DEL GIUDICE, Pasquale
Nacque a Venova (prov. di Potenza) il 14 febbr. 1842 da Francesco e da Andreana Lioy.
Di famiglia modesta, completò gli studi secondari nella città natale e nel 1859 si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell'università di Napoli. Nel settembre 1860 si arruolò volontario nell'esercito garibaldino e prese parte all'ultima fase della lotta contro i Borboni. Fu assegnato alla divisione Avezzana con il grado di sottotenente e combatté presso Pettorano il 17 e 18 ottobre. Fatto prigioniero, tornò presto in libertà: nel novembre era di nuovo a Napoli dove, alla fine di dicembre, si dimise dall'esercito. Riprese allora gli studi universitari e fu allievo, in particolare, di Luigi Settembrini, Bertrando Spaventa ed Enrico Pessina. La sua formazione culturale si caratterizzò per l'interesse verso i problemi generali del diritto, visto come realtà unitaria e sistematica, e quindi per l'attenzione ai collegamenti tra le varie parti dell'ordinamento. Di qui la preferenza che il D. mostrò per gli studi di filosofia del diritto, in quanto diretti ad esaminare la realtà giuridica nella sua interezza e ad indagarne i fondamenti. Si laureò il 29 genn. 1863 e nello stesso anno partecipò ad un premio istituito dalla facoltà di lettere di Napoli con un tema sul Critone di Platone, conseguendo il secondo posto.
Iniziò allora a far pratica professionale presso lo studio del Pessina e nel contempo insegnò materie giuridiche presso un istituto tecnico. Non tralasciò, peraltro, gli studi: nel 1866 pubblicò presso l'editore Morano di Napoli la traduzione del volume di E. Ahrens, Dottrina generale dello Stato e nel 1870-71 il saggio Delle coalizioni industriali dirimpetto al progetto del codice penale italiano (in Archivio giuridico, VI [1870], pp. 496-512; VII [1871], pp. 90-107; poi riedito in Studi, pp.86-135). Nel 1871 divenne professore pareggiato di filosofia del diritto presso la facoltà giuridica di Napoli: nella prolusione al corso (La filosofia del diritto e lo Stato, letta il 7 febbr. 1872, pubblicata a Napoli nello stesso anno, poi riedita in Nuovi studi, pp. 11-26) sottolineò la validità della riflessione filosofica nello studio del diritto e l'importanza della dottrina dello Stato. Nel 1872, poi, vinse il concorso per la cattedra di introduzione generale alle scienze giuridiche e storia del diritto, bandito dall'università di Pavia. Si trasferì allora nella città lombarda e cominciò a dedicarsi alla storia del diritto intermedio.
Questa disciplina conosceva proprio in quel torno di anni la prima significativa affermazione. Il metodo storico-filosofico allora dominante si preoccupava soprattutto di offrire un'interpretazione complessiva ed unitaria dei dati conosciuti e di sottolineare i rapporti tra loro esistenti. A tale indirizzo si opponevano, però, alcuni studiosi, che gli muovevano l'accusa di voler presentare "tesi generali e... grandi disegni d'insieme senza accertare se le conclusioni fossero giustificate da solide premesse" (Paradisi). Essi sostenevano la necessità che gli storici si impegnassero in approfondite analisi delle fonti, condotte con metodo filologicamente rigoroso, al fine di allargare il campo, ancora troppo ristretto, delle loro conoscenze, senza porsi il problema dell'interpretazione dei risultati delle indagini. Esponente di primo piano di tale indirizzo era Antonio Pertile, il quale, a partire dal 1873, cominciò a dedicarsi alla sua monumentale Storia del diritto italiano.
