PASOLINI DALL'ONDA, Pier Desiderio
PASOLINI DALL’ONDA, Pier Desiderio. – Nacque nella tenuta della Coccolìa, presso Ravenna, il 22 settembre 1844, dal conte Giuseppe e da Antonia Bassi.
Di antica e cospicua famiglia romagnola – Jacob Burckhardt, nella prima parte dell’opera Die Kultur der Renaissance in Italien (1860), ne avrebbe ricordato la rivalità con gli Sforza – curò amorevolmente le memorie domestiche recenti, stendendo un profilo della madre (La contessa Antonietta Pasolini (1825-1873). Memorie del suo primogenito, Imola 1874), e soprattutto dedicando al padre un ampio e documentato profilo (Giuseppe Pasolini 1815-1876. Memorie raccolte da suo figlio, Imola 1880, qui citato dalla terza edizione accresciuta, Torino 1887; traduzione inglese London 1885), fra l’altro di notevole rilievo autobiografico e uno degli scritti più significativi di Pasolini. L’attenzione per le tradizioni familiari e l’interesse per gli studi genealogici furono sempre assai vivi in lui; e la nomina, nel 1900, a membro della Regia Consulta araldica appare in questo senso particolarmente pertinente. Com’era d’uso, questa inclinazione si tradusse in scritti d’occasione, non trascurabili: per il matrimonio della sorella Angelica, nel 1876, si volse alla vicenda dinastica dello sposo, componendo delle Memorie storiche della famiglia Rasponi (1050-1876) (Imola 1876). Contemporaneamente si dedicava agli ascendenti della moglie, Maria Ponti, sposata nel novembre 1874: solida dinastia di industriali tessili lombardi – il cognato, Ettore Ponti, sarebbe poi divenuto sindaco di Milano e senatore – della quale ricercava le lontane origini sostenendo la piena legittimità di simili indagini dato che, scriveva, «caduti i pregiudizii della aristocrazia, vanno pur cadendo quelli della democrazia; dalla millanteria dei primi come dalla baldanzosa ignoranza dei secondi non ci si aspetta più nessun bene, e gli studii, non i sogni genealogici, vengon tornando in onore» (Memorie storiche della famiglia Ponti (1448-1876), Imola 1876, p. 6).
L’infanzia e la giovinezza di Pasolini furono segnate dall’azione politica del padre, e dalle materiali conseguenze di questo impegno. La tessitura dei documenti raccolti sulla figura del padre conteneva numerosi racconti familiari e ricordi personali: dalla Roma di Pio IX – del quale il padre era amico, e fu ministro – e dall’assassinio di Pellegrino Rossi (e qui alle convulsioni politiche si sommavano i lutti domestici, con la morte di una sorella in tenera età) al soggiorno fiorentino nella prima metà degli anni Cinquanta, con il successivo rientro in Romagna; e poi, nel passaggio dell’unificazione, la permanenza a Milano e a Torino, dove il padre fu governatore e prefetto fra il 1860 e il 1864. Fra spostamenti e viaggi all’estero – uno, nel 1851, per raggiungere la Londra dell’Esposizione universale – la formazione di Pasolini, che da alcuni documenti da lui stesso pubblicati sembrava aver destato più di una preoccupazione domestica, tanto da far pensare di destinarlo a un collegio militare a Vienna, fu seguita direttamente dal padre, e da alcuni precettori; ma era la revisione del padre a tenere «in gran soggezione il maestro e noi» (Giuseppe Pasolini 1815-1876..., 18873, p. 529). Il più noto dei suoi insegnanti fu il classicista romagnolo Filippo Mordani, al quale Giuseppe Pasolini aveva agevolato il rientro dopo l’arresto e l’esilio postquarantottesco; ma accanto agli studi classici si collocava l’esperienza diretta della vita nelle tenute di famiglia, e l’attenzione per le scienze naturali, e per i problemi economici e agricoli. Pasolini seguì poi i corsi della facoltà di legge prima a Torino e poi a Bologna, laureandosi nel 1866 con Cesare Albicini.
