DE VIRGILI, Pasquale
Nato a Chieti il 17 nov. 1810 da Giustino e da Concetta De Pasquale, di agiate condizioni economiche, studiò nella sua città natale dapprima sotto la guida del canonico De Vincentiis, poi dell'abate G. De Pamphiliis che lo introdusse alla filosofia, anche se le preferenze del D. lo portavano verso la letteratura e lo facevano applicare con passione allo studio della Bibbia, di Dante e di Shakespeare. Il padre però lo avviò alla carriera forense. Nel 1829 era a Napoli dove studiò giurisprudenza con P.M. Liberatore; nel 1831 conseguì la laurea, e cominciò ad esercitare la professione. La carriera legale, intrapresa controvoglia, fu presto interrotta: venne infatti espulso dal foro e dalla corte per essersi espresso con eccessivo sdegno durante la difesa di un imputato. L'occasione di abbandonare un lavoro poco amato e di tornare ai prediletti studi letterari coincideva con l'atmosfera di apparente apertura che aveva investito Napoli alla salita al trono di Ferdinando II, un periodo di allentamento della censura durante il quale entrarono nel Regno la filosofia eclettica francese, poi quella hegeliana e, trionfalmente, il romanticismo. Il D. frequentò la "libera scuola" del purista marchese B. Puoti, attratto però proprio dal romanticismo, e non solo dal migliore. Assunse posizioni eclettiche in filosofia, lesse Byron, V. Hugo, Schiller e Goethe. Affascinato soprattutto da Byron, studiò l'inglese e cominciò a tradurlo.
Tra i numerosi "byroniani" napoletani, come C. Dalbono, A. Lauzières, C. Malpica, il D. era senz'altro il più dotato; le sue traduzioni ancor oggi reggono alle prove inferte dal tempo alla scrittura pienamente romantica. Questi lavori, come pure alcune traduzioni di Schiller, cominciarono ad apparire sulle strenne napoletane, che si erano assunte il compito della diffusione di un romanticismo abbastanza superficiale.
Nel 1835 il padre lo costrinse a tornare a casa togliendogli ogni aiuto economico. Fondava allora un giornale, L'Abruzzese, cui collaborarono P. Borrelli, R. Liberatore, G. B. Durini, G. B. Niccolini, R. D'Ortensio e G. Dragonetti. Sempre in lite con la famiglia che contrastava il suo amore per la cantante Caterina Mililotti, tornò a Napoli trasferendovi anche il giornale. Riuscirà poi a sposare la Mililotti che, appena un anno dopo, il 31 marzo 1841, morirà dando alla luce una bambina. Frattanto uscivano poemetti, drammi e romanzi in versi della sua copiosa produzione.
Si trattava naturalmente di opere romantiche, ispirate ai suoi modelli letterari e, soprattutto, a Byron. Il D. programmaticamente traeva i propri soggetti dalla storia contemporanea. Così nel poema lirico L'americano trattava della guerra d'indipendenza americana, ne I Suliotti di quella greca, e in Costantina v'era l'esaltazione della guerra di conquista francese in Africa. Nello stesso periodo scriveva anche i due drammi Masaniello (1840) e I Vespri siciliani, e componeva le prime due parti di La commedia del secolo XIX, intitolate rispettivamente Arnoldo e Jussuf. Alcune di queste opere, benché stampate a Napoli, portavano la dicitura di "Bruxelles Società Belga de' Librai" per sfuggire ai rigori della censura. Con le pubblicazioni arrivarono anche le recensioni e le lodi; V. Hugo gli scriveva in data 30maggio 1840 (lettera pubblicata da B. Croce nella sua edizione de La letteratura italiana nel sec. XIX, di F. De Sanctis, p. 225 n. 70): "ily a dans votre oeuvre une grande et profonde pensée, le souffle du vieux Dante a traversé votre esprit ...".
Dal 1843 al 1846 diresse il Progresso delle scienze, delle lettere e delle arti, rivista che, nata sulle ceneri della toscana Antologia del Vieusseux, era stata la più prestigiosa del Regno tra il 1832 e il 1841 quando venne sospesa; allorché il D. ne assumeva la direzione, nella chiave moderata richiesta dalla recrudescenza della censura, la rivista aveva ormai perso i migliori collaboratori.
