CAPPELLI, Pasquino de'
Appartenente a una famiglia da tempo affermatasi a Cremona, ma mai assurta tra le maggiori, il C. dovette nascere intorno al 1340. Suo padre, Baldassarre, è indicato nelle fonti come "dominus", e fu forse giurista. Il C. studiò diritto ed ebbe la qualifica di notaio; mancano, tuttavia, prove che egli frequentasse un'università. Secondo l'Arisi fa registrato come "causidicus" nella sua città d'origine.
La prima notizia sicura C. risale al 1373, quando si trovava al servizio di Galeazzo Visconti a Pavia in qualità di cancelliere. Nel 1376 accompagnò Filippo de' Casoli presso il cardinal legato per negoziare la pace con il papa; segno, questo, della fiducia che il Visconti riponeva in lui. Dopo la morte di Galeazzo nel 1378 il C. e Andreolo Arisi - un suo concittadino che lo aveva seguito nel servizio presso il Visconti intorno al 1377 - appaiono come i membri più fidati della cancelleria di Gian Galeazzo a Pavia: entrambi hanno il grado di "secretarius", titolo che il C. porta almeno dal 1381. Per conto di Gian Galeazzo il C. compì numerose missioni tra il 1378 e il 1385. Durante la guerra di Chioggia si recò per due volte al campo di Carlo di Durazzo (1379-1380), fece frequenti visite a Bernabò Visconti a Milano per coordinare la politica di questo con quella di Gian Galeazzo, e nel maggio 1381 ricevette le credenziali per recarsi presso Amedeo VI di Savoia a Torino per partecipare ai negoziati che posero fine alla guerra. È possibile - se la data indicata dall'Arisi è corretta - che nel 1382 il C. si recasse in Francia; certamente era a Parigi nel 1383, in un periodo di intensi rapporti diplomatici tra le corti dei Valois e dei Visconti in rapporto alla spedizione di Luigi d'Angiò nel Regno.
Quando nel maggio del 1385 Gian Galeazzo Visconti cacciò lo zio Bernabò e unificò sotto di sé tutti i domini viscontei, le missioni del C. ebbero termine. Dopo di allora, per i successivi tredici anni, egli protesse il ritiro scelto da Gian Galeazzo nel castello di Pavia e nelle sue tenute di caccia. L'aneddoto, riportato dal Gatari, relativo al modo con cui il C. fermò sulla via di Abbiategrasso il conte di Carrara è con ogni probabilità falso; esso sta comunque a testimoniare che al C. notoriamente spettava la concessione delle udienze con il signore. In particolare egli teneva nelle sue mani le fila dei rapporti diplomatici. Quando i rappresentanti di principi e di governi giungevano a Pavia, era attraverso il C. che essi cercavano di ottenere un incontro con il Visconti, a lui illustravano i loro problemi, da lui cercavano di ottenere informazioni attendibili. "Fui cum Pasquino" è l'espressione ricorrente nei dispacci degli ambasciatori degli Stati alleati. Il C. era stato elevato al rango di consigliere, ed è probabile che egli fungesse da abituale intermediario tra Gian Galeazzo e il Consiglio segreto, nel senso che a questo egli presentava le questioni da mettere in discussione e quindi riportava al signore le decisioni del Consiglio. Quale cancelliere, segretario e consigliere, il C. aveva una posizione di alta responsabilità e potere. Non siamo in grado di assegnargli un preciso contributo alle decisioni politiche e diplomatiche di quel periodo, dato che i dispacci degli inviati stranieri lo descrivono di solito soltanto come portavoce del Visconti e mancano testimonianze di discussioni tra il C. e il suo signore che avrebbero permesso di comprendere se il parere del C. avesse valore per Gian Galeazzo, e in quale misura. Sembra comunque chiaro che il Visconti aveva pieno rispetto della capacità del C. e gli accordava tutta la propria fiducia.