La sua posizione sociale, e la larga e solida rete di relazioni legata alle figure dei genitori furono fattori rilevanti nella definizione della sua fisionomia di uomo pubblico e di studioso: Pasolini poteva ricordare di aver trascorso una serata con Alessandro Manzoni a discutere sulla genesi dei Promessi sposi e sul rapporto fra realtà e invenzione e di aver cenato con Garibaldi narrante le sue gesta; aveva familiarità con Gino Capponi e Luigi Carlo Farini, Marco Minghetti e Bettino Ricasoli, e passavano per casa il principe di Galles e lord John Russell. Il padre, convinto che «la legge del lavoro pesa su tutti» (ibid., p. 531), e che sarebbe stata una vergogna essere niente «altro che un signorino» (ibid., p. 532), avrebbe voluto per i figli un preciso impegno professionale; il figlio Enea, avviato alla carriera militare, morì di malattia nel 1869 a 22 anni.
Per Pier Desiderio, responsabile della gestione dei beni familiari dopo la morte del padre nel 1876, solo marginalmente coinvolto nella vita politica nazionale e semmai più presente nei salotti e nei circuiti della sociabilità d’élite – «la sua conversazione fu vivace ed arguta, anche se qualche volta sconcertante pel tono di serietà che ei dava allo scherzo» (Ricci, 1920, p. 41) –, gli studi storici rappresentarono quella forma di dedizione al lavoro – anche se non tradotti in un impegno universitario e di insegnamento – così presente nel domestico disegno formativo. Nel 1875 Pasolini fu eletto consigliere comunale a Ravenna e consigliere provinciale; la residenza ravennate, e il tipo di vita alla quale si trovò, assai giovane, costretta, risultarono poco congeniali alla moglie, come è testimoniato dalle lettere di questa alla cognata. Maria Pasolini avrebbe in seguito intensamente partecipato al movimento femminile italiano. L’attività politica di Pasolini lo portò comunque a Roma.
Eletto deputato – nel gennaio 1883, per la XV legislatura, nel collegio di Ravenna, con adesione alla Destra; elezione confermata nel maggio 1886, per la XVI legislatura –, e poi nominato senatore il 26 gennaio 1889, Pasolini svolse un’attività parlamentare non intensissima, anche se venne ricordata la sua assidua presenza in aula. Fra i suoi discorsi, spesso pronunciati nelle sessioni di bilancio, si segnalò quello del giugno 1890, sulla situazione dei contadini in Romagna, in linea con l’atteggiamento e le preoccupazioni di proprietario terriero minutamente descritti parlando del padre – «sentiva profondamente l’obbligo di fornire ai contadini, ai poveri delle campagne nuove fonti di guadagno, e di additare a tutti i suoi compaesani la via di accrescere la produzione» (Giuseppe Pasolini 1815-1876..., 18873, p. 505). La moglie, del resto, avrebbe pubblicato nel Giornale degli economisti nello stesso anno, grazie alla sua amicizia con Vilfredo Pareto e Maffeo Pantaleoni, un saggio dedicato a una famiglia di mezzadri romagnoli.
Prossima ai neoliberisti lei, «salutato da Crispi» (Malvezzi, 1921, p. 82) e carducciano lui – in occasione delle celebrazioni del giugno 1896 a Bologna avrebbe donato al poeta la fronda di un alloro cresciuto presso la tomba di Dante –, i Pasolini ebbero intense relazioni intellettuali e sociali nella capitale; Pier Desiderio faceva parte del circolo raccolto attorno alla regina Margherita, e le avrebbe dedicato, forse non del tutto appropriatamente, i tre volumi biografico-documentari su Caterina Sforza (Roma-Imola 1893; ristampa Roma 1968); dopo il regicidio avrebbe commemorato il re all’Accademia di San Luca, della quale era membro dal 1893 (Commemorazione di Re Umberto I, Roma 1900).
La dimensione accademica offriva la misura di una presenza via via più solida all’interno di circuiti intellettuali non ancora dominati dal professionismo universitario; e si passava dalla giovanile affiliazione, nel 1862, all’Accademia dei Fecondi di Firenze alla più impegnativa nomina, nel 1869, a socio corrispondente della Deputazione di storia patria per le province di Romagna, nel 1875 di quella toscana, nel 1878 di quella veneta. Pasolini fece il suo ingresso, nel 1893, al Consiglio per gli archivi, accanto ad alcuni fra i più noti storici italiani; e soprattutto ai Lincei, nel 1902, come socio corrispondente e dal 1918 come socio nazionale.
