Pasażerka
(Polonia 1961-63, 1963, La passeggera, bianco e nero, 60m); regia: Andrzej Munk (completata da Witold Lesiewicz); commento: Wiktor Woroszylski; produzione: Wilhelm Hollender per Kamera/WFF w Łódźi; soggetto: dal radiodramma Pasażerka z kabiny 45 di Zofia Posmysz-Piasecka; sceneggiatura: Zofia Posmysz-Piasecka, Andrzej Munk, Andrzej Brzozowski, Jerzy Andrzejewski; fotografia: Krzysztof Winiewicz; montaggio: Zofia Dwornik; scenografia: Tadeusz Wybult; costumi: Wiesława Chajkowska; musica: Tadeusz Baird.
Una coppia di tedeschi è in viaggio su un transatlantico che si appresta a varcare l'oceano. Lui, Walter, un borghese di mezza età, è emigrato da tempo negli Stati Uniti. Lei, Liza, più giovane, è arrivata in America dopo la fine della guerra. Durante la sosta in un porto inglese sale sulla nave una passeggera che risveglia nella donna i fantasmi di un recente passato. Liza crede infatti di riconoscere nella nuova venuta Marta una prigioniera di Auschwitz-Birkenau, il campo di sterminio in cui lei, militando allora nelle SS, aveva il ruolo di sorvegliante. In un coacervo di sentimenti in cui il rimorso si mescola alla falsa coscienza, racconta all'ignaro marito una versione edulcorata dei fatti, con cui cerca di giustificarsi e di sbarazzarsi del fardello delle sue responsabilità: in realtà, l'algida Liza si era adoperata sadicamente a spezzare la dignità di Marta, giocando sul potere aggiunto che le attribuiva la presenza nel lager di Tadeusz, il fidanzato della ragazza. Poi, senza che le due donne si siano mai incontrate, la passeggera scende dalla nave.
Il 20 settembre 1961 moriva in un incidente stradale, a quarant'anni non ancora compiuti, Andrzej Munk, uno dei nomi di primo piano della cosiddetta scuola polacca, autore di lungometraggi come Człowiek na torze (Un uomo sui binari, 1956), Eroica (1957) e Zezowate szczęście (La fortuna strabica, 1959) in cui, mescolando lucidamente tragedia, commedia e farsa, aveva offerto un'interpretazione della storia polacca in qualche modo complementare rispetto all'epos romantico e barocco di Andrzej Wajda. Il regista era in viaggio tra Varsavia e Łódź, dove stava lavorando alle riprese di Pasażerka. Il film è dunque rimasto incompiuto e la versione oggi esistente è frutto della devota ricostruzione di un gruppo di amici cineasti sotto la direzione di Witold Lesiewicz, con un commento esplicativo over di Wictor Woroszylski letto dal celebre attore Tadeusz Łomnicki. Presentata a Varsavia nel secondo anniversario della morte di Munk, quest'opera di lancinante impatto emotivo si apre con una serie di istantanee del regista, a passeggio in una piazza della capitale o sul set, procedendo poi, secondo le indicazioni della sceneggiatura cofirmata dall'autrice del radiodramma di partenza, Zofia Posmysz-Piasecka, su due piani temporali paralleli, alternati da un montaggio fluido, che li fa costantemente interagire. Ma se l'azione nel lager ha una sua compiutezza narrativa, quella sulla nave è forzatamente ricostruita attraverso una serie di immagini statiche, un po' come in Bežin lug (Il prato di Bežin, 1935-37) di Ejzenštejn, in accoppiata con il quale il film conobbe a suo tempo un'effimera distribuzione in Italia.
Questa scelta obbligata finisce per ispessire il diaframma tra passato e presente, il suo magma inestricabile di ambiguità, rendendo ancor più perspicua la giustapposizione tra la 'banalità' della lattiginosa catena di montaggio della morte ad Auschwitz, mostrata nella quotidianità impiegatizia di ambienti, oggetti, corpi, gesti, e la distaccata ed elegante provvisorietà della vita sulla lussuosa nave che, come sottolinea la voce fuori campo, è un'isola nel tempo, e in cui ogni passeggero è a sua volta un'isola. Da un lato, dunque, psicologia e geometria dell'annientamento portate ai livelli stilistici più alti, di cui ha fatto certamente tesoro, per esempio, lo Jancsó di Szegénylegények (I disperati di Sandor, 1964), con la relazione tra dominatore e succube che si colora di neppure troppo latenti ambiguità sessuali (Liza, la cui anaffettività è leggibile in una sfumata sintomatologia, è attratta e respinta da Marta, della quale invidia la pienezza umana, anche nel suo darsi all'amato, che rie-sce a conservare intatta nell'orrore). Dall'altro, il trauma del sopravvissuto che, vittima o carnefice, deve comunque giustificare, agli altri ma soprattutto a sé stesso, la propria sopravvivenza, facendo i conti con sensi di colpa e recuperi autogiustificatori. Sorta di Nike di Samotracia dell'Olocausto, sul quale rimane il film "più bello e insostenibile" (R. Bellour), Pasażerka deve probabilmente la propria forza anche a questa miracolosa incompiutezza, e al sentimento di sospensione e spiazzamento che ne deriva. Se infatti le immagini del campo di sterminio sono, assieme a quelle 'documentarie' di Nuit et brouillard di Resnais, quanto di più sobriamente atroce il cinema ci ha tramandato in materia, la fissità delle immagini 'contemporanee', relazionandosi in maniera sotterranea con le prime, sembra rivolgersi alle profondità dell'inconscio, toccando il nervo scoperto di false coscienze ancora non sopite.
Interpreti e personaggi: Aleksandra Šląska (Liza), Anna Ciepielewska (Marta), Marek Walczewski (Tadeusz), Jan Kreczmar (Walter), Irena Malkiewicz (ispettrice del lager), Maria Kościałkowska (Inga), Leon Pietraszkiewicz (comandante del lager), Janusz Bylczyński, Anna Jaraczówna (kapò), Jerzy Skolimowski (SS), Kazimierz Rudzki, Bogusław Sochnacki, Krzesislawa Dubielówna, Barbara Horowianka, Andrzej Krasicki, Zbigniev Szymborski, Barbara Wałkówna, Elżbieta Czyżewska, Maria Ciesielska, Tadeusz Łomnicki (voce narrante).
G. Sadoul, Un chef d'oeuvre inachevé, in "Les Lettres françaises", n. 1029, 14 mai 1964.
M. Estève, 'Pasażerka' (La passagère), ou l'univers de l'enfer concentrationnaire, in "Études cinématographiques", n. 45, 1965.
E. Bruno, 'La passeggera' di Andrzej Munk, in "Filmcritica", n. 153, gennaio 1965.
R. Bellour, Le regard de Munk, in "Nouvelle Revue Française", 1 mai 1965.
S. Raffaelli, La passeggera, in "Cineforum", n. 62, gennaio-febbraio 1967.
M. Lagny, L'acte de 'non-voir', in "Filmcritica", n. 430, dicembre 1992.
Il cinema di Andrzej Munk, a cura di M. Furdal, S.G. Germani, Milano 2001.
Sceneggiatura: in "L'avant-scène du cinéma", n. 47, 1 avril 1965.