MAGLI, Pasquale Arcangelo
Nacque il 25 giugno 1720 a Martina Franca da Nicola, contabile del duca Francesco Caracciolo, e da Maria Maddalena Marinosci.
Poco è noto degli anni giovanili: avrebbe iniziato tardi gli studi, sembra seguendo nella città natale le lezioni di filosofia di un p. Giuseppe da Martina del convento di S. Antonio, per addottorarsi in filosofia e teologia nel 1739 a Lecce, presso lo Studio generale dei domenicani. È probabilmente da escludere una permanenza stabile nella città salentina in quanto i documenti del suo fascicolo personale, conservato presso l'Archivio diocesano di Taranto, attestano un servizio ininterrotto nella collegiata di S. Martino di Martina Franca fino al 1739. È quindi ipotizzabile che il contatto con i domenicani leccesi passasse attraverso i confratelli di Martina, che disponevano di un noviziato e di una scuola di teologia. Prima di conseguire il titolo finale del corso di studi, il M. era stato tonsurato (1732) e aveva ricevuto gli ordini minori (1735 e 1739; prese quelli definitivi a Napoli nel 1745 e nel 1747 fu ordinato sacerdote a Martina). Nel 1739 passò a Napoli, dove seguì la scuola privata di G.B. Vico, che gli illustrò la Scienza nuova, e quella di G.P. Cirillo. Presso Vico conobbe e si legò d'amicizia con Antonio d'Aronne e A. Genovesi. Sembra, anzi, che l'amicizia con quest'ultimo fosse dapprima molto stretta: i due condivisero molte frequentazioni, tra le quali è da ricordare quella del salotto letterario del marchese M. Sarno. Controverso, però, dovette essere il rapporto di discepolato intellettuale del M. con Genovesi. Nella giovanile Raccolta di vari trattati filosofici e teologici (Napoli 1746-47) e nelle Dissertazioni filosofiche (ibid. 1759) ammise di aver frequentato dopo il 1740 le lezioni di alcuni docenti dell'Università, escludendo quelle di metafisica di Genovesi, che anzi presentò come proprio allievo nelle lingue orientali e nel greco antico. Da parte sua Genovesi, nelle Lettere filosofiche ad un amico provinciale (Napoli 1759), affermò il contrario, lasciando intendere che la cosa era nota ai più. Come ha mostrato P. Zambelli, tuttavia, gli autori che il M. dichiarò di aver letto in quel lasso di tempo e che utilizzò nella Raccolta del 1746-47 sono in gran parte gli stessi che Genovesi divulgò negli scritti giovanili; di tale opera il M. discusse inoltre prima della stampa con Genovesi, che fu il revisore civile del libro.
Nell'estate del 1745 il M. era ancora a Napoli, mentre nel 1747 era a Martina Franca (come attestano documenti del fascicolo nella curia tarantina), forse da qualche tempo, visto che nel primo tomo della Raccolta (p. XXXII) dichiarò di averla scritta "in campagna" (ma, probabilmente, solo preparata per la stampa). Si può forse collocare il ritorno negli ultimi mesi del 1745, anche perché sembra che l'ascrizione all'Accademia napoletana degli Emuli, che cominciò a riunirsi in casa di G. Pandolfelli in quel periodo e di cui il M. fu socio dalla fondazione col nome di Polimate Epimeta, avvenisse per interposta persona. Nel 1746 diede alle stampe, per i tipi di G. di Simone, il primo tomo della Raccolta; il secondo fu stampato dallo stesso tipografo nel 1747.