Affacciandosi agli studi storico-giuridici con il bagaglio della sua precedente formazione culturale, il D. non poteva non schierarsi a fianco della prevalente corrente interpretativa. Nella prolusione pavese, letta il 7 febbr. 1873, dal titolo Sul concetto storico del diritto (edita a Pavia nello stesso anno, poi ripubblicata in Nuovi studi, pp. 1-10) egli sostenne, infatti, che solo la filosofia poteva dare "compimento e nuovo valore" alle conclusioni dell'indagine storica, perché consentiva la necessaria "coordinazione sistematica... dei nessi e dei principi generali" che altrimenti sarebbe venuta meno. Ma quando si impegnò concretamente nella ricerca storico-giuridica, egli sentì viva l'esigenza di ricostruire con esattezza e minuziosità la disciplina dei vari istituti giuridici attraverso un attento esame delle testimonianze coeve. I suoi studi, infatti, si segnalarono sin dall'inizio per l'acutezza dell'indagine e la ricchezza dei contributi che portavano alla conoscenza del diritto intermedio. L'adesione al metodo storico-filosofico si espresse, allora, nella tendenza, sempre presente nei suoi lavori, ad inserire i risultati della ricerca filologica nel quadro complessivo ed unitario dell'ordinamento giuridico, a collegarli tra loro, a metterli in relazione con la concreta realtà sociale del periodo esaminato. Di modo che l'impostazione metodologica del D. sembra conseguire un apprezzabile equilibrio tra le esigenze della ricostruzione originale dei dati e quelle della loro interpretazione.
All'inizio il D. si interessò in modo particolare del diritto longobardo. Nel 1872 pubblicò a Napoli il saggio Il mundio sulle donne nella legge longobarda (poi ripubblicato in Nuovi studi, pp. 27-56) nel quale, dopo aver spiegato l'origine, dell'istituto, ne esaminava le varie forme costituite dal mundio paterno, da quello maritale e da quello regio. Si occupò, poi, della faida nel diritto longobardo, esaminandola in rapporto con la disciplina affermatasi nei diritti degli altri popoli germanici (La vendetta nel diritto longobardo, in Arch. stor. lomb., II [1875], pp. 217 ss., 365 ss.; III [1876], pp. 157 ss.; poi in Studi, pp. 246-361) e si interessò della Storia di Paolo Diacono, sottolineandone il valore ai fini della conoscenza del complesso momento storico cui si riferisce (Lo storico dei Longobardi e la critica moderna, in Rend. del R. Istit. lombardo di scienze e lettere, s. 2, XIII [1880], pp. 338-49, 513-27; poi in Studi, pp.1-43).
L'impegno negli studi di storia del diritto intermedio non attenuò, comunque, nel D. il precedente interesse per i problemi generali del diritto. Quando nel 1875 il nuovo regolamento universitario separò la storia del diritto italiano dall'introduzione alle scienze giuridiche, il D. tenne la cattedra della prima disciplina, ma continuò ad insegnare per incarico la seconda, intitolata "introduzione enciclopedica ed elementi filosofici del diritto". Nel 1880, poi, pubblicò a Milano l'Enciclopedia giuridica ad uso delle scuole, articolata in sei parti, dedicate rispettivamente ai problemi generali del diritto, al diritto privato, al costituzionale ed amministrativo, al penale, al processuale civile e penale e, infine, all'internazionale.
Nel proemio il D. sosteneva la necessità di "una introduzione generale al diritto positivo" che presentasse "un prospetto sistematico" delle singole discipline, quale premessa indispensabile allo studio specifico di ciascuna di loro. L'opera conobbe una vasta diffusione: nel 1896 ne venne pubblicata, sempre a Milano, una seconda edizione ampliata e nel 1927, dopo la morte del D., ne apparve una terza, aggiornata a cura di P. Vaccari.
Negli anni successivi il D. continuò ad interessarsi del diritto germanico. Particolarmente interessante è lo studio Le tracce di diritto romano nelle leggi longobarde (in Rend. del R. Istit. lombardo di scienze e lettere, s. 2, XVIII [1885], pp. 451-61; XX [1887], pp. 399-406; poi in Studi, pp. 362-470): in esso il D. confutò l'opinione, diffusa in dottrina e sostenuta in modo particolare da H. Brunner, secondo la quale l'editto longobardo era espressione genuina della tradizione giuridica germanica e mise in rilievo la derivazione dalla tradizione romanistica di numerose disposizioni sia del testo di Rotari, sia di quello dei successori. Il saggio costituiva, dunque, la prima critica approfondita ed organica alla tesi dell'assoluto predominio del diritto germanico nelle regioni longobarde della penisola; esso rappresentò, pertanto, un punto di riferimento costante per quegli studiosi successivi - tra i quali Nino Tamassia, allievo del D. - che sosterranno la continuità della tradizione romanistica nell'Alto Medioevo. Nel saggio Sulla questione della proprietà delle terre in Germania secondo Cesare e Tacito (ibid., s. 2, XIX [1886], pp. 262-81; poi in Studi, pp.215-45) il D. chiarì che le testimonianze dei due storici divergevano tra loro perché divise da un lungo lasso di tempo, durante il quale la realtà agraria dei popoli germanici aveva conosciuto un significativo sviluppo e, di conseguenza, aveva maturato una importante evoluzione dell'ordinamento giuridico.
