pastura
Due volte nel Convivio, e sei nella Commedia, in rima. Il termine non presenta un valore semantico ben definito: in alcuni luoghi esso significa " pascolo ", nel senso di " assunzione del cibo ": Pg II 125 li colombi adunati a la pastura, " ad capiendum cibum " (Benvenuto); XIV 42 hanno sì mutata lor natura / li abitator de la misera valle [dell'Arno], / che par che Circe li avesse in pastura, cioè " mandati al pascolo " (Cesari), " nutriti con cibi degni di loro " (Mattalia); Pd XVIII 74 come augelli... / quasi congratulando a lor pasture. In Pd V 102 Come 'n peschiera... / traggonsi i pesci a ciò che vien di fori / per modo che lo stimin lor pastura, il sostantivo vale senz'altro " cibo ".
Il termine si registra anche in contesti metaforici del Convivio, a indicare " il pascolo, cioè nutrizione culturale e spirituale ", in senso negativo: I I 8 in bestiale pastura... erba e ghiande sen gire mangiando; I 10 fuggito de la pastura del vulgo. Al contrario, in Pd XXI 19 Qual savesse qual era la pastura / del viso mio ne l'aspetto beato di Beatrice, il sostantivo, dal significato proprio di " pascolo ", è passato a esprimere l'idea di " godimento ", " diletto ". Così pure, dall'accezione propria di " cibo " è derivata quella figurata di " cosa bella e perfetta ", tale da ‛ pascere ', allettare gli occhi (cfr. If XVII 57), che il termine ha assunto in Pd XXVII 91 se natura o arte fé pasture / da pigliare occhi, per aver la mente, / in carne umana o ne le sue pitture.