Composti da due e tre trattati, i due piccoli volumi in 16 sono in realtà saggi di opere promesse, ma mai scritte. Il secondo trattato e gli ultimi due sono scritti di apologetica cattolica, poco originali e poco elaborati. Di maggior interesse i rimanenti. Nel primo, Del criterio della verità, più che il modello gnoseologico del M. (scolastico più che cartesiano, in quanto il principio malebranchiano della visione delle cose in Dio è temperato dall'assunto di una volontà divina libera dal condizionamento di qualunque principio intellettuale) e più delle critiche alle posizioni dei "sensisti" (J. Locke) e dei leibniziani, sono degne di nota le parole che il M. usò per illustrare e respingere l'assunto vichiano del verum factum. Si tratta di una fra le prime esposizioni atte a mettere in evidenza uno dei principî più originali del Vico. Del terzo, Della natura e di alcune principali proprietà dell'uomo come cittadino, è invece da segnalare che, nella polemica che vi è condotta contro N. Machiavelli, T. Hobbes e Locke, al fine di sostenere la necessità del "procedimento a priori" ("il doversi prima conoscere la natura e le principali proprietà dell'uomo per poi conoscersi quelle della società, del principato e del vassallaggio civile"), per fondare la convivenza civile sulla legge di natura, l'autore utilizza Vico, accettato per la teoria politica ma respinto quanto all'origine della religione, questione che egli affronta comprendendo chiaramente le concezioni vichiane della "ferinità" e dell'origine provvidenziale della religione in rapporto ai fenomeni naturali.
A Martina Franca il M. visse come un tranquillo ecclesiastico di provincia. Ottenuto un canonicato nel capitolo collegiale, per molti anni fu confessore nelle comunità parrocchiali, cappellano delle agostiniane di S. Maria della Purità e, in quanto teologo della collegiata, esaminatore dei chierici. Non tralasciò però gli studi, se è degno di fede quanto nelle Lettere filosofiche scrisse Genovesi, secondo il quale in questo lasso di tempo il M. compose una teologia naturale e un catechismo, rimasti inediti (la prima, forse, non terminata) e apparentemente perduti. Ma una certa ansia di respirare di nuovo l'aria della capitale meridionale dovette comunque assalire il M. se, come sembra, intorno al 1757 decise di tornare a Napoli. Testimone di questa seconda residenza partenopea fu A. d'Aronne, che nella sua Dissertazione metafisica (Napoli 1760, pp. 1 s.) scrisse che il M. "venne qua da tre anni [(] per dar fuori certe dissertazioni". Una conferma si ha dal Genovesi delle Lettere filosofiche, il quale riferì che il M., qualche tempo prima dell'avvio della polemica tra loro, "tornò di provincia (e) vennemi carezzevolmente a visitare". D'altronde dovrebbe risalire a quel periodo la frequentazione da parte del M. di un'accademia "clericale" napoletana, la Congregazione dei teologi, rifondata nel 1758, dopo un periodo di inattività, dall'arcivescovo di Napoli cardinale A. Sersale, di cui è traccia nell'opera del M. Dissertazioni sul diritto della natura e sulla legge della Grazia (I-II, ibid. 1772; poi, con aggiunta di un terzo volume, ibid. 1773). L'accademia, che si riuniva in casa di G. Sparano, era frequentata tra gli altri dall'agostiniano Ignazio della Croce, G. Rossi, G.L. Selvaggi e A. Calefati. Della nuova residenza in città il M. approfittò per stampare le sette Dissertazioni filosofiche in cui si oppongono più difficoltà a parecchi principalissimi pensieri in metafisica de' filosofi leibniziani e specialmente del signor Antonio Genovesi (I-II, ibid. 1759), nelle quali attaccò l'antico amico.
La stampa del libro e il suo contenuto, prima della pubblicazione, vennero a conoscenza del Genovesi, oggetto da tre anni di una campagna di denunce che l'aveva condotto davanti al S. Uffizio romano. Temendo di vedere ulteriormente aggravata la sua posizione, egli ricorse a conoscenze autorevoli in Roma e ad amici nel governo napoletano per ottenere il sequestro del manoscritto e costringere il M. a una seconda edizione rettificata. La manovra riuscì e anzi Genovesi, ottenuta una copia manoscritta del primo trattato, assai differente da quella poi pubblicata dal M., la stampò con paginazione distinta e note critiche in appendice al secondo tomo delle polemiche Lettere filosofiche, pubblicate prima che vedessero la luce i libri del Magli. Quest'ultimo, da parte sua, denunciò quello che indicò come contenuto poco ortodosso della Metafisica del Genovesi, mettendone in evidenza con efficacia i compromessi e le aporie. In particolare rimproverò all'ex amico di non dare il dovuto rilievo alla fisico-teologia dei newtoniani come mezzo per dimostrare l'esistenza di Dio e, d'altra parte, di aver ripreso da Leibniz la tesi della semplicità e attività delle sostanze che, per il M., aveva chiara matrice newtoniana; sottolineò le riserve genovesiane sul panteismo possibile nella metafisica del vuoto come sensorium Dei; evidenziò infine che Genovesi aveva seguito nella Metafisica il metodo geometrico contro il quale, nell'Ars logico-critica, si era scagliato riconoscendo le difficoltà nell'applicarlo al di fuori della matematica e della fisica.