Poco si sa sulla struttura della cancelleria viscontea in questi anni: essa appare ancora in un primo, amorfo stadio di sviluppo. All'interno dell'ufficio il C. appare in una posizione preminente per dignità e responsabilità a partire dal 1385; ma nulla consente di ritenere che egli esercitasse sull'organizzazione dello stesso un'autorità generale del tipo di quella che avranno sotto gli Sforza il Simonetta e Bartolomeo Calco. In questo periodo la cancelleria sembra essere più un gruppo di persone che un organo burocratico pienamente sviluppato. Il C. stesso era sempre accanto al principe, insieme con un gruppo di altri cancellieri. È anche probabile che egli non avesse il pieno controllo diretto della sezione della cancelleria rimasta a Milano, la quale aveva la custodia del grande sigillo. Un'analisi della autenticazione delle lettere fa pensare che i cancellieri non avessero ancora raggiunto un alto grado di specializzazione. Il C. ha autenticato una gran parte delle lettere diplomatiche rimasteci, ma certamente non tutte. Ha autenticato anche numerosi atti della varia corrispondenza amministrativa. In alcuni documenti ufficiali viene attribuito al C. - al pari del suo collega Andreolo Arisi - il titolo di "cancellarius et secretarius": i segretari, pertanto, non costituivano ancora un grado distinto nella gerarchia amministrativa, nettamente separato da quello dei cancellieri, come avverrà in età sforzesca. Come "secretarius "il C. godeva di un titolo funzionale attribuito a quei cancellieri che erano stati scelti per agire "a secretis" e ai quali era affidata la corrispondenza relativa ai problemi più delicati del governo e in particolare quella concernente i rapporti con gli altri Stati.
La carriera del C. si concluse improvvisamente nel giugno del 1398. In una lettera datata 12 giugno e scritta probabilmente a Fornovo si legge che "Pasquino è preso di volontà del signore con gran chaso". Un decreto del 14 agosto successivo revocò tutte le concessioni fatte al C. da Galeazzo e da Gian Galeazzo Visconti "ex causa infidelitatis". Il C. fu, dunque, accusato di tradimento. Questa è l'unica testimonianza diretta dell'accaduto giunta fino a noi, così che il mistero della sua caduta e della sua punizione resta impenetrabile. I pochi scrittori contemporanei che accennano all'episodio lo commentano in modo vario a seconda della loro posizione nei riguardi del Visconti. Due di loro, entrambi ostili a Gian Galeazzo, dichiararono che il C. era innocente: vittima dell'avidità del duca, secondo il fiorentino pseudo-Minerbetti; vittima di "exitiales emulorum aculeos", stando al Marzagaia. Dall'altra parte Francesco di Vannozzo, uno dei poeti adulatori che salutarono Gian Galeazzo come il salvatore d'Italia, usò l'esempio del C. per ammonire i traditori. La successiva tradizione storica milanese, rappresentata dal Corio e dagli anonimi Annales Mediolanenses, concorda nell'attribuire la caduta del C. agli avvenimenti della campagna militare contro Mantova dell'estate 1397 e alla sconfitta dell'esercito visconteo a Governolo.
Secondo gli Annales il C. fu la vittima innocente di una macchinazione ideata dal signore di Mantova. Il Chronicon Eugubinum, che è anch'esso del tardo secolo, offre invece una diversa versione dei fatti, sostenendo la colpevolezza del C. che si era venduto per "molte migliaia di ducati". Ma entrambe le versioni appaiono fortemente improbabili sul piano della successione cronologica degli avvenimenti. Il Corio, il cui racconto appare il meno incoerente, ritiene anch'egli il C. colpevole di aver divulgato segreti militari, ma non indica i motivi del tradimento, motivi che in effetti sono ben difficili da comprendere.
Il C. era ricco: a detta del Corio la sua "possanza", che gli venne confiscata, ammontava a più di 50.000 fiorini. I compensi ricevuti per i suoi servizi e i guadagni del suo ufficio, accumulati durante un quarto di secolo, possono avergli consentito benissimo di accumulare una tale ricchezza. E inoltre i vantaggi che egli avrebbe potuto ricavare mantenendo la sua fedeltà al Visconti avrebbero potuto essere decisamente superiori ai profitti, aleatori del tradimento. Si può allora concludere che l'accusa contro il C., vera o falsa che sia stata, deriva dagli avvenimenti della guerra del 1397.
