PATERNO
. Famiglia siciliana, la cui origine risale, secondo la tradizione, al cavaliere provenzale Roberto, conte di Embrun, della casa sovrana di Barcellona e di Provenza, venuto nell'isola col conte normanno Ruggiero, all'inizio del sec. XI, e che, per avere espugnato il castello di Paternò ne ottenne la signoria feudale e ne prese il nome (1070). Un secondo Roberto e un Costantino, conte di Butera; che sposò una pronipote di Ruggiero II, vissero nel sec. XII, mentre dei discendenti, vissuti nel sec. XIII, si sa soltanto che furono perseguitati dagli Svevi e da Carlo di Angiò e dotati di feudi e di onori dai re Aragonesi. A metà del Trecento un Giovanni, detto il Seniore, rimasto unico superstite della famiglia, dopo le stragi causate dalla peste del 1347 e dalle lotte civili, ne ricostituì le sorti e il patrimonio. Egli fu barone del Burgio, signore di altri feudi, e vicario generale del regno. Da lui discendono gli attuali rami della famiglia, che rapidamente ascese a grande autorità, impadronendosi del governo civile di Catania e dominando nella Mastra Nobile della città al segno da escluderne chiunque a essa non piacesse e da ottenere l'istituzione nel proprio seno di un "arbitrato" atto a dirimere le contestazioni fra i membri, che ne facevano parte, e anche fra persone di altre famiglie. Dissensi intestini, avvenuti negli ultimi due secoli, volsero in disuso quel tribunale, ma i P. continuarono a illustrarsi come guerrieri e mecenati. Un Gianfrancesco militò con Carlo V nelle guerre d'Africa, d'Italia e di Francia; altri personaggi della famiglia combatterono, come Cavalieri di Malta, contro i Turchi; Alvaro (circa 1430-1523), senatore romano, contribuì alla rinascita intellettuale della Sicilia; Giovanni, arcivescovo di Palermo nel 1489 e cardinale e presidente del regno nel 1506 e 1509 (morto il 24 gennaio 1511), protesse Antonello Gagini, al quale commise la tribuna del duomo di Palermo e il proprio sarcofago, ora nella cripta di quella cattedrale. Nel sec. XVIII Ignazio (1719-1786), del ramo di Biscari, ritrovò numerosi e insigni monumenti greci e romani e fondò l'importante museo, che ebbe ai suoi tempi fama europea. Molto dovettero all'opera dei P. l'istituzione dello Studio di Catania e la fabbrica del Molo della stessa città, come pure la fondazione e l'incremento di varie città e terre siciliane (Mirabella Imbaccari, Raddusa, Biscari), l'istituzione di industrie, come quella della seta (di cui avevano la privativa in Catania) o quella del lino (Biscari), le bonifiche di territorî importanti ed estesi, che richiesero opere colossali (canale nel territorio di Carcaci lungo oltre 50 km., ponte-acquedotto d'Aragona sul Simeto lungo 720 metri, alto 40), ecc.
Ai primi dell'Ottocento la famiglia si trovava ancora in piena floridezza con cinque seggi ereditarî nel parlamento siciliano, dodici fra città e terre di vassallaggio, una ventina di baronie col mero e misto impero, e gran numero di feudi piani e beni allodiali, tenute, ville e palazzi. L'abolizione della feudalità (1813) la privò dei poteri politici ed economici a essa inerenti, ma nel nuovo ordinamento sociale continuò a primeggiare nel campo intellettuale e in quello politico e diplomatico con il marchese Antonino P. Castello di san Giuliano, deputato, ambasciatore, ministro degli Esteri (v. san giuliano, antonino di) e con il chimico marchese Emanuele P. di Sessa (v.).
Da Giovanni il Seniore derivarono 24 rami, quattordici dei quali, divisi per i due gruppi dei P. e dei P. Castello, sopravvivono tuttora. Dei primi fanno parte: a) i principi di Sperlinga Manganelli; b) i duchi di Roccaromana e marchesi del Toscano; c) i conti Amico P.; d) i marchesi di Sessa; e) i marchesi di Manchi, Marianopoli e Raddusa; f) i marchesi di Regiovanni e Spedalotto e conti di Prades; g) i duchi di San Nicola e Pozzomauro e conti di Montecupo. Appartengono al gruppo dei P. Castello: a) i principi di Biscari; b) i duchi di Carcaci; c) i duchi P. Castello; d) i baroni di Bicocca; e) i marchesi di San Giuliano e di Capizzi; f) i principi di Valsavoia (Moncada-P.); g) i baroni di Sant'Alessio, i quali tutti, come quelli del primo gruppo, fanno uso dell'arma portata un tempo dal conte di Embrun loro capostipite.
Bibl.: Oltre alle storie generali della Sicilia e agli scrittori di araldica (marchese di Villabianca, Mango di Casalgerardo, ecc.), cfr. A. M. Lupi, Dissertatio ad... Severae Martyris epitathium, ecc., Palermo 1734; G. Lombardo-Buda, Elogio di Ignazio P. Castello, Catania 1786; F. Paternò di Carcaci, L'inventario e il testamento di Alvaro P., in Arch. stor. per la Sic. orient., XXVI (1930); Varvaro, in Rivista araldica, Roma 1931, p. 541, e 1933, p. 3; Carrelli, Hauteville e Paternò, ibid., 1932, p. 396; G. Libertini, Il museo Biscari, Roma-Milano 1930 ecc.