La sua opera di studioso si era avviata, subito dopo la laurea, con una prima ricerca sulle Memorie storiche della famiglia Pasolini (1200-1867) (Venezia 1867), e con una sintetica presentazione, «facile e scorrevole» (Malvezzi, 1921, p. 81), degli statuti ravennati (Gli statuti di Ravenna ordinati e descritti (1257-1590), Firenze 1868). A Venezia al seguito del padre, regio commissario dopo il passaggio della città al Regno d’Italia, Pasolini svolse ricerche d’archivio sulle relazioni fra Venezia e Ravenna poi presentate in una serie di articoli ospitati fra il 1870 e il 1874 dall’Archivio storico italiano; pubblicazioni che si incrociavano con quelle genealogiche sopra menzionate. Corrado Ricci, amico di Pasolini, ebbe a notare che «l’amore di Ravenna» fu «il sentimento che maggiormente animò l’opera sua di studioso» (Ricci, 1920, p. 38); e indubbiamente questa forte localizzazione dell’ambito spaziale di indagine segnò la storiografia di Pasolini, con varie implicazioni. Da un lato, come nel tardo volume su Ravenna e le sue grandi memorie (Roma-Imola 1912), l’evocazione andava, come è stato osservato non senza un’implicita riserva, da Galla Placidia ad Anita Garibaldi, in un susseguirsi di quadri; dall’altro, l’inchiesta locale proponeva un intreccio, ricorrente nella cultura del tempo, fra erudizione documentaria, interessi archeologici e topografici – fra i primi studi, un saggio per la Deputazione romagnola, del 1875, sul palazzo di Teodorico in Ravenna –, sensibilità artistica e iconografica. Pasolini, legato a Ricci e corrispondente di Adolfo Venturi, fu fra l’altro nominato, nel 1876, ispettore agli scavi e monumenti per la provincia di Ravenna, ricoprendo in seguito altri incarichi nel campo. Dopo aver pubblicato un lungo studio, galleria di personaggi, su I tiranni di Romagna ed i papi del medio evo (Imola 1888), Pasolini mise mano alla monografia sulla Sforza, che ebbe una certa fortuna anche all’estero, in versioni abbreviate (Bamberg 1895; London 1898; Paris 1912; Firenze 1913, dalla quale si cita). Dei tre volumi complessivi il terzo era costituito da una larga raccolta di documenti, oltre 1400, in specie lettere, secondo uno schema ricorrente nella storiografia del tempo, anche se sulla qualità dell’erudizione qualche dubbio fu avanzato da recensori come Vittorio Cian e Guglielmo Saltini. Si trattava comunque di un lavoro dettagliato, basato su un’accurata raccolta di fonti e accompagnato da un ricco apparato iconografico. La Sforza, seguita anche nelle tradizioni popolari che la riguardavano, vi era presentata come «il perfetto tipo dell’eroina cavalleresca del medio evo», spiccando, pure ben partecipe di tempi corrotti e violenti, come «figura antica» (Caterina Sforza, 1913, p. 4). Sue virtù il coraggio e il valore militare, poi incarnati nel figlio Giovanni de’ Medici, la tenace difesa degli interessi dei figli e dello Stato – e traspariva anche qui la suggestione genealogica, pensando al nipote Cosimo –; suoi vizi, quelli del mondo dei Riario, dei Borgia, delle guerre d’Italia. Sullo scrittore – attento, a volte prolisso pittore di scene corali e di dettagli minuti, piegato sulle fonti narrative privilegiate e animatore, con dialoghi e concioni, della narrazione – pesavano indubbie preoccupazioni dinastiche e morali, di cui era spia anche il pio ritratto della matrigna di Caterina, Bona di Savoia. Ma era soprattutto il celebre episodio di Caterina assediata a Forlì a turbarlo, con la Sforza ad asserire e mostrare pubblicamente che in caso di uccisione dei figli in ostaggio avrebbe potuto averne altri. Intenzionato, e non senza motivo, a mettere in discussione quel racconto, Pasolini provava a compendiare il suo metodo di lavoro: «raccolti e messi a confronto tutti i documenti contemporanei, con ogni diligenza abbiamo cercato la storia sulla quale posa la leggenda [...]