Il sospetto di un tradimento da lui compiuto potrebbe essere sorto nel corso dei negoziati per la tregua conclusa un mese prima del suo arresto. Alla corte pavese vi erano certamente alcuni che, se non crearono il sospetto, sarebbero stati ben lieti di fomentarlo. Gli accenni che si trovano al riguardo nel Marzagaia sono troppo vaghi e generali, ma certamente il potente ministro di un principe, l'accesso al quale era notoriamente difficile, era il naturale bersaglio delle gelosie e ambizioni che nascevano in una corte. La caduta del C. eliminò certamente un ostacolo nella carriera di Francesco Barbavara, il quale era contemporaneamente camerlengo e segretario (pur non avendo rapporti diretti con la cancelleria) e che dopo di allora non ebbe più rivali presso il signore. Un altro beneficiario fu l'umanista Antonio Loschi, che venne promosso nella cancelleria al grado di segretario. Anche se non c'è ragione per attribuirgli una connivenza nella caduta del C., è certo comunque che egli stesso attribuì la sua promozione al favore del Barbavara. E l'ambiguità della sua posizione fu spassionatamente notata da Coluccio Salutati in una lettera scritta il 3 dic. 1398 a Giovanni Manzini: "Luschus noster ante oculos, dum ascendit, habet non minus quod horreat quam quod letatur aut optet".
In quel momento il Salutati riteneva che il C. - "Callisthenes noster" - fosse in prigione ancora vivo. Lo pseudo-Minerbetti e i cronisti milanesi del tardo Quattrocento offrono vari racconti su quella che potrebbe esser stata una prolungata (e che fu certamente una triste) fine. Nessuna notizia ci consente di precisare la data della morte, ne sappiamo nulla di quanto accadde a suo figlio Melchiorre, l'unico membro della famiglia a noi noto. Gian Galeazzo il 4 ag. 1399 rilasciò una procura per la vendita delle proprietà espropriate al C., ma poche settimane più tardi cedette al Comune di Cremona tutti i beni che questi aveva posseduto nella città e nel distretto. Non sappiamo quali proprietà il C. avesse accumulato o per concessione o per acquisti. L'unico privilegio che lo riguarda a noi pervenuto è quello con cui nel 1387 ottenne la cittadinanza milanese.
Il C. visse in un periodo in cui gli studi umanistici, che tanto dovevano all'opera del Petrarca, avevano profondamente permeato le cancellerie degli Stati italiani. Il C. ebbe un genuino amore per gli studi, attestato sia dalla sua attività di bibliofilo sia dall'omaggio resogli dagli studiosi contemporanei. Del suo viaggio a Parigi nel 1383 sappiamo soltanto che egli vi acquistò alcuni libri. La sua biblioteca conteneva opere del Petrarca e del Boccaccio, oltre a quelle di scrittori biblici, classici, teologici e storici. Inoltre utilizzò il copista Armanno de Alemania per trascrivere manoscritti e ne fece miniare alcuni da Pietro da Pavia e dai suoi discepoli. Egli mirava, dunque, ad una finezza di qualità che rese i suoi libri una gradita aggiunta alla grande biblioteca del castello di Pavia quando, alla sua caduta, Gian Galeazzo se ne appropriò; ma è anche possibile che solo i migliori volumi fossero tenuti per la collezione ducale. Il C. incoraggiò i letterati a far uso della sua biblioteca: si sa che lo fecero Matteo d'Orgiano, già cancelliere di Antonio Della Scala, Antonio Loschi, il più brillante umanista della corte viscontea, e Giovanni Manzini che entrò nella casa del C. nel 1387 come tutore del figlio Melchiorre. Questi e altri, come Moggio de' Moggi da Parma, amico del Petrarca, Giovanni Dondi dell'Orologio, e il suo più grande contemporaneo Coluccio Salutati scrissero lettere laudatorie al C. in prosa e in versi. Il C. non valeva, però, molto come corrispondente, come scoprì il Salutati quando gli richiese insistentemente una copia del manoscritto veronese delle Epistolae ad Atticum di Cicerone. Se il C. non condividesse l'entusiasmo umanistico per lo scambio epistolare, o se i suoi doveri lo tenessero troppo occupato per dargli il tempo di scrivere lettere non sappiamo: fatto sta che quasi nulla è rimasto di quanto egli ha scritto, se si escludono le lettere ufficiali. Non sappiamo quale ruolo egli abbia avuto nell'equivoco che portò alla scoperta del manoscritto vercellese delle Epistolae familiares trascritto per il Salutati che aveva richiesto invece una copia del manoscritto veronese delle Epistolae ad Atticum. È possibile che il C. abbia conosciuto il Petrarca, in una delle ultime visite del poeta a Pavia, e il Garin indica il C. come "quasi tramite ideale dell'eredità di m. Francesco". Se tale affermazione è valida, il contributo del C. certamente non consistette nella sua attività letteraria, bensì nell'aver incoraggiato e favorito altri umanisti. Un circolo di umanisti si formò a Pavia; non raggiunse tuttavia l'originalità e la vivacità di quello che si riunì a Firenze intorno al Salutati, e il più insigne esponente ne fu il Loschi. L'influenza del C. sul circolo pavese, riconosciuta dai contemporanei, non fu troppo cospicua. E questo fu forse un aspetto del suo carattere, che concorda con il suo lavoro, a un tempo discreto e devoto, speso per tanti anni al servizio dei Visconti.
