Mancini, Pasquale Stanislao
Giurista e uomo politico (Castel Baronia, Avellino, 1817 - Roma 1888). Laureato in giurisprudenza a Napoli, iniziò in quella università l’insegnamento, esercitando anche l’avvocatura. Membro del parlamento napoletano nel 1848, dopo la restaurazione borbonica si trasferì a Torino. Nell’ateneo della capitale sabauda fu istituita per lui la prima cattedra di Diritto internazionale. Nel 1860 venne eletto deputato nelle file della Sinistra. Due anni dopo fu nominato ministro dell’Istruzione nel governo Rattazzi, ma si dimise dopo poche settimane, per divergenze politiche con il presidente del Consiglio. Frattanto alla Camera si segnalò come uno dei più autorevoli oratori e come esponente di primissimo piano del centro-sinistra. Trasferitosi all’università di Roma, venne nominato presidente dell’Istituto di diritto internazionale di Ginevra e socio nazionale dei Lincei. Nel 1876, nel governo Depretis, ebbe il dicastero della Giustizia, che tenne per circa due anni. Particolarmente importante fu il suo intervento nell’avvio della riforma del codice di commercio, promulgato nel 1882 e rinominato «codice Mancini». Contribuì inoltre a riformare la legislazione ecclesiastica. Nel 1880 fu presidente della Commissione dei quindici, incaricata di preparare la nuova legge elettorale poi varata nel 1882. Nel frattempo, continuò l’attività di ricerca in ambito giuridico: autore di monografie, lezioni e commenti a testi legislativi, fu anche il promotore e primo direttore dell’Enciclopedia giuridica italiana. Nel maggio 1881 tornò al governo, ancora con Depretis, ma questa volta con la titolarità del ministero degli Esteri. Fu artefice dell’adesione italiana al trattato di alleanza con la Germania e l’Austria-Ungheria (la Triplice alleanza del 1882). Nel 1885 si dimise per non aver potuto ottenere dalla Camera la maggioranza in favore della politica coloniale da lui inaugurata con l’occupazione di Assab.