Il D. vi pubblicò alcune cose sue, tra le quali le Lettere dall'Oriente, una sorta di diario dei suoi vagabondaggi in quelle terre. Tra l'aprile e l'agosto del 1846 infatti, il D., sulle orme di Byron, aveva visitato Alessandria, IlCairo, Gerusalemme, Smirne, Atene, in una specie di pellegrinaggio romantico che lo aveva lasciato in parte ammirato e in parte stupefatto e indignato per la "barbarie" e la decadenza che aveva visto in quei luoghi.
Nel 1848, subito dopo la promulgazione della costituzione da parte del re, fondò La Costituzione, di tendenza liberal-moderata, che dirigeva con l'amico F. Lattari. Il giornale uscì dal 12 febbraio al 29 luglio; in questo breve periodo di speranza politica il D. e i suoi pochi collaboratori - tra i quali vi fu L. Dragonetti - seguirono con ansia le alterne vicende del costituzionalismo borbonico, ma anche l'apparire delle costituzioni negli altri Stati della penisola e lo scoppio della rivoluzione antiorleanista a Parigi.
Sulle pagine della Costituzione sitrovano, tumultuosamente affiancati, discorsi di Pio IX, interventi parlamentari di Thiers e Guizot, una lettera di Gioberti a Massari in cui definisce il popolo francese insorto "generoso e moderato" ed esorta ad allearsi con esso (n. 8, 8 marzo '48) e, in appendice, a puntate, Isette peccati capitali di E. Sue. Tanto fervore venne spento dalle persecuzioni di Ferdinando che, restaurata la monarchia, costringeva i patrioti al carcere o all'esilio: il D. si rifugiò in una sperduta località dell'Abruzzo.
Sono di questo periodo le traduzioni dell'Ahasvero di Quinet, della Storia del mago Kozem Keyman di Bulwer, di altre cose minori e la composizione di quattro canti intitolati L'Oriente. Tutte queste opere testimoniano il suo costante gusto per un romanticismo esotico e raro, e la vivacità e persistenza delle impressioni ricevute durante il viaggio nei luoghi del fantastico che ora ritornano nelle descrizioni dei paesaggi e dei costumi e che sono forse quanto vi è di più interessante nei canti.
Su un altro versante opere come Agonie di un patriota (salmo biblico esemplato su Lamennais), Il condannato (storia di un uomo, già strangolato sul patibolo, che si salva e racconta i propri ultimi istanti da vivo), o come il dramma Rienzo (Napoli 1861) fanno fede dell'impegno liberale del D., che si esprime ora solo attraverso la letteratura. Il Rienzo di cui è protagonista la "rivoluzione" utopistica di Cola di Rienzo, conclude una triade di tragedie dedicate ai tre tipi di rivoluzione possibili, secondo il D., e nella quale Masaniello aveva rappresentato quella del popolo affamato e I Vespri siciliani quella aristocratica. Si trattava, come avvertiva il De Sanctis (in La letteratura ital. nel sec. XIX, p. 226), di drammi storici nei quali "il carattere di Shakespeare è portato fino all'assurdo" e l'azione per masse distrugge l'unità del concetto, fino a renderlo irrappresentabile.Stava lavorando alla terza parte della Commedia del secolo, ed era direttore del giornale La Nuova Italia, quando sopravvennero gli avvenimenti del '60. Nelle vicende, che portarono alla definitiva cacciata dei Borboni, il D. ebbe una parte di rilievo per quanto riguarda l'Abruzzo.
Nominato intendente della provincia di Teramo quando Francesco II, costretto a ridare la costituzione, cercava di avvalersi dei liberali più moderati, il D. assunse la carica il 31 luglio, dopo un colloquio con due accesi democratici abruzzesi A. Tripoti e C. De Caesaris. Il 1º settembre i democratici abruzzesi, riunitisi, decidevano quella insurrezione contro i Borboni che dovrà portare ad un governo provvisorio in nome di Vittorio Emanuele e sotto la dittatura di Garibaldi. Il D. non partecipò alla riunione ma non si oppose all'iniziativa. L'8 settembre, fuggito il re da Napoli dopo l'ingresso di Garibaldi, il D. assunse la prodittatura con Troiano Delfico e il De Caesaris, e insieme firmarono un manifesto rivoluzionario col quale assumevano il potere esecutivo e legislativo. A questo punto però emersero le differenze di posizione tra il D. e i democratici. Mentre questi ultimi, nel ritardo degli aiuti piemontesi, erano decisi a combattere da soli contro le resistenti truppe borboniche per far pesare politicamente il proprio contributo al momento delle previste annessioni, il D. cominciava ad essere perplesso sulla piega degli eventi. Inviò un telegramma ai ministri della Guerra e dell'Interno definendo le truppe raccolte intorno a Tripoti "rivoluzionarie" e chiedendo di liquidarle. Gli venne risposto di toglier loro la paga; il D. obbedì, contribuendo così al fallimento, del resto scontato, della causa democratica. Ma sarà poi lui, alla testa della delegazione abruzzese, a chiedere a Vittorio Emanuele l'annessione della provincia (Ancona 3-4 ottobre) e a ricevere il re a Chieti il 18 dello stesso mese.