Fonti e Bibl.: Dispacci dalla corte di Pavia che si riferiscono all'attività del C. si trovano nell'Archivio di Stato di Siena, Concistoro, buste 1826-1836, passim, e nell'Archivio di Stato di Mantova, E. XLIX. 3, lettere di Galeazzo Busoni e Filippo della Molza, 1387-1391. Inoltre Annales Mediolanenses, in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., XVI, Mediolani 1730, col. 831; Guernerius Bernius, Chron. Eugubinum,ibid., XXI, ibid. 1732, coll. 949 s.; G. e B. Gatari, Cronaca carrarese, in Rer. Ital. Script., 2 ediz., XVII, 1, a cura di A. Medin-G. Tolomei, pp. 364, 380, 383 s.; Cronica volgare di anonimo fiorentino... già attribuita a Piero di Giovanni Minerbetti, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXVIII, 2, a cura di E. Bellondi, p. 282; P. Lazeri, Miscellan. ex mss. libris bibliothecae Collegii Romani Societatis Iesu, I, Roma 1754, pp. 103-108, 132 s., 173-176, 215, 218 s.; B. Corio, Storia di Milano, a cura di A. Butti-L. Ferrario, II, Milano 1856, pp. 346, 415; A. de Luschis, Carmina quae supersunt fere omnia, Padova 1858, pp. 13-15; L. Osio, Docc. tratti dagli arch. milanesi, I, Milano 1864, pp. 165 s.; Marzagaia, De modernis gestis, in Antiche cronache veronesi, Venezia 1890, pp. 216 s.; Epistolario di C. Salutati, a cura di F. Novati, Roma 1893, ad Indicem; G. Romano, Regesto degli atti notarili di C. Cristiani, in Arch. stor. lomb., XXI(1894), pp. 295-298, 312-314; Archivio di Stato in Lucca,Regesti, a cura di L. Fumi, II, 2, Lucca 1903, p. 426; Archivio di Stato in Milano,Inventari e Regesti, I, Milano 1915, pp. 3, 4, 6; III, ibid. 1929, pp. 8, 234; Dispacci di Pietro Cornaro, a cura di V. Lazzarini, Venezia 1939, ad Indicem; F. Arisi, Cremona literata, I, Parma 1702, p. 183; A. Hortis, M. T.Cicerone nelle opere del Petrarca e del Boccaccio, Trieste 1878, pp. 95-98; C. Magenta, I Visconti e gli Sforza nel Castello di Pavia, Milano 1883, II, pp. 45 s.; B. Morsolin, Un umanista del sec. XIV pressoché sconosciuto, in Atti del Reale Ist. veneto di sc. lett. ed arti, s. 6, VI (1887-88), pp. 493-95; F. E. Comani, Usicancellereschi viscontei, in Arch. stor. lomb., XXVII (1900), pp. 385-405; G. Kimer, Per la critica delle Epistolae di Cicerone, in Studi ital. di filologia classica, IX(1901), pp. 399 s.; E. Levi, Francesco di Vannozzo e la lirica nelle corti lombarde, Firenze 1908, pp. 122, 150; G. Collino, La guerra veneto-viscontea contro i Carraresi, in Arch. stor. lomb., XXXVI (1909), p. 20 n. 1; A. Corbellini, Appunti sull'Umanesimo in Lombardia, in Boll. della Soc. pavese di storia patria, XVI (1916), pp. 159 s.; D. M. Bueno de Mesquita, Giangaleazzo Visconti, Cambridge 1941, ad Indicem; G. Billanovich, Petrarca letterato, I, Roma 1947, pp. 330-32; E. Garin, La cultura milanese nella prima metà del XV secolo, in Storia di Milano, VI, Milano 1955, pp. 547-550; E. Pellegrin, La Bibliothèque des Visconti et des Sforza ducs de Milan, Paris 1955, ad Indicem, e Suppl., Florence-Paris 1969, pp. 3, 8 s., 14-20; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I-II, ad Indices.