Negli stessi anni il D. cominciò ad occuparsi anche della storia giuridica lombarda. Nel saggio Di un recente opuscolo intorno alla prima costituzione comunale di Milano (ibid., s. 2, XV [1882], pp. 425-37; poi in Studi, pp. 44-63) fissò agli anni 1112-1117 la prima apparizione della magistratura consolare nella città lombarda. Di grande respiro è, poi, lo studio I Consigli ducali e il Senato di Milano. Contributo alla storia del diritto pubblico milanese dal XIV al XVI secolo (ibid., s. 2, XXII [1889], pp. 317-43, 384-407; poi in Nuovi studi, pp.224-80).
Attraverso un'attenta analisi delle fonti il D. ricostruiva le competenze e l'evoluzione dei Consigli viscontei e sforzeschi dalla fine del secolo XIV e dimostrava che da loro derivava il Senato milanese istituito da Luigi XII. Si tratta di un contributo scientifico importante, nel quale la realtà giuridica, sapientemente ricostruita, era "ben armonizzata con le vicende politico costituzionali del ducato" (Petronio) e quindi interpretata in riferimento a queste.
Nel 1889 il D. raccolse alcuni dei suoi saggi nel volume Studi di storia e diritto, pubblicato a Milano. Si interessò, poi, della disposizione dell'art. 2 dello statuto albertino che richiamava la legge salica per la disciplina della successione al trono (La storia di una frase. Commento all'art. 2 dello Statuto del Regno, in Rend. del R. Istit. lombardo di scienze e lettere, s. 2, XXV [1892], pp. 428-43; XXVI [1893], pp. 304-19; poi riedito in Nuovi studi, pp. 70-105). Scrisse anche un lungo saggio sul feudo (Feudo, I, Origine e introduzione in Italia, in Digesto italiano, XI, 2, Torino 1893, pp. 100-33; poi in Nuovi studi, pp.106-207) nel quale esaminò la prima apparizione dell'istituto nel diritto franco, la sua presenza nell'Italia settentrionale, la sua diffusione nel Regno d'Italia e, infine, la sua introduzione nelle regioni meridionali ad opera dei Normanni. Tra il 1891 e il 1899 curò per la casa editrice UTET di Torino la seconda edizione della Storia del diritto italiano di A. Pertile.
Preside della facoltà di giurisprudenza di Pavia dal 1884 al 1887, rettore della stessa università nel 1888 e nel 1901, il 21 nov. 1902 venne nominato senatore del Regno ed entrò in carica il 18 dicembre successivo. Al Senato si occupò soprattutto di problemi relativi all'istruzione pubblica. Nel 1907 fu eletto nella Commissione centrale per la diffusione dell'istruzione elementare nel Mezzogiorno e nelle isole, commissione nella quale venne confermato nel 1909 e nel 1913.Nel giugno 1917, poi, fu eletto nel Consiglio superiore della Pubblica Istruzione.
