Vedi PASITELES dell'anno: 1963 - 1996
PASITELES (Πασιτέλης, Pasiteles)
Scultore, coroplasta e toreuta; nato in una città greca dell'Italia meridionale, contemporaneo di Pompeo Magno (nato nel 106 a, C.); cittadino romano in seguito alla Lex Plautia Papiria dell'89 a. C. È incerto se e per quanto tempo egli fosse ancora attivo nella seconda metà del I sec. a. C.
P. occupa un posto particolare fra gli scultori dell'età repubblicana per due motivi: 1) perché oltre ad essere artista egli fu anche scrittore; 2) perché di uno dei suoi scolari e di uno scolaro di quest'ultimo si conserva rispettivamente una opera originale.
Plinio ci informa (Nat. hist., xxxvi, 39-40) che P. avrebbe scritto cinque libri su opere d'arte famose in tutto il mondo (quinque volumina nobilium operum in toto orbe), opera forse scritta in lingua greca. È presumibile che essa abbia influito, sia pure indirettamente, ancora per lungo tempo sul gusto degli amatori d'arte. Ad essa risale il concetto di opus nobile, come quello di una statua che, nell'età successiva, fosse ritenuta degna di copia. I cinque libri consistevano probabilmente in liste redatte secondo il criterio topografico e corredate qua e là di commento, e furono certamente lette con passione da artisti e da scrittori di cose d'arte. Purtroppo di esse e delle opere plastiche di P. ci è rimasto poco. Queste ultime, a dire di Plinio, sarebbero state numerose, ma la sua fonte, Marco Terenzio Varrone, non le avrebbe enumerate singolarmente. Egli ci tramanda inoltre dalla medesima fonte, che P. avrebbe indicato la coroplastica quale madre della plastica in argento, bronzo e marmo e che egli non avrebbe creato alcuna opera senza prima eseguirne un modello. Questo sistema di lavoro è caratteristico per il tardo ellenismo ed anche per la patria italica di P. in generale, ma soprattutto per la personalità artistica dello stesso Pasiteles. Plinio (Nat. hist., xxxvi, 40) ci riferisce che P. sarebbe stato quasi ucciso da una pantera mentre egli copiava un leone che si trovava nella gabbia. Noi possiamo dunque intuire due elementi fondamentali nel suo stile: 1) un reale interesse storico, documentato anche nella sua operosità di scrittore; 2) un vivo e proficuo studio della natura. Varrone riteneva P. un maestro nelle figure di marmo, di terracotta e di metallo. Che egli lavorasse anche l'avorio e l'oro dimostra la sua statua di Giove nel tempio di Metello sul Campo Marzio, statua che è l'unica ricordataci dalla tradizione che gli si possa attribuire con sicurezza. Essa non era però la vera statua di culto di questo tempio, la quale fu eseguita da altri artisti poco dopo il 149 a. C. Una seconda opera di P. di cui ci parla Cicerone (De div., I, 79) rappresentava l'attore Q. Roscio Gallo (morto nel 62 a. C.) ancora bambino avvolto durante il sonno nelle spire di un serpente. Si trattava però forse, in questo caso, di un rilievo in argento.
Non è forse consigliabile volersi fare un'idea della maniera artistica di P. dallo stile del suo allievo Stephanos e dell'allievo di costui Menelaos, artisti dei quali si conserva rispettivamente un'opera firmata. Il primo è un copista eclettico, il secondo un epigono sentimentale. Con maggiore probabilità si può ammettere che, con P. e per opera sua, un elemento italiota sia stato introdotto nell'arte della città di Roma, elemento che ebbe una grande influenza nella determinazione dello stile del cosiddetto classicismo augusteo. Infatti, accanto all'arte attica dell'ellenismo quella italiota influì evidentemente sull'arte romana dell'età imperiale con maggior vigore che non quella pergamena, alessandrina o rodia.
Bibl.: G. Lippold, in Pauly-Wissowa, XVIII, 1949, c. 2087, s. v.; S. Ferri, Plinio il Vecchio, Roma 1946, p. 15; M. Borda, Pasiteles, Bari 1953.