VICINELLI, Patrizia
– Nacque il 23 agosto 1943, a Bologna, da Giorgio e da Adriana Cappelletti.
Dopo aver conseguito il diploma magistrale, si iscrisse alla facoltà di magistero, ma non portò a termine gli studi. Pubblicò il suo primo testo, E capita, nel 1962, nella rivista Bab Ilu di Adriano Spatola, situandosi subito nel campo delle neoavanguardie e della «poesia totale». Seguirono due testi su Ex, rivista di Emilio Villa e Mario Diacono, nel 1963 e uno in Malebolge. Si occupò di teatro sperimentale con Luigi Gozzi e Aldo Braibanti.
Trasferitasi a Roma, tra il 1963 e il 1965 conobbe artisti e autori di teatro, cinema e musica sperimentale. Apparve come attrice in due film di Alberto Grifi: In viaggio con Patrizia (1965) e Trasfert per kamera verso Virulentia (1966-67). Nel 1966 partecipò a un convegno letterario a La Spezia, impressionando il pubblico per l’intensità dei suoi testi e la qualità della sua lettura, e pubblicò per Lerici la sua prima raccolta, à, a. A, dedicata a Emilio Villa.
La lettura di questi testi fu registrata in un disco per le edizioni di Marcatré, nel 1967. Il volume fu presentato presso la libreria Feltrinelli di Roma da Alfredo Giuliani, Giorgio Manganelli e Renato Pedio. Duplice opera di poesia grafica e sonora, à, a. A sembra, sin dal titolo, radicalizzare le poetiche avanguardistiche per tendere a un azzeramento della lingua. Si tratterebbe di ripartire dai suoi elementi fondamentali, appunto dalla prima lettera dell’alfabeto. Così, le prime pagine rappresentano dei calligrammi astratti e asemantici, in cui numeri e lettere fluttuano liberamente sullo spazio della pagina. Osservando i cambiamenti di tipografia e la disposizione grafica delle lettere, si possono rintracciare alcune onomatopee e parole in lingue straniere (latino, francese, inglese, ebraico). Le pagine successive imitano un dattiloscritto e recano anche annotazioni manoscritte, come se il libro fosse composto da scartafacci, dando l’illusione di un’opera ancora in fieri. La raccolta tende a sospendere le convenzioni del linguaggio artistico in quanto comunicazione sociale, e mezzo di esplicitazione dell’ideologia nella storia, se si adotta una prospettiva gramsciana. Il plurilinguismo è un’altra caratteristica significativa delle poesie di Vicinelli: à, a. A sofferma l’attenzione proprio sugli elementi minimi del linguaggio e sul loro rapporto, confrontando, nella versione sonora dell’opera, i suoni dell’italiano con quelli delle altre lingue. Molte sono, d’altronde, le analogie con l’opera trilingue di Amelia Rosselli.
Dopo la pubblicazione della sua opera prima e la dissoluzione del Gruppo 63, avvenuta nel 1968, intraprese una ricerca più personale e isolata. Non si trattava più di occupare, secondo la logica avanguardistica tradizionale, un posto paradossalmente dominante nel campo letterario, ma di rifiutare qualsiasi compromesso, collocandosi in una posizione marginale. Una serie di vicende biografiche aiutano a comprendere una scelta così radicale.
Nel 1968 Vicinelli, insieme con altri artisti e intellettuali, si schierò in difesa di Braibanti, processato per la sua omosessualità in virtù dell’ancora vigente legge sul ‘plagio’, eredità del fascismo. La svolta avvenne, però, nel 1969 quando, fuggendo un accanimento poliziesco e giudiziario nei suoi confronti, si esiliò in Marocco, dando avvio a un secondo periodo nella propria opera. A Tangeri, crocevia linguistico e postcoloniale, noto rifugio per intellettuali e artisti europei in dissenso con le leggi dei loro Paesi d’origine, la scrittrice si allontanò dalle prime scelte poetiche, orientandosi verso la poesia grafica, ma anche immergendosi nel misticismo e nell’occulto. Tra il 1969 e il 1970, compose Apotheosys of schizoid woman, pubblicata nel 1979 nel periodico Tau/Ma a cura di Mario Diacono e Claudio Parmiggiani.
L’opera, che somiglia a una plaquette situazionista, presenta un abbandono pressoché totale della testualità che viene quasi completamente sostituita con le immagini. Questo volume di poesia grafica si legge da destra a sinistra (secondo l’ordine di lettura delle lingue semitiche) e raccoglie una serie di fotografie, disegni, ritagli. Le ripetizioni e variazioni grafiche costituiscono una forma di narrazione muta e astratta, il cui ritmo è dato dall’intersecarsi di linee ortogonali, addolcito da alcune curve e tratti ornamentali, che evocano appunto la scrittura araba. Apotheosys of schizoid woman allude probabilmente alla condizione della poetessa stessa, che si trova in esilio, a confronto con lingue a lei ignote, scissa tra varie identità. Sebbene rarefatto, il testo è ancora presente sotto forma di collage di etichette di medicine, frammenti di manoscritti e ritagli di giornali francesi e italiani, certo scelti con cura, come quello in francese che potrebbe alludere alla morte di Giuseppe Pinelli. Secondo il principio del ready made, la scrittura non è più concepita come creazione originale, ma soltanto come recupero di materiali già esistenti, che sprigionano il loro significato perché vengono isolati e trasposti in un altro contesto. L’ultima pagina rappresenta un volto diviso a metà e posto sopra la foto del mento della stessa Vicinelli, come a suggellare un’identificazione autobiografica con la donna «schizoide» celebrata nel titolo.
