COSTA, Pasquale Antonio Cataldo Maria (detto Pasquale Mario)
Nacque a Taranto il 26 luglio 1858 da Angelo, controllore di dogana, e da Maria Giuseppa Malagisi. Discendente da una gloriosa dinastia di musicisti napoletani e cresciuto nel culto della musica, in un ambiente che ne favorì il naturale talento artistico, ebbe fin dai primi anni di studio una rigorosa educazione che gli consentì di formarsi alla scuola severa da cui erano usciti gli esponenti più illustri della sua famiglia. Trasferitosi infatti con la famiglia a Napoli, appena dodicenne compì il noviziato musicale esibendosi come fanciullo cantore in varie chiese napoletane ove fu ammirata la sua limpida voce di contralto; notato da S. Mercadante che rimase colpito dalla sua musicalità, entrò ancora fanciullo nel conservatorio di S. Pietro a Maiella, ove ebbe maestri P. Serrao per l'armonia e la composizione, lo zio Carlo, fratello del padre, per il contrappunto, C. Palumbo e G. Martucci per il pianoforte e un certo maestro Scafati per il canto.
La sua formazione iniziò pertanto sotto i migliori auspici e poté compiersi in un momento di rinascita della vita musicale napoletana la quale, dopo un periodo di abbandono legato alla generale situazione di arretratezza e isolamento culturale in cui versava gran parte della vita artistica italiana, andava risollevandosi grazie anche a una serie di iniziative che, oltre a realizzare un tentativo di aggiornamento culturale nei confronti della più avanzata posizione culturale europea, rendevano possibile una seppur cauta e graduale riscoperta della troppo trascurata tradizione musicale italiana. Veniva così rivalutato un ricco patrimonio pressoché ignorato comunque lasciato ai margini d'una ormai decaduta pseudocultura musicale prevalentemente melodrammatica che aveva contribuito a lasciare nell'oblio una gloriosa tradizione vocale e strumentale sia profana sia sacra. Vari tentativi, quali le meritorie accademie private in cui venivano presentati, seppure ad un pubblico di auditori alquanto ristretto e selezionato, i capolavori dell'arte musicale sette-ottocentesca, favorirono la rinascita della vita musicale napoletana, la cui ripresa ufficiale fu sanzionata da una serie di iniziative promosse da B. Cesi, G. Martucci e dal giovanissimo C. che cominciò ben presto a farsi notare negli ambienti aristocratici della sua città; frequentò spesso la casa del pittore E. Dalbono, ritrovo dei maggiori rappresentanti della cultura e dell'arte della Napoli di quegli anni, ove poté porre in luce i doni della sua fantasia melodica e della sua rigorosa formazione musicale.
Non ancora diciassettenne aveva composto e pubblicato numerose romanze come M'amasti mai?, La preghiera dell'orfanella, Saluto alla patria, In alto mare, Languirò sempre, edite a Napoli dalla Società editrice Maddaloni. Dotato tra l'altro di una bella voce di tenore, presentò egli stesso le sue prime canzoni e romanze da camera al pubblico napoletano che accolse con favore il suo facile e fluido stile melodico. Secondo quanto sostenuto dal De Mura, fu uno dei più noti giornalisti napoletani dell'epoca, M. Cafiero, a proporre al giovane compositore di musicare una poesia di Salvatore di Giacomo, quella Nannì che, scritta nel 1882, oltre a sanzionare una amicizia cordiale e un lungo sodalizio artistico, fu per la canzone napoletana l'inizio d'una ritrovata dignità stilistica grazie al nuovo impulso impresso a un genere che aveva conosciuto nel passato un momento di grande fortuna ed era stato nobilitato dai nomi più prestigiosi del firmamento musicale italiano dell'Ottocento. Tra l'altro già nel 1881 il C. aveva riportato un grande successo con Napulitanata.
Lo stile del C., divenuto ben presto personalissimo, si ricollegava in gran parte al filone vocalistico tipicamente italiano nonché alla tradizione popolare, rivelandosi degno continuatore d'una scuola che proprio a Napoli aveva trovato il suo terreno più fertile; tuttavia, nonostante il generale consenso riportato, la novità del suo stile, per certi aspetti insolito e diverso dal tradizionale "canto all'italiana", non fu pienamente compreso e il C., forse deluso, non volle limitare la sfera d'azione alla sua città; probabilmente attratto dai successi dello zio Michele (Michael), oltre che dal costante favore incontrato dalla musica vocale italiana presso il pubblico inglese, preferì lasciare il suo paese e nel 1881 si recò a Londra ove rimase pressoché stabilmente fino al 1884, trionfalmente accolto in quegli stessi ambienti che stavano consacrando la fama di F. P. Tosti, più noto ma non meno significativo esponente della lirica vocale italiana dell'Ottocento. Nella capitale inglese, che aprì le porte dei suoi salotti al giovane compositore italiano accogliendo entusiasticamente le sue creazioni (anche in ossequio a una moda che vedeva nel canto all'italiana il doveroso accomplishment cui doveva sottoporsi ogni fanciulla di buona famiglia della società vittoriana), il C. conobbe un momento di grandissima popolarità - fu tra l'altro in rapporti di grande amicizia con il principe di Galles Edoardo - che si protrasse, se pur con alterna fortuna, anche dopo il ritorno in patria.