Chiusa la sua vicenda politica, il D. tornò all'attività letteraria. Curò la pubblicazione di alcune opere fino allora vietate e terminò la Commedia del secolo XIX (1863) con una terza parte, intitolata Paolo, dove descriveva l'avvenire di amore e concordia che attendeva l'umanità.
M. Monnier si occupò della sua opera in tre diverse occasioni, mostrando il più grande apprezzamento per il vigore dell'ingegno e per l'azione politica liberale svolta attraverso la letteratura, anche se notava come gli mancasse la "sobrietà dell'ingegno" (L'Italieest-elle la terre des morts?). P. Calà Ulloa lo lodò per il realismo e l'originalità del pensiero. Ma il Carducci, in una recensione su La Nazione (10 dic. 1861; poi in Ceneri e faville, s. 1, vol. V delle Opere) del Rienzo, pur riconoscendogli "viva fantasia" e "luoghi di bello effetto", giudicava che la "forma artistica manchi del tutto o sia sconveniente", come già aveva fatto C. Tenca nel 1840, al primo apparire della Commedia del secolo XIX.
Gli ultimi anni li dedicò alla preparazione dei volumi delle sue Opere scelte edite e inedite (I-II, Napoli 1870). Vi voleva raccogliere tutta la produzione, ma il terzo volume, destinato alle traduzioni, non fu mai pubblicato. La prefazione (Sulla vita e sulle opere di P. O.) era la traduzione italiana dell'articolo di M. Monnier apparso alle pp. 205-20 della Revue suisse dell'aprile 1861. Frattanto, dopo essere stato consigliere della Corte dei conti, il D. ricopriva la carica di conservatore delle ipoteche a Trani (Bari). Li morì il 7 marzo 1876.
Bibl.: C. Tenca, P. D., in Rivista europea, n. s., III (1840), pp. 473-84; F. Calvani, Cenni biogr. di P. D., Firenze 1847; P. Calà Ulloa, Pensées et souvenirs sur la littér. contemporaine du Royaume de Naples, Genève 1860, II, pp. 134-37 e ad Indicem; M. Monnier, L'Italie est-elle la terre des morts?, Paris 1860, pp. 271 ss.; Id., Le mouvement ital. à Naples de 1830 à 1865 dans la littérature et dans l'enseignement, in Revue des Deux Mondes, 15 apr. 1865, pp. 1016 s.; N. Nisco, Gli ultimi trentasei anni del Reame di Napoli, I-III, Napoli 1889-91, ad Indices; G. Carducci, Ceneri e faville, s. 1, in Opere, V, Bologna 1891, pp. 202 s.; F. De Sanctis, La letteratura ital. nel secolo XIX, a cura di B. Croce, Napoli 1897, pp. 132 ss., 224 ss.; R. De Cesare, La fine di un Regno, Città di Castello 1909, I-II, ad Indices; III, pp. 137-145; G. Mazzoni, L'Ottocento, Milano 1913, I, ad Indicem; L. Rocco, La stampa periodica napol. delle Rivoluzioni, Napoli 1921, p. 90; A. Porta, Byronismo, ital., Milano 1923, pp. 314-336; R. Colapietra, L'Abruzzo nel 1860, in Arch. stor. per le prov. napol., XL (1960), pp. 81-135; M. Sansone, La lett. a Napoli dal 1800 al 1860, in Storia di Napoli, IX, Napoli 1972, pp. 500-03; G. Oldrini, La cultura filosofica napol. dell'Ottocento, Bari 1973, ad Indicem; A. Galante Garrone, I giornali della Restaurazione, in St. d. stampa ital., a cura di V. Castronovo-M. Tranfaglia, II, La stampa ital. del Risorgimento, Bari 1978, p. 189; A. Marinari, Lett. e cultura nel Sud, in La letteratura italiana, a cura di C. Muscetta, VIII, 1, Bari 1975, p. 227; R. Aurini, Diz. bibl. d. gente d'Abruzzo, Teramo 1955, pp.70-84 (con elenco delle opere e bibliografia).