Il ritorno del M. a Martina Franca è probabilmente da collocare nel 1760. Oltre a assumere le funzioni ecclesiastiche precedenti, ricoprì un ruolo centrale nella vita culturale della città, intervenendo come moderatore nelle dispute teologiche e filosofiche nei circoli e nelle accademie, in particolare nei conventi dei domenicani e dei riformati. Inoltre, pur senza ufficialmente schierarsi, giocò qualche ruolo nelle lotte giuridiche antifeudali che in quel giro d'anni contrapposero il clero cittadino alle autorità civile ed ecclesiastica se, come sembra, in quel contesto l'arcivescovo di Taranto gli promise l'arcipretura di Martina (che non gli fu conferita), anche perché assai benvoluto dal duca. Dovrebbe infine risalire a questi anni uno scritto il cui titolo (Dell'origine, dell'essenza e delle varie spezie de' sacerdozi e de' sacrifici in tutti gli stati della natura umana affin di ben celebrare e di ben assistere alla celebrazione della santa messa) fu indicato dal M. nelle sue Dissertazioni sul diritto della natura((II, p. 187) come quello di un'opera già scritta e che, tuttavia, forse non fu conclusa e comunque non stampata.
Di certo egli si dedicò a stendere i primi due volumi delle rammentate Dissertazioni sul diritto della natura e sulla legge della Grazia.
Prendendo le mosse da un'analisi di quella che descrive come crisi della riflessione morale, provocata dalle tesi illuministiche di sapore deista sulla sufficienza della religione naturale, da quelle protestanti sulla sufficienza dell'esame privato della Scrittura (tesi che portano, secondo il M., a ridurre la legge morale a legge positiva), e dalla estrema confusione indotta in campo cattolico dalla diffusione dei sistemi probabilistici, il M. indica una via d'uscita consistente essenzialmente nel riportare nel discorso morale il tema della grazia. Ciò permetterebbe di ripensare la legge naturale come espressione del dinamismo verso il fine che l'uomo riceve con la sua forma razionale e fornirebbe la norma principale del suo agire, consistente nella conformità con la propria natura razionale.
Il desiderio di seguire la stampa dell'opera e la necessità di ottenere i permessi necessari furono per il M. occasione per un ulteriore soggiorno a Napoli. Qui riprese i rapporti con gli ambienti che lo avevano spalleggiato nella polemica con Genovesi e venne a conoscenza di uno sferzante attacco rivoltogli da G.M. Galanti. A questo, che illustrando le vicende all'origine della scrittura delle genovesiane Lettere filosofiche lo aveva tacciato di ignoranza e risentimento (si veda l'Elogio storico del signor abate Antonio Genovesi, Napoli 1772, pp. 117 s.), il M. rispose con un volumetto stampato a Napoli nel 1773 e connesso con un escamotage ai due volumi delle Dissertazioni sul diritto della natura, in quanto presentato come terzo tomo dell'opera.
