FOZIO, patriarca di Costantinopoli
Nacque intorno all'827 da nobile casato; suo fratello Sergio sposò Irene, sorella dell'imperatrice Teodora, e probabilmente questo matrimonio, più che la laboriosa carriera negli studî, fece salire in alto F. nella gerarchia dei pubblici onori. Quando Ignazio, patriarca di Costantinopoli, fu deposto e relegato nell'isola di Terebinto (novembre 858) per volontà dell'imperatore Michele e del correggente Bardas, quegli figlio, questi fratello di Teodora, F., che ricopriva l'altissima carica di primo segretario di stato e di protospatario, fu designato, benché laico, alla successione di Ignazio nel patriarcato; a ciò si prestò docilmente un concilio, in fretta convocato d'ordine degl'imperatori, e Gregorio Asbesta, metropolita di Siracusa, scomunicato per gravi demeriti, non esitò a consacrare F. il 25 dicembre dello stesso anno. Nei giorni precedenti F. si era fatto conferire gli ordini sacri. È chiaro che il conferimento del patriarcato a questo già alto funzionario dell'Impero, legato ai regnanti da vincoli di parentela, fu voluto come ottimo mezzo per rinsaldare l'autorità di quelli così all'interno come all'estero. L'elezione però doveva essere convalidata da Roma. F., consenzienti gl'imperatori, per messi e lettere fece annunziare al papa Niccolò I che suo malgrado era stato assunto al patriarcato e chiese la ratifica dell'elezione, asserendo che Ignazio aveva rinunziato alla sua dignità. La verità invece era che Ignazio, sottoposto a dure vessazioni, non aveva ceduto su questo punto, anzi si era appellato al papa. Messi pontifici, recatisi per un'inchiesta a Costantinopoli, esorbitando dal mandato avuto, intervennero ad un concilio, che convalidò la deposizione di Ignazio e l'elevazione di F. (maggio 861). Niccolò I, da più parti reso edotto di questi fatti, fece sentenziare da un sinodo tenuto a Roma gravi sanzioni contro gl'inviati papali e fece dichiarare nulle le deliberazioni relative a F. e a Ignazio. F. allora, sempre sostenuto dalla corte, non esitò a passare sopra l'autorità di Roma; per attrarre alla sua causa il clero e le popolazioni orientali, con fine astuzia fece della sua una causa di interesse generale, additando nell'opposizione di Roma alla sua elezione un'ostilità non nuova della Santa Sede alla corte greca e agl'interessi dell'Impero e della Chiesa orientale.
A dar esca al fuoco, venne anche la controversia per l'organizzazione del cattolicismo in Bulgaria, già avviata largamente da monaci greci e da poco per volontà del re Boris continuata da missionarî latini, azione questa che sommamente spiacque così alla corte come al clero greco. Facendosi vindice del generale risentimento, F. convocò a Costantinopoli un concilio, la cui attività ci è attestata solo dalle lettere d'invito da lui spedite ai patriarchi e ai vescovi delle chiese d'Oriente; in esse con grande veemenza affermò la parità dei patriarchi di Costantinopoli e dei romani pontefici, accusò di eterodossia la Chiesa occidentale, affermando tra l'altro che essa aveva alterato il Credo, introducendo in questo la espressione "e dal Figlio" (Filioque) dopo le parole "(credo) nello Spirito Santo che procede dal Padre".
La stella di F. impallidì quando, spenti l'un dopo l'altro Bardas e Michele III imperatore, salì al trono Basilio il Macedone, fautore di una politica di collaborazione con l'Impero d'Occidente e con la Chiesa romana contro gli Arabi. F. fu invitato a ritirarsi in un convento (23 novembre 867) e sulla sede patriarcale fu messo di nuovo Ignazio; tuttavia per desiderio dello stesso Basilio la controversia ignazio-foziana fu sottoposta al giudizio di un concilio ecumenico, che fu convocato a Costantinopoli con l'intervento di legati pontifici. L'assemblea sentenziò in favore d'Ignazio e F. fu mandato in esilio a Stenos sul Bosforo (febbraio 870). Di là, tenace nelle sue rivendicazioni, F. mantenne attiva corrispondenza con i suoi partigiani e con alcuni membri della corte stessa; grazie a costoro ottenne nell'876 d'esser richiamato a corte, sia pure soltanto come e precettore del principe Costantino, e alla morte d'Ignazio fu riposto sul seggio patriarcale.
