiglia di Rodrigo Vazquez (1603) e le pitture del palazzo del Pardo, alla cui rinnovata decorazione, dopo l'incendio del 1604, fu chiamato a collaborare nel 1607, insieme con molti altri pittori, fra cui gli amici Carducci, il figlio Eugenio, Fabrizio Castello e altri. Anche Vincenzo Carducci precisa nei Diálogos come del C. le volte e le pareti della galleria della regina con Storie di Giuseppe, un'opera in cui si fa ormai sentire la svolta impressa a tutta la pittura di corte dall'orientamento riformatore in senso moderatamente naturalistico di Bartolomeo Carducci.
La ricca documentazione archivistica relativa al complesso dei lavori riguarda soprattutto la lunga trattativa e la polemica che coinvolse con il C. tutti i partecipanti a causa delle drastiche differenze fra la stima dei lavori fatta dagli esperti che rappresentavano i pittori e quella dei rappresentanti del re, accusati fra l'altro di incompetenza (Martin Gonzáles, 1958). La vicenda è indicativa delle notevoli difficoltà in cui operavano anche i pittori favoriti e spiega le continue lamentose suppliche cui ricorrevano per ottenere compensi.
Il C. morì a Madrid nel 1612.
Fonti e Bibl.: V. Carducho, Diálogos de la Pintura [1633], Madrid 1865, pp. 27, 249, 3461 A. Palomino y Velasco, El museo pictórico y escala óptica [1715-1724], a cura di M. Aquilar, Madrid 1947, p. 838; A. Ponz, Viaje de España [1772-1794], Madrid 1947, V, 7, 7, p. 488; J. A. Ceán Bermúdez, Diccion. histórico de los mas ilustres prof. ..., Madrid 1800, I, pp. 305-307; J. Marti y Monsó, Estudios histórico-artisticos, Valladolid 1898-1901, pp. 268, 607; C. Pérez Pastor, El licenciado Cajesi, in Rev. de Bibliotecas, Archivos y Museos, s. 4, VIII (1904), p. 2; M. V. Bochn, in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, Leipzig 1912, pp. 238 s. (sub voce Caxes); C. Pérez Pástor, Noticias y documentos rel. a la história y literatura españolas, Madrid 1914, ad Indicém;F. J. Sánchez Cantón, Los pintores de Camara de los reyes de España, Madrid 1916, ad Indicem; Id., Fuentes literarias para la história del arte española, I, Madrid 1923, pp. XXVII s.; II, ibid. 1933, ad Indicem;E. Levi, Una pagina del Machiavelli e il nome toscano di due pittori spagnoli, in IlMarzocco, XXXVI (1931), 31-36, pp. 1 ss.; Id., Una famiglia di artisti toscani nella vecchia Spagna, in Atti e mem. della Accademia Petrarca, XI (1931), pp. 181-191; J. Zarco Cuevas, Pintores italianosen San Lorenzo el real de El Escorial (1575-1613), Madrid 1932, ad Indicem;M. Gómez Moreno, El libro español de arquitectura, Madrid 1949, pp. 17 ss.; J. J. Martin Gonzáles, Arte y artistas del siglo XVI en la Corte. El pleito por la pinturas del Pardo, in Arch. español de arte y arq., XXXI (1958), pp. 133-139; Id., Noticias varias sobreartistas de la Corte en el siglo XVI, in Bol. del Semin. de arte y arqueol. de la Universidad de Valladolid, XXXVII (1971), pp. 232, 239 s.; El Escorial (1563-1963), Madrid 1963, ad Indicem;A. E. Pérez Sánchez, Museo del Prado. Catalogo de dibujos, I, Madrid 1972, pp. 23 s.; Id., El Museo de Guadalaiara, in Archivo español de arte y arq., XLVI (1974), p. 93.