PATERNITÀ
. Diritto. - Mentre la maternità in natura è un fatto, la paternità è una presunzione: la maternità si può provare con mezzi diretti, la paternità soltanto per indizî. Soccorrono, praticamente, due presunzioni legali ispirate al favor legitimitatis: quella della paternità del marito (art. 159 cod. civ., riproducente la massima romana: pater is est quem nuptiae demonstrant), e quella del cosiddetto periodo legale del concepimento (cioè l'intervallo di tempo tra il maximum e il minimum della gestazione, compreso tra il trecentesimo e il centottantesimo giorno prima della nascita). La prima presunzione è subordinata, nella sua applicazione, a questa seconda.
Il marito può tuttavia disconoscere il figlio quando riesca a provare che durante tutto il periodo del concepimento si è trovato nell'impossibilità di generare il figlio per cause legalmente determinate. Le quali sono: a) impossibilità fisica, prodotta da allontanamento o da altro accidente o da impotenza manifesta (articoli 162, 164 cod. civ.); b) impossibilità giuridica, quando vi sia separazione personale, nel qual caso si presume non vi siano rapporti fra coniugi; c) impossibilità morale, risultante dal concorso dell'adulterio della moglie, del celamento del parto e di altri fatti tendenti a escludere la paternità del marito. L'azione di disconoscimento spetta al marito e, per l'interesse patrimoniale, ai suoi eredi e deve esperirsi in un termine brevissimo di decadenza (due o tre mesi: articoli 166-168 cod. civ.). Il marito si presume anche padre del figlio concepito prima della celebrazione del matrimonio, e nato prima che siano trascorsi 180 giorni dalla sua celebrazione; ma questa presunzione, meno intensa, può esser fatta cadere con la semplice azione di denegazione, alla quale il marito non può più ricorrere se abbia espressamente o tacitamente riconosciuto il figlio. Il marito finalmente non si presume padre del figlio nato trecento giorni dopo lo scioglimento o l'annullamento del matrimonio, benché il codice non lo dichiari illegittimo di diritto, ma lo consideri un figlio la cui legittimità può essere impugnata da qualunque interessato.
Se, quando vi sia un matrimonio, vige la massima che il marito si presume padre del figlio, con le cautele e limitazioni ora accennate, fuori del matrimonio è posto nella legislazione italiana il principio che le indagini sulla paternità non sono ammesse, eccezione fatta nei casi di ratto o di stupro violento, quando il tempo di essi risponda a quello del concepimento (art. 189). Questo divieto, introdotto dalle leggi rivoluzionarie francesi, fu mantenuto dal codice napoleonico e di lì passò nel codice civile italiano. Il diritto comune italiano anteriore ai codici, il codice germanico, il codice austriaco, il codice svizzero ammettono la ricerca della paternità, ma soltanto allo scopo di dare al figlio un diritto agli alimenti, cioè un diritto di credito, non allo scopo di dargli un vero stato. In Francia la legge 16 novembre 1912, modificando l'art. 340 cod. nap., corrispondente all'art. 189 del cod. civ. italiano, ha aumentato largamente le eccezioni al divieto della ricerca della paternità. In Italia il rigore del divieto è stato temperato dalla legge 18 luglio 1917 n. 1143 sugli orfani di guerra (v. filiazione). Il divieto è assoluto; cioè così a danno come a vantaggio del figlio. Ammessa invece, sia a vantaggio sia a danno del figlio, è l'indagine della maternità, a meno che si tratti di figli adulterini o incestuosi (articoli 190 e 193 cod. civ.).
Quando vi siano figli nati fuori del matrimonio e non siano adulterini e incestuosi, quando, cioè, vi siano figli naturali semplici, la paternità, come la maternità, si accerta attraverso il riconoscimento, che è precisamente la confessione, da parte del genitore, della propria paternità o maternità. Il riconoscimento è atto meramente dichiarativo, in quanto non crea lo stato di figlio, ma lo accerta, non ha valore se non corrisponde alla verità e può quindi essere impugnato come mendace sia dal figlio, sia anche da qualunque interessato (art. 188). È atto irrevocabile; personale, nel senso che non può compiersi se non dai genitori (e non, ad esempio, dai loro legali rappresentanti); individuale, nel senso che, se anche fatto congiuntamente dai due genitori, pone in essere due atti giuridicamente distinti e il riconoscimento di un genitore non ha alcun effetto per l'altro (art. 182). Il riconoscimento si può fare soltanto o nell'atto di nascita o con atto autentico (cioè, oltre che con atto pubblico, con testamento segreto, con scrittura privata autenticata) e simili anteriore o posteriore alla nascita (art. 181 cod. civ.).
Per quel che riguarda la paternità dal punto di vista biologico, v. ematologia.