Rientrato a Napoli, dove frattanto aveva sposato Carolina Sommer, si dedicò a un'intensa attività di animatore della rinascita musicale della sua città, senza mai trascurare la composizione. Nel 1886 si recò a Milano per concertare le esecuzioni di strumentisti napoletani che si esibivano durante le manifestazioni musicali organizzate in occasione dell'Esposizione che si teneva nel capoluogo lombardo. Di nuovo a Napoli, dimora fissa di questi anni, nonostante il suo temperamento esuberante lo portasse a spostarsi continuamente da una città all'altra della penisola, iniziò ad interessarsi al teatro: nel 1889 fece rappresentare alla Filarmonica la fiaba per marionette in un atto Le disilluse su libretto di R. Bracco, divenuto poi suo amico ed estimatore, con la partecipazione del celebre tenore F. Marconi. Nel 1890 si trasferì in Francia, deciso ad affrontare il pubblico parigino che conquistò immediatamente con le sue composizioni, da lui stesso cantate ed eseguite al pianoforte. Il vero successo arrivò nel 1893 con la pantomima musicale Histoire d'un Pierrot che, composta in soli dodici giorni su libretto di G. Bessier e rappresentata il 14 gennaio al Théâtre Dejazet, riscosse un successo clamoroso e divenne in poco tempo uno degli spettacoli più acclamati tanto da essere rappresentato nei maggiori teatri del mondo: la garbata linearità della trama, la delicata ed elegante scrittura, la trascinante cantabilità delle melodie entusiasmarono il pubblico, che ne ammirò lo stile assai vicino a quello della coeva romanza da salotto; la sua popolarità durò a lungo tanto che nel 1913 ne fu realizzato un film di successo che contribuì a prolungarne la fama.
Compose poi la commedia musicale Il Capitan Fracassa (libretto di G. Emanuel e O. Magici da Th. Gautier, Torino, teatro Alfieri, 14 dic. 1909; poi replicata con successo nel 1910 al teatro Costanzi di Roma, protagonista Emma Vecla); la rappresentazione romana, organizzata dalla compagnia di operette Caramba Scognamiglio, fu particolarmente fortunata.
All'indomani della prima il critico musicale del Messaggero (4novembre) ne sottolineò i numerosi pregi: "Una musica di una delicatezza e di una eleganza incomparabili, varia, ricca nelle combinazioni strumentali, interessante e fine nell'armonizzazione, sincera e schiettamente italiana nello spirito, nella forma, nello sviluppo. Opera di mezzo carattere, trae dall'operetta il movimento spigliato, vivace, burlesco, e dall'opera comica la grazia raffinata, il sentimento delicato... È la prima forma caratteristica, la prima e nuova visione dell'opera comica moderna, composta di pensieri e di svolgimenti nostri che sorge finalmente fra la Vedova allegra e La Geisha, con una grande nobiltà e arte, con una fisionomia propria e decisa, con una dignità artistica e una forza vitale ed espansiva, feconda di esempi per l'avvenire" (in V. Frajese, Dal Costanzi all'opera, II, p. 29). Il lavoro fu poi rappresentato a Buenos Aires (politeama Argentino, 20 giugno 1910), Vienna (Volksoper, 27 genn. 1911) e, con modifiche del libretto nella versione francese di C. Ferrier, dapprima a Parigi e poi al teatro Municipale di Montecarlo nella stagione 1930-31.
La carriera del C. conobbe un periodo di arresto nel 1915 allorché l'Italia entrò in guerra; lasciata Parigi e tornato subito in Italia, raggiunse la zona di guerra unendosi a G. M. Martini e Sem Benelli nel desiderio di portare sollievo con le sue canzoni ai combattenti. Autore di vari pezzi dedicati al conflitto, compose in questo periodo O caro figlio (l'esercito), Omaggio all'esercito per banda e Rapsodia eroica per orchestra e banda, oltre all'inno Italia su versi di F. Pastonchi. Tra il 1915 e il '20 si divise tra Milano, Torino, Napoli e Roma, dedicando con fervore la sua attività concertistica a favore dell'Associazione pro combattenti.
