partito-ditta
loc. s.le m. Partito politico contraddistinto dalla presenza di un protagonista capace di far convergere attorno a sé il consenso delle diverse componenti.
• Tra il partito-ditta di [Pier Luigi] Bersani e il partito-azienda di [Silvio] Berlusconi compare un nuovo soggetto: il partito-agenda di [Mario] Monti. (Mario Sechi, Tempo, 24 dicembre 2012, p. 1, Prima pagina) • Inutile il rimpianto per il vecchio «partito-ditta», ideologico e di massa, in cui un forte cemento identitario rendeva più difficile uno scollamento tra nazionale e locale. E vana è la fiducia in un partito personale, come l’ha chiamato il professor Mauro Calise: viene un momento in cui il potere carismatico del fondatore si erode e, se non è sostituito da regole interiorizzate, un esito di scollamento è inevitabile. (Michele Salvati, Corriere della sera, 9 giugno 2015, p. 30, Analisi & commenti) • Del partito, che nella corsa alla segretaria dovrebbe essere l’oggetto del contendere, non tanto come conquistarlo, ma come ri-organizzarlo, non ha parlato nessuno. È stata una mancanza preoccupante in un’assemblea di uomini e donne di partito che al partito-ditta di [Pier Luigi] Bersani e ai voti da lui ottenuti nel febbraio 2013 sono debitori delle loro cariche, del loro potere, delle loro carriere in atto e future. (Gianfranco Pasquino, Piccolo, 14 marzo 2017, p. 15).
- Composto dal s. m. partito e dal s. f. ditta.
- Già attestato nella Repubblica del 7 luglio 1994, p. 31 (Ugo Volli).