. Il nostro racconto è il risultato di un lungo e scrupoloso lavoro di indagine e di critica per raggiungere l’unità richiesta dalla storia e dall’arte col mezzo della intuizione e del buon senso» (ibid., p. 182). Nello specifico i recensori dubitarono: le evidenze documentarie non erano negative, c’erano anzi vari indizi; l’episodio era in fondo verosimile, e c’era poi l’autorità di Machiavelli. Ma più in generale quell’accenno a storia e arte rinviava a discussioni allora ben vive; e Pasolini, scrivendo del padre, aveva rilevato che «ogni studio non pure scientifico ma anche artistico, oggi ci porta all’analisi, ma l’analisi scompagnata dallo esercizio delle altre facoltà della mente che ne sono il correttivo, tende a diminuire il sentimento; e se per una parte ha il vantaggio di sradicare le passioni, di sviluppare la prudenza, dall’altra va togliendo le virtù con tutte le aspirazioni e tutte le gioie che lor son proprie» (Giuseppe Pasolini 1815-1876, 18873, pp. 535 s.). Per scrupolo biografico, e per finezza di inchiesta psicologica – soprattutto per quel che riguardava la figura della madre, Porzia de’ Rossi – il volume di poco successivo, I genitori di Torquato Tasso. Note storiche (Roma 1895) si segnalò come meritevole di considerazione, al pari, almeno come documento e sintomo, di un singolare e composito volume, Gli anni secolari: visione storica (Roma-Imola 1903; trad. tedesca, München-Leipzig 1907). Il termine visione si addiceva a questa composizione di genere incerto, che si apriva e si chiudeva nel cuore della Roma cristiana, e passava attraverso evocativi capitoli via via sempre più ampi riservati agli anni secolari, e dal 1300 giubilari, fino a concludersi in forma quasi diaristica sull’anno 1900, e su una serie di riflessioni sul lascito del secolo XIX, che pur se fra tensioni e inquietudini – orribile l’anno 1900, dal regicidio alla rivolta cinese – veniva presentato nel complesso in modo positivo.
Dopo lunga malattia, Pasolini si spense a Roma il 21 gennaio 1920.
Fonti e Bibl.: Le carte di Pasolini fanno parte di un più ampio fondo familiare, conservato dalla famiglia a Ravenna, e notificato alla Soprintendenza archivistica per l’Emilia-Romagna; data l’ampiezza delle relazioni personali di Pasolini – «ebbi conforto e consigli da Cesare Cantù, da Michele Amari, da Ferdinando Gregorovius, da Giacomo Burckhardt, da Marco Tabarrini e dal vivente Pasquale Villari» (Caterina Sforza, 1913, p. IV), le sue lettere vanno rintracciate in vari epistolari e fondi documentari. Informazioni sull’attività parlamentare di Pasolini si trovano in: Camera dei deputati, Portale storico, s.v. (http://storia.camera.it/deputato/pier-desiderio-pasolini-dall-onda-18440921#nav); Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale I senatori d’Italia, II, Senatori dell’Italia liberale, s.v. (http://notes9.senato.it/web/senregno. nsf). Una bibliografia degli scritti è in appendice a C. Ricci, Commemorazione di P. D. P., in Atti della Reale Accademia dei Lincei. Rendiconti, Classe di Scienze morali, storiche e filologiche, s. 5, 1920, vol. 29, pp. 38-44, in particolare pp. 42-44. Si veda poi V. Cian, Caterina Sforza, in Rivista storica italiana, X (1893), 4, pp. 577-610; e la recensione alla monografia sforzesca di G.E. Saltini, in Archivio storico italiano, s. 5, 1894, vol. 14, pp. 389-416; C. Amadori, La Caterina Sforza del conte P. D. P., Forlì 1894; N. Malvezzi, P. D. P. storico, in Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna, s. 4, 1921, vol. 11, pp. 77-100; M. Pasolini, P. D. P., Ravenna 1969; A. Torre, P. D. P. storico della sua città, in Studi romagnoli, XXI (1970), pp. 509-614. Notizie e documenti sulla moglie in C. Gori, Crisalidi. Emancipazioniste liberali in età giolittiana, Milano 2003, ad indicem.