Ripresa poi l'attività compositiva, si dedicò all'operetta, di cui divenne ben presto uno degli esponenti più rappresentativi. Di questa sua produzione, in cui raggiunse una immediata e vasta popolarità, si ricordano in particolare: Posillipo (libretto di A. Campanile, Roma, teatro Eliseo, 8 nov. 1921); Scugnizza (libretto di C. Lombardo, Torino, teatro Alfieri 16 dic. 1922); Il re delle api (libretto di G. Adami, Milano, teatro Lirico, 11 febbr. 1925); Mimì Pompon (libretto di G. Adami, ibid., 23 ott. 1925); fu inoltre autore, in epoca non precisata, delle pantomime: Le modèle revé (Parigi, Badinière), Le voyoge de noces o Une nuit de noces (Dieppe), La dame de pique (Londra, politeama Alhambra, 1894) e il ballo Salomè (Roma, rappresentato consecutivamente per oltre un anno).
Compose inoltre marce, pezzi per pianoforte e rimusicò l'inno di G. Mameli, Fratelli d'Italia, oltre a un centinaio di romanze, tutte nate in questo periodo, tra cui alcune divenute particolarmente famose come Canzone di Mignon, Tutto ritorna, In alto mare, La primavera e la celeberrima Serenata medioevale. Sue melodie ispirarono C. Lombardo per l'operetta Il re di Chez Maxim (versi di A. Francis, Milano, teatro Fossati, 10 maggio 1919).
Compositore versatile e dotato di una vena facile e immediata, il nome del C. è soprattutto legato alla copiosa produzione di canzoni napoletane, per lo più su poesie di S. Di Giacomo e F. Russo; fu autore egli stesso dei versi di alcune sue canzoni, tra cui la fortunatissima 'A frangesa, che, eseguita per la prima volta a Napoli nel 1894 dalla canzonettista francese Armandine Ary al Circo delle Varietà, fu tradotta in numerose lingue e rese popolarissimo in tutto il mondo il nome del compositore italiano. Tra le sue canzoni più famose, entrate ormai nel novero delle più belle espressioni della tradizione vocale partenopea si ricordano: Era di maggio (1885), Qjé Carulì (1885), Qjé marenà (1885), Oilì-oilà (1886), Maria Rò (1886), 'A retirata (1887), Luna nova (1887), Mena, mè! (1887), Munasterio (1887), Scétate (1887), Dimane t' 'o ddico (1888), Lariulà (1888), E vota e gira (1889), Tarantì Tarantelle (1889), All'ertasentinella (1890), A' signora luna (1892), Catarì (1892), O cuntrattino (1892), A' santulella (1895), A' speranzella (1895), Serenata napulitana (1897), Ma chi sa? (1905), in gran parte pubblicate in Italia dall'editore Ricordi; ciò nonostante il suo temperamento instancabile, che lo divideva tra Napoli, Londra, Parigi e ovunque l'estro lo portasse, fece sì che gran parte delle sue composizioni vocali venissero a lungo ignorate in Italia e fossero pubblicate a Londra e a Parigi dagli editori Leon Gens, Choudens e Chappel, come per es. Chanson d'exil, C'est le vent, En silence, Ever, Alas!, Souvenir de Sorrento, Aurore nouvelle, Ma chi sa?.
La vastità della produzione del C. rende alquanto problematica la possibilità di redigere un elenco completo di tutte le sue composizioni, per lo più pubblicate senza indicazione di data; oltre a quelle citate l'Acquaviva, che per primo ha tentato di redigere un catalogo completo delle opere del C., segnala le seguenti romanze e canzoni scritte in epoca imprecisata indicandone peraltro l'autore del testo: A quel bacio io penso, madrigale (F. de Renzis); Almeno, romanza (N. Daspuro); 'A Mulinarella, canzone (S. Di Giacomo); Cantilene napulitane, canzone (R. Bracco); Canzone del temporale (E. Scarfoglio); Con il ricordo vago e mal distinto, romanza (L. Stecchetti); Creder non posso, melodia (Rocco E. Pagliara); Matenate, canzone (S. Di Giacomo); Mattutino. Bozzetto dai canti calabresi (traduzione italiana di N. Misani); Nid d'amour, romanza(V. Billaud); Non so !, melodia .(E. Panzacchi); O Nina, ma Ninette!, serenata (M. Carré); Ottobre, melodia (F. Coppée); Quando il fuggir della stagion nevosa, romanza (L. Stecchetti); La première, melodia (F. Coppée); Ricordati, melodia (L. B. Mancini Oliva); Serenata orientale, romanza (V. Firmiani); Vanne a colei che adoro, terzetto a canone (P. Metastasio).