Sono poco noti i luoghi del suo esilio, ma si suppone che Vicinelli abbia trascorso un periodo anche in Francia: nel 1973, appare infatti in un cortometraggio di Mario Gianni girato a Lourdes. Fatto ritorno in Italia, Vicinelli fu arrestata una prima volta nel 1976, poi nel 1977, e fu imprigionata nel carcere di Rebibbia, a Roma, fino al 1978, probabilmente per possesso di droga e fuga. Durante la prigionia, scrisse e mise in scena un’opera teatrale con le detenute, Cenerentola, riscrittura femminista della fiaba, che ricevette l’attenzione di numerosi quotidiani; l’opera fu poi allestita in una scuola elementare di Bologna.
Lo sforzo di oggettivare e di condividere la propria esperienza segnò per Vicinelli un terzo periodo, in cui tornò a modalità più tradizionali di scrittura. Dopo varie stesure, pubblicò presso Aelia Lelia il volume Non sempre ricordano (Reggio Emilia 1985), traendone, un anno dopo, una videoperformance con la regia di Gianni Castagnoli.
Considerato il suo capolavoro, questo poemetto si ispira a un dazebao (cartelloni incollati sui muri durante la rivoluzione maoista): il testo comprende stilemi tipici della retorica contestataria degli anni Settanta, urli e slogan, inframmezzati a momenti onirici o contemplativi. Ricollegandosi alla grande tradizione della poesia narrativa italiana, da Dante a Elio Pagliarani, e usando varie lingue, Non sempre ricordano sintetizza il travagliato percorso biografico, culturale e artistico della scrittrice.
Nel contempo Vicinelli moltiplicò gli stili e gli approcci creativi (narrativa, saggistica, performances). Nel campo della poesia sonora, diede un contributo alla raccolta Baobab II (1981) e presentò lo spettacolo Majakovskij il tredicesimo apostolo (1989). Nel 1983, apparve come attrice nel film Amore tossico di Claudio Caligari. Tra il 1980 e il 1988, lavorò alla stesura di un romanzo incompiuto, Messmer. A partire dal 1986, pubblicò alcuni articoli di politica internazionale, per esempio sul Cile di Augusto Pinochet o sull’apartheid; intervistò scrittori di fama internazionale come Michel Butor; scrisse saggi su scrittori italiani contemporanei come Pier Paolo Pasolini o Stefano Benni.
Suoi testi apparvero in varie riviste (Zibaldone, Alfabeto, Malebolge) e furono inclusi in alcune antologie poetiche come Poesia degli anni Settanta (Milano 1979), Poésie internationale (Luxembourg 1987), Poesia italiana della contraddizione (a cura di F. Cavallo - M. Lunetta, Roma 1989, pp. 252-255). Infine, tra il 1985 e il 1987, compose la sua ultima opera poetica, intitolata I fondamenti dell’essere.
In questo poema, segnato da una lingua classica, affiorano le tematiche della ricerca spirituale. L’autrice ne presentò alcuni brani al Festival di poesia Di versi in versi (Parma, 1986), anticipò alcuni passi in rivista e realizzò una videoperformance nel 1987, ma non fece in tempo a pubblicarlo. Altre prose saggistiche, pubblicate postume, permettono di sintetizzare la sua posizione ideologica: una dolorosa consapevolezza di aver perso una «grande giusta battaglia di generazione».
Morì a Bologna, il 9 gennaio 1991, per le conseguenze dell’AIDS.
Ebbe due figli: Giovanni (da Gianni Castagnoli) e Anastasia (da Giovanni Michelagnoli).
L’edizione postuma delle Opere (Milano 1994), a cura di Renato Pedio, permette un primo e provvisorio bilancio del suo percorso poetico: se ne può avere una visione più esauriente grazie all’edizione a cura di Cecilia Bello Minciacchi, pubblicata nel 2009. Oltre a comprendere notevoli testi inediti di Vicinelli, questa contiene un prezioso compendio di videoregistrazioni delle performances a cura di Daniela Rossi. Come dimostra l’esigua bibliografia critica, l’opera poetica e artistica di Vicinelli resta ancora poco studiata in Italia, nonostante l’intensità del suo approccio interdisciplinare e la sua valenza testimoniale, manifesto di una generazione sconfitta e scomparsa troppo presto.
Fonti e Bibl.: A. Spatola, recensione a à, a. A, in Il Verri, 1968, 27, pp. 104 s.; N. Balestrini, Il poema del dissenso, in L’Espresso, 27 ottobre 1985; L. Magazzeni, L’innocente esistere di P. V., in Atlante dei movimenti culturali dell’Emilia Romagna 1968-2007, I, La Poesia, a cura di P. Pieri - C. Cretella, Bologna 2007, pp. 93-105; P. Vicinelli, Non sempre ricordano. Poesia Prosa Performance, a cura di C. Bello Minciacchi, Firenze 2009; M. Buonofiglio, Linguaggio ‘ancestrale’ e sperimentazione linguistica nell’opera di P. V., in Il segnale, XXXII (2013), n. 95; E. Sciarrino, Le plurilinguisme en littérature. Le cas italien, Paris 2016 (in partic. pp. 80-83, 99-104).