Approfittando delle difficili condizioni della Chiesa romana, F. ottenne la sanzione di Roma alla sua riabilitazione nel concilio costantinopolitano del novembre 879. Ma poco dopo, sotto l'accusa di aver alterato le lettere pontificie, sottaciuto le condizioni impostegli dal papa e fatto condannare l'espressione "e dal Figlio" come aggiunta tardiva al Credo, F. fu scomunicato da Giovanni VIII (881); ma egli si sostenne, perché Basilio, vittorioso nel mezzogiorno d'Italia, non badava più ormai all'alleanza con Roma; invano Giovanni VIII e i successori di lui Marino I e Stefano V insistettero perché F. fosse deposto; solo da Leone VI, figlio e successore di Basilio, bramoso di far eleggere patriarca suo fratello Stefano, si ottenne l'intento. F. fu relegato in un monastero, dove visse oscuro sino all'anno 898 circa.
Il nome di F., oltre che per questi eventi, merita d'esser tramandato ai posteri per i suoi meriti di studioso e di assertore infaticato delle cospicue tradizioni di cultura e di attività apostolica della Chiesa greca. In questa la sua memoria fu con particolare cura conservata, specialmente nei secoli che seguirono allo scoppio dello Scisma d'Oriente, tanto da tributargli onori persino sugli altari. Egli lasciò una gran mole di scritti, quali il Myriobiblon o Bibliotheca Photii, rassegna di 279 opere, per lo più storiche e teologiche, che egli lesse e delle quali riporta più o meno ampî sommarî; attraverso questa sua raccolta si conservano notizie di biografie e di opere, altrimenti perdute, di molti scrittori greci (edizione Bekker, Berlino 1824-35); l'Anfilochia o dialogo con Anfilochio, metropolita di Cizico, suo discepolo, che propriamente è una raccolta di trecento dissertazioni teologiche (ediz. Sophocles Oeconomus, Atene 1858); il Lexicon (ediz. S. A. Naber, Cambridge 1864). Altri scritti si conservano di lui contro i manichei e i pauliciani e sulla famosa controversia coi Latini circa la processione dello Spirito Santo (De Spiritus Sancti mystagogia, ediz. Hergenroether, Ratisbona 1857); di notevolissima importanza il suo Epistolario (edizione Papadopoulos Kerameus, Pietroburgo 1896-98) e la raccolta delle sue Omelie e Sermoni (ediz. Aristarches, Atene 1900-01). Unica edizione completa delle sue opere in Migne, Patrologia greca, CI-CV.
Bibl.: Raynaldus, Annales Ecclesiastici, XIV-XV, Lucca 1743-44; J. Hergenroether, Photius Patriarch von Constantinopel, Ratisbona 1867-69; K. Krumbacher, Geschichte der byzantinische Literatur, 2ª ed., Monaco 1897; Papadopoulos Kerameus, ‛Ο πατριάρχης Φώτιος ὡς πατὴρ ἅγιος τῆς ὀρϑωδόξου καϑολικῆς 'Εκκλησιας, in Byzantinische Zeitschrift, VIII (1899), pp. 647-671; P. Lapôtre, L'Europe et le Saint-Siège à l'époque carolingienne. Le pape Jean VIII, Parigi 1895; H. Delehaye, Propylaeum ad Acta Sanctorum Novembris: Synaxarium Ecclesiae Constantinopolitanae, Bruxelles 1902; Hefele-Leclercq, Histoire des Conciles, IV, 1, Parigi 1911; E. Gerland, Photios u. der Angriff der Russen auf Bysanz 18 Juni 860, in Neue Jahrbücher f. d. klass. Altertum, Lipsia 1903; M. Jugie, Le culte de Photius dan l'Église byzantine, in Revue de l'Orient Chrétien, serie 3ª, tomo III (1922-23), pp. 105-122; Th. Spacii S. I., Comceptus et Doctrina de Ecclesia iuxta Theologiam Orientis separati, in Orientalia, II, 1923; Mons. Germ. Hist., VII, ii, Berlino 1928, p. 403 e segg.: Lettera di Anastasio il bibliotecario a papa Adriano II (esposizione della controversia foziana).