Morì a Montecarlo il 27 sett. 1933 e le sue spoglie furono traslate a Taranto il 27 giugno 1934 in una tomba monumentale offerta dal comune della sua città natale.
Ultimo cantore dell'anima popolare napoletana, il C. si ricollega secondo il Di Massa alla grande tradizione vocale sette-ottocentesca individuabile in certi tratti caratteristici del melodizzare partenopeo: strofette agili, ritmo variato ma fluido e scorrevole, espressione tipica d'una musicalità immediata e lineare, concetti semplici in cui l'anima popolare si riflette manifestandosi con "sensibilità non complicata e pure profonda, non artefatta e pure artistica, non sdolcinata e pure sentimentale, non orgiastica e pure allegra e vivace" (S. Di Massa, La canzone napoletana, p. 165).
Geniale inventore di melodie, sorretto da una sensibilità che ben coincideva con il rinnovato interesse per il canto popolare manifestato dai maggiori esponenti del mondo letterario italiano, da G. Carducci a S. Ferrari, da C. Nigra a N. Tommaseo e F. Torraca fino a B. Croce, il C. realizzò le sue aspirazioni più genuine soprattutto nella produzione realizzata in collaborazione con S. Di Giacomo, ove espresse il sentimento più intimo e raccolto della sua umanità, così come appare ad esempio nella delicata Scétate (è nu ricamo sta mandulinata) che, scritta di getto, si rivela composizione finissima per semplicità e spontanea invenzione; essa sembra ricollegarsi direttamente, per il predominio del sentimento amoroso e la malinconia propria dell'animo napoletano, a tante pagine in cui si avverte l'influsso del melodramma ottocentesco: si pensi ad esempio a Palummella zompa e vola da La Molinarella di G. Paisiello, a Fenesta ca lucive (ispirata alla Sonnambula belliniana) a Santa Lucia ("Com'è bello quale incanto" dalla Lucrezia Borgia di G. Donizetti), sino a quel capolavoro universalmente riconosciuto su versi di Raffaele Sacco che è Te voglio bene assaje, attribuita a G. Donizetti (1835), in cui si realizza quel felice connubio tra l'anima popolare e l'espressione della musica colta in una perfetta fusione di stile e sentimento. Ciò nonostante il C. non si limitò a seguire le orme d'una tradizione che avrebbe potuto garantirgli il successo presso il pubblico più conservatore e la stima della critica meno sensibile alle novità di linguaggio. Legato a certe forme della produzione cameristica vocale italiana del tempo e vicino a certi tratti stilistici che caratterizzarono la produzione del Tosti, i criteri che guidarono la sua produzione si rivelarono subito assai personali anche nella scelta dei poeti cui il compositore rivolse la sua attenzione: se il Di Giacomo fu il suo poeta preferito e forse il più vicino alla sua sensibilità, non trascurabile fu la collaborazione con personalità altrettanto significative del panorama letterario del suo tempo quali E. Scarfoglio, E. Panzacchi, M. Rapisardi e L. Stecchetti che, dopo il Di Giacomo, ricorrono più spesso nella sua produzione vocale.
L'adesione alla poesia dello Stecchetti, la cui ricchezza espressiva oscillava entro una gamma di sensazioni e situazioni sentimentali quanto mai varia, imponevano al C. una scelta non soltanto interpretativa di stati d'animo, ma richiedevano al musicista una precisa condotta melodica; essa si discostava in parte da quella dei suoi contemporanei per un fraseggio meno ampio, più spezzato e aderente al fluire del testo che, senza condizionare l'espressione musicale, determina comunque l'esigenza di una diversa scrittura melodica, forse meno all'italiana, ma tale comunque da imprimere nuovo vigore stilistico a una forma in cui il compositore, pur non rinnegando del tutto la tradizionale cantilena partenopea, se ne discosta per un più mosso e moderno andamento espressivo. L'apparente rinuncia alla melodia facile e spiegata, che determina un fraseggio più sottile e discreto assai vicino al parlato, viene in un certo senso riscattato dal nuovo ruolo affidato al pianoforte che viene chiamato a dividere con il canto il fluire del discorso musicale. Tale concezione comporta una nuova scrittura armonica che si fa più ardita non per una ricerca di effetti fine a se stessa, ma per una più penetrante e sottile interpretazione del testo poetico.
