PASARGADAE
. La prima capitale dell'impero propriamente persiano fondato dagli Achemenidi nelle zone sud-occidentali dell'altipiano iranico; essa deve il proprio nome (Πασαργάδαι) alla tribù dei Pasargadi, "la più nobile tribù dei Persiani" secondo Erodoto (I, 125), che aveva sede appunto nella valle del Medo, odierno Pulvar. L'identità di Pasargadae con l'antica città le cui rovine sono visibili nel Fārs a circa 50 km. a nord-est di Persepoli, nella località chiamata oggi Mashhad-i Murghāb o Mashhad-i Mādar-i Sulaimān è assolutamente fuori dubbio. Pasargadae fu fondata dagli Achemenidi quando, in seguito alla distruzione del loro regno elamita ad opera degli Assiri (640 a. C.), essi e le loro tribù si fissarono stabilmente nella parte occidentale della Perside (la regione ebbe da essi il nome) contigua all'Elam. La sua posizione sull'altipiano a 1900 m. s. m., protetta a nord dalle catene delle montagne che muovono in senso sud e sud-est, richiama quella di Ecbatana, la capitale dei Medi, sita al centro di un vasto altipiano circondato da alte montagne. Pasargadae non fu una città fortificata e cinta da mura, ma uno stanziamento di popolazioni nomadi che si crearono sedi stabili accanto al nucleo dei palazzi reali. Essa fu costruita, com'è possibile desumere da varî dati (vedi sotto), da Ciro il Grande negli anni fra il 559 e il 550 a. C. E anche quando da Dario in poi Persepoli diventò la reggia degli Achemenidi, essa rimase sempre per così dire la città dinastica della regalità, poichè ivi i re prendevano la loro investitura indossando la veste di Ciro il Grande e partecipando al banchetto rituale. Inoltre, prova dell'attaccamento degli Achemenidi alla loro prima capitale è la consuetudine che essi si tramandarono di donare una moneta d'oro a ogni donna di Pasargadae che si recasse a Persepoli.
Alessandro Magno, proveniente dalla Carmania, si spinse prima a Pasargadae (Arrian., Anab., VI, 28, 7 e 29,1). Ma la città non subì la sorte che doveva toccare a Persepoli, poiché gli scavi provano che essa crollò per abbandono e non per incendio.
La prima notizia delle rovine di Pasargadae fu stata in Occidente data alla fine del secolo XV da Giosafà Barbaro, ambasciatore di Venezia presso Uzūn Ḥasan, principe degli Aq-Qoyūnlū. Scavi sistematici nel vasto dominio delle rovine sono stati fatti solo in epoca recentissima ad opera di E. Herzfeld; i risultati illuminano abbastanza la struttura topografica e architettonica dell'antica città.
La città vera e propria giaceva a nord in una zona dove si trovano frammisti al terreno in grande quantità frammenti di mattoni tipici delle costruzioni achemenidi, ma in questa zona non sono stati sinora eseguiti scavi. A circa 2 km. a sud vi sono le rovine di un tempio e di alcuni grandi edifici. A sud di queste, pure alla distanza di circa 2 km., si trova la zona dei palazzi reali. Infine ancora a sud lungo l'antica via che movendo da Murghāb s'inoltra nel passo di Tang-i bulāqī verso Persepoli, sorge la tomba di Ciro il Grande.
Il tempio, che è l'unico che si conosca dell'età achemenide, è costituito da un'ampia costruzione a gradini di circa mq. 72 × 40 e alta sei metri. Il lato lungo dà su un cortile rettangolare con cui assai probabilmente comunicava con brevi scalinate; in questo lato sono conservati due altari. Sei gradini costituiscono il tempio; i tre inferiori sovrapposti e di dimensioni digradanti sono uguali per profilo e per costruzione (rettangolari e costituiti da mura a secco con riempimento di breccia); sul piano del terzo gradino vi sono giustapposti tre gradini in mattoni, il centrale dei quali è più elevato. È probabile che su quest'ultimo vi sia stata, secondo le ipotesi del Herzfeld, una cella in materiale non durevole.