Il suo impegno parlamentare non lo distolse, comunque, dall'insegnamento e dallo studio. Continuò ad occuparsi del periodo altomedievale con ricerche sul diritto germanico (Diritto penale germanico rispetto all'Italia, in Enciclopedia del diritto penale italiano, diretta da E. Pessina, I, 2, Milano 1905, pp. 429-609; Il principio del talione e l'antico diritto germanico, in Studi senesi in onore diL. Mariani, Siena 1905, successivamente in Nuovi studi, pp. 315-26) ed in particolare sul diritto longobardo (Sulle aggiunte di Rachis e di Astolfo all'Editto longobardo, in Rend. del R. Istit. lombardo di scienze e lettere, s. 2, XXXV [1902], pp. 582-91; poi in Nuovistudi, pp. 304-14) e sul diritto goto (Duenote all'Editto di Atalarico, in Studi di storiadel diritto italiano dedicati ed offerti a F. Schupfer, II, Torino 1898, successivamente in Nuovi studi, pp. 208-15; Sulla questionedella unità o dualità del diritto in Italia sottola dominazione ostrogota, in Mélanges Fitting, I, Montpellier 1907, successivamente in Nuovi studi, pp. 326-40). Egli proseguì, inoltre, le sue ricerche sulla storia giuridica lombarda (Baldo e gli Statuti di Pavia, in L'opera di Baldo, Perugia 1901, pp. 139-44; Il centenario del Codice Napoleone a Milano, in Rend. del R. Ist. lombardo di scienze elettere, s. 2, XL [1907], pp. 130-38, 186-201, poi in Nuovi studi, pp. 346-73; GabrieleVerri e la storia del diritto in Lombardia, ibid., XLII[1909], pp. 904-912, poi in Nuovi studi, pp. 374-84) e si interessò di storia giuridica meridionale (A proposito dellacontroversia sulla Legazia apostolica in Sicilia, in Per Cesare Baronio. Scritti vari nelterzo centenario della sua morte, Roma 1911, pp. 323-329; poi in Nuovi studi, pp. 340-345). Scrisse, infine, anche su questioni di diritto positivo (Le indagini sulla paternitàe il progetto Scialoja, in Rivista di dirittocivile, III [1911], successivamente in Nuovi studi, pp.385-402; Una recente riformadel diritto successorio legittimo, Milano 1911; L'autorizzazione maritale e il progetto Sacchi, Roma 1919). Nel 1913 riunì alcuni suoi saggi precedenti nella raccolta Nuovi studidi storia e diritto, pubblicata a Milano.
Nello stesso periodo il D. cominciò a progettare la compilazione di una vasta ed articolata Storia del diritto italiano che prendesse in esame l'evoluzione dell'ordinamento giuridico dalla caduta dell'Impero d'Occidente all'inizio del secolo XX, si avvalesse dei consistenti risultati raggiunti dalla ricerca negli ultimi anni e sostituisse validamente l'opera del Pertile, che era ricca di notizie ma appariva carente sotto il profilo dell'inquadramento sistematico ed unitario dei dati e quello della loro interpretazione.
Secondo il programma del D. la nuova Storia doveva dividersi in più parti, dedicate rispettivamente alle fonti e scienza del diritto, al diritto pubblico, al privato, al processuale, al penale, all'ecclesiastico e, infine, all'internazionale. Il progetto, di cui il D. dette ufficialmente notizia nel 1913, incontrò non poche difficoltà di realizzazione. Nel 1923 vennero pubblicati a Milano i primi due volumi dell'opera, quelli dedicati alle fonti e alla scienza giuridica, il primo di Enrico Besta sul periodo medievale, il secondo dello stesso D. sull'età moderna e contemporanea (nel 1925-1927 sempre a Milano apparvero i due volumi di Giuseppe Salvioli sulla storia della procedura civile e penale). Il quadro, vasto e puntuale, delle fonti e della dottrina offerto dal D. nel suo volume presentava non pochi tratti di originalità e costituì un sicuro contributo alla conoscenza di un periodo fino ad allora spesso trascurato dalla storiografia giuridica.
Il D. morì a Pavia il 20 apr. 1924. Socio corrispondente dell'Istituto lombardo di scienze e lettere dal 1879, ne era diventato membro effettivo nel 1890.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. d. Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Fascicoli personali, busta 49: Del Giudice Pasquale; necr. in Nuova Antol., 16 maggio 1924, pp. 190-193; in Archivio storico lombardo, s. 6, LI (1924), pp. 263-265; in Rend. del R. Ist. lombardo di scienze e lettere, s. 2, LVII (1924), pp. 397-404; ibid., LX (1927), pp. 379-90; Atti parlamentari. Senato, Discussioni, legislature XXI-XXV, ad Indices; G. P. Bognetti, Nino Tamassia, in Arch. di studi corporativi, III (1932), pp. 67-70; P. F. Palumbo, N. Tamassia ed E. Besta e il loro contributo alla storia giuridica merid., in Studi medievali, s. 3, IV (1963), p. 617; U. Petronio, Il Senato di Milano, Milano 1972, ad Indicem; B. Paradisi, Apologia della storia giuridica, Bologna 1973, ad Indicem; A. De Gubernatis, Diz. biogr. degli scrittori contemp., Firenze 1879, p. 363; A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, Milano 1940, p. 337.