In esso, pur tentando di distinguere il pensiero di Genovesi da quello di Galanti, e contestando a quest'ultimo il diritto di dichiararsi erede intellettuale del primo, non poté evitare di rinnovare la polemica con Genovesi, ormai defunto. La sua riflessione economico-politica, secondo il M., aveva finito per mettere in discussione la tradizionale dottrina delle "due podestà" a vantaggio del potere temporale, che si configurava come unico e perciò simile a un dispotismo di stampo orientale. Il dispotismo cui avrebbe condotto la tanto cara (a Galanti) "libertà di pensare", minando "l'autorità della Chiesa", infrangeva l'unità e l'armonia della società umana e toglieva allo stato coesione e autorevolezza. Risultati, questi, di una linea di pensiero (cui, secondo il M., si avvicinavano i due avversari) che dai libertini e dagli "eretici" portava agli illuministi francesi, J.-J. Rousseau e P. d'Holbach, ben conosciuti dal Genovesi nelle opere principali. La polemica che, nei primi due volumi dell'opera, era condotta contro il probabilismo spinse Alfonso Maria de Liguori, il futuro santo (che mai andò a Martina Franca e mai conobbe il M.), a dare alle stampe una Dichiarazione del sistema che tiene l'autore d'intorno alla regola delle azioni morali (Napoli 1774). Pur senza citare il libro del M., vi replicò puntigliosamente all'accusa che lì gli veniva rivolta, ovvero di essere stato promotore di un tentativo che pur cercando di limitare certi eccessi delle letture probabilistiche in campo morale, era comunque insufficiente a eliminare quello che il M. riteneva il vizio strutturale di un sistema applicabile alle leggi positive ma non alle leggi morali. Della Dichiarazione però il M. non ebbe notizia perché, rientrato a Martina Franca nel 1774, non tenne contatti con gli ambienti frequentati in precedenza.
Il M. morì a Martina Franca nel febbraio 1776 e il 25 febbraio fu seppellito nella collegiata.
Fonti e Bibl.: Taranto, Arch. diocesano, M.258; Martina Franca, Arch. capitolare, Basilica di S. Martino, Libri canonici, Libro del battesimo 1719-20, c. 41r; Libro dei morti e morticelli 1775-76, c. 4v; Arch. di Stato di Napoli, Catasto onciario di Martina 1753, vol. 8089, c. 1125v; Milano, Biblioteca Ambrosiana, T.130 Sup., cc. 110-111, 212 (lettere di O.I. Martorelli); M. Gerbert, Korrespondenz, a cura di G. Pfeilschifter, Karlsruhe 1931, II, p. 186 (lettera di J.G. Zumtobel); A. Genovesi, Lettere familiari, Venezia 1787, pp. 71-82; Alfonso Maria de Liguori, Lettere, in Id., Opere morali, Torino 1830, II, pp. 258-261, 279-281, 324 s.; III, pp. 457-460; G. Chiarelli, Notabilità martinesi, Martina Franca 1925, pp. 75-98; R. Telleria, S. Alfonso Maria de Ligorio, I, Madrid 1950, pp. 435-437; A. Racioppi, Antonio Genovesi, Napoli 1958, p. 111; B. Croce, Bibliografia vichiana, a cura di F. Nicolini, Napoli 1967, I, pp. 258 s.; F. Venturi, Settecento riformatore, I, Torino 1969, pp. 597 s.; II, ibid. 1976, pp. 208-211; R. De Majo, Società e vita religiosa a Napoli nell'Età moderna, Napoli 1971, pp. 313-316; P. Zambelli, Tra Vico, la scolastica e l'Illuminismo: P. M., in Boll. del Centro studi vichiani, I (1971), pp. 20-52; S. Fini, Una polemica metafisica tra Genovesi e l'abate P. M., in Riv. rosminiana, LXVI (1972), pp. 27-55; P. Zambelli, La formazione filosofica di Antonio Genovesi, Napoli 1972, pp. 232 s., 241-249; T. Rey-Mermet, Il santo del secolo dei lumi, Roma 1983, pp. 710 s.; M. Pizzigallo, Uomini e vicende di Martina, Fasano 1986, pp. 274-279; A. Panzetta, Il diritto naturale e la legge della grazia in P. M., Martina Franca 2000; Id., P. M. canonico-teologo di Martina, in Frontiere, 2003, numero zero, pp. 113-132.