La zona dei palazzi, protetta a nord da una torre sulla collina naturale, dev'essere stata circondata da un muro quadrangolare per quanto nel lato sud non ne sia stata trovata traccia. L'edificio d'ingresso si trovava nell'angolo SE., e nel passato ai suoi ruderi veniva dato il nome di "palazzo dell'altorilievo" a motivo dei grandi pilastri della porta sui quali è scolpito un genio alato con abbigliamento elamita. Si credette erroneamente che questa figura fosse quella di Ciro, poiché nella parte superiore vi era un'iscrizione, ora perduta, "Io, Ciro l'Achemenide"; questa iscrizione si riferiva invece a tutto l'edificio. Il palazzo d'ingresso era costituito da un grande ambiente rettangolare il cui tetto era sostenuto da due file di quattro colonne. Nei lati brevi vi erano porte principali custodite da tori alati; nei lati lunghi vi erano porte secondarie che mettevano in piccoli ambienti; la scultura col genio appartiene appunto alla porta settentrionale.
Il palazzo d'udienza, a circa 200 metri a NO., era costituito da una grande sala quadrata centrale, con una fila di 4 colonne e una porta nel mezzo di ogni lato, la quale sovrasta gli edifici laterali. Davanti ai lati est, ovest, sud vi erano ampî vestiboli aperti con doppia fila di colonne e ambienti chiusi agli angoli. Nel lato posteriore a N. vi era per tutta la lunghezza una corte aperta fra due pilastri. Verso N., a circa m. 350, dopo un altro edificio ancora non esplorato, vi è il palazzo d'abitazione del quale prima degli scavi non era visibile se non un solo pilastro, e perciò sul luogo il rudero era chiamato mīl-i tak. È un palazzo di tipo sinora non noto. Nella parte anteriore si apriva fra due pilastri (il meridionale dei quali è quello rimasto in piedi) un vestibolo sorretto da due file di colonne alte sei metri. Una porta dal vestíbolo portava in una sala centrale rettangolare il cui tetto era sorretto da sei file di cinque colonne. Le basi delle colonne erano costituite da due blocchi cubici di marmo, l'inferiore striato di bianco e nero, il superiore nero. La colonna aveva alla base un toro scanalato orizzontalmente. Non è stato rinvenuto alcun capitello. A nord e a sud della sala centrale si aveva un gruppo di piccoli edifici con mura e pilastri di mattoni; nel lato posteriore un altro vestibolo aperto con due piccole camere alle estremità.
La porta anteriore e la posteriore nel piano interno dei pilastri ripetono la stessa figura, il re seguito da un servitore. Purtroppo sono conservate soltanto le parti inferiori sino all'anca; ma lo stile delle figure più arcaico di quello di Persepoli e una breve iscrizione che è incisa sulla piega della veste "Ciro il gran re, l'Achemenide" sono elementi importanti sia per l'identificazione dei ruderi con quelli dell'antica Pasargadae, sia per stabilire l'epoca della costruzione. Infatti il titolo di "gran re" è prova che si tratta di Ciro il Grande e non di Ciro minore che non fu mai re; la mancanza di titoli babilonesi, d'altra parte, pone l'iscrizione anteriormente alla conquista di Babilonia.
La prova decisiva dell'identità delle rovine di Mashhad-i Murghāb con Pasargadae si ha nella perfetta concordanza dell'edificio sepolcrale ivi esistente, chiamato ora "trono della madre di Salomone", con la tomba di Ciro descritta dal greco Aristobulo che fu al seguito di Alessandro Magno (Strab., Geogr., XV, 5, 7; Arrian., Anab., VI, 29, i). Quel che rimane è un edificio a gradini di grandi pietre squadrate sovrastato da una cella col tetto a spioventi, dell'altezza complessiva di 11 metri. Secondo la descrizione di Aristobulo la tomba era circondata da un recinto, dentro il quale vi erano altri edifici; il recinto che è ora visibile è invece di origine medievale. Dentro la cella alla quale si accede per una piccola porta, secondo la descrizione di Aristobulo, vi era una bara d'oro sulla quale era posto il cadavere, un tavolo con recipiente per bere, un'arca d'oro (πύελος), molte vesti e ornamenti. Alessandro fece aprire la tomba, ma durante la sua dimora in India essa venne violata e saccheggiata dai magi preposti alla sua custodia. Oggi dentro la cella vuota è tesa in un angolo una corda alla quale sono attaccati anelli d'argento, campane di bestiame e altri oggetti di nessun valore. Sono le offerte dei pastori che durante le migrazioni annuali hanno per rito di far girare il bestiame per tre volte intorno all'edificio e di spalmare i gradini delle tombe di latte acido (māst).
L'importanza di Pasargadae nella storia dell'arte persiana è notevolissima, perché rappresenta una fase di transizione fra l'arte arcaica dei Medi e quella più matura di Persepoli.
Bibl.:E. Herzfeld, in Klio, 1908, p. 168 segg.; id., in Archaeologische Mitteilungen aus Iran, I (1929), p. 4 segg.