La napoletanità, l'amore per il canto popolare diviene talvolta struggente ricordo del passato e si fa citazione come in Un organetto suona per la via su versi di L. Stecchetti, in cui Fenesta ca lucive citata per intero si fa ricordo struggente del passato pur acquistando un sapore "crepuscolare" che ben si adegua alla formazione artistica del C., vicino alle correnti più avanzate della cultura del suo tempo. Così dopo Nannì del 1882, frutto della collaborazione col Di Giacomo, deliziosa schermaglia tra innamorati, si giunge a Oilì-oilà del 1886 in cui, come sottolinea il Viviani, "agisce il coro più che come presenza attiva d'intervento popolare, come evocazione soggettiva del poeta di nostalgiche voci d'altri tempi" (p. 684). Ma in Luna nova, definita la più bella barcarola del C., il coro sembra assumere il carattere di vera voce popolare, per poi, in 'A ritirata del 1887, cantata dalle truppe in partenza per l'Africa, manifestare sentimenti patriottici con uno slancio passionale ove la poesia del Di Giacomo e la musica del C. si fanno espressione d'una individualità nella quale poesia e musica si identificano interpretando il sentimento di ogni singolo soldato in procinto di lasciare il suolo patrio.
Né manca nel panorama musicale del C. l'esperienza meramente canzonettistica forse suggerita dal pullulare di locali alla moda, ove le sue creazioni, pur sollecitate da esigenze consumistiche, ben rispondevano alle precise richieste del varietà popolare. Esse divennero ben presto patrimonio comune di cui si appropriò un pubblico dai gusti facili, ma si distinsero per l'eleganza della scrittura come quella Scètate su testo di Ferdinando Russo che destò l'interesse di G. Carducci durante il suo soggiorno napoletano con Annie Vivanti o la celeberrima 'A frangesa, in cui una canzonettista francese, costretta a far la parodia di se stessa, suscitò un delirio di pubblico eterogeneo ma ugualmente festaiolo e ridanciano, consacrò un genere e uno stile destinati a caratterizzare un'epoca che da Napoli si irradiò per tutta la penisola. Non tanto lontane dal gusto romanzistico, considerato espressione più colta e meno sensibile rispetto a quello fuggevole dell'esperienza canzonettistica, le canzoni del C. appartengono a una categoria meno labile della canzone da cabaret, cui peraltro egli offrì lo spunto per più o meno riuscite imitazioni, quali Ninì Tirabusciò di S. Gambardella, gustosa ripetizione de 'A frangesa, di cui ricalcava la linea popolareggiante e gustosamente equivoca d'una umanità più spensierata, esaltata dalle recenti conquiste coloniali e non ancora percorsa da quei fermenti che stavano per gettare l'Europa nel tragico clima del primo conflitto mondiale.
Per G. Pannain il C. fu "interprete, o meglio rivelatore e poetizzatore, d'un determinato momento dell'anima sociale" e le sue romanze alla moda e canzoni su testi napoletani, in particolare quelle su poesia di S. Di Giacomo composte tra il 1880 e il '90, le più indicative e le sole veramente degne di essere ricordate fra le musiche vocali da camera nella seconda parte dell'Ottocento italiano. "L'invenzione, ricca e originale, non risente di alcun altro musicista precedente o contemporaneo. È limpida, concisa, decisa, toccante, sia nella cantilena vocale, sia nell'elementare ma sufficiente armonia. Anzi, più d'un disegno e più d'una modulazione nell'accompagnamento del canto han forza e pregio d'espressione. Il piacere auricolare non è l'effetto d'una ricerca artificiosa, certo nacque insieme con le idee chiare e belle. Fonte e soggetto dell'invenzione, dalla prima emozione alla rappresentazione, è il dramma psicologico. Benché improntato di accento popolare, esso non sembra limitato, occasionale, contingente. La parlata musicale napolitana raggiunge la compiutezza artistica al pari del più colto linguaggio. Non solo la forma è sempre signorile, talvolta ricercatamente aristocratica, anche lo spirito. Ogni lirica ha il suo dramma intimo, quasi nucleato in un immaginario protagonista" (A. Della Corte-G. Pannain, II, p. 1263). La melodia del C. segna una tappa fondamentale nella storia del canto, all'italiana e la sua arte fatta di immagini brevi, piccoli gioielli di spontanea umanità racchiusi in una cornice elegante e raffinata, divenne espressione della più genuina napoletanità, immagine efficace d'una sensibilità corale, mistica e passionale, beffarda e spregiudicata di cui il C. fu uno degli ultimi e più appassionati cantori.
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