PARTI
. Processo civile. - Il determinare chi è parte e chi è terzo rispetto a un giudizio civile è spesso decisivo per la soluzione di numerose questioni, come quelle concernenti la capacità di agire in giudizio, la prestazione di cauzioni, il diritto di intervenire in causa, l'interruzione del procedimento, la concessione del gratuito patrocinio, la condanna nelle spese giudiziali, la cosa giudicata.
La legge processuale italiana non definisce il concetto, ma usa la parola "parte", adoperata nel codice di procedura civile (in 275 articoli) e nelle altre leggi processuali, per lo più senz'altra indicazione, ma talvolta con qualificazioni varie: parte contraria o controparte; parte istante, ricorrente, attrice; e, in contrapposto, parte citata o condannata. Per indicare la posizione delle parti in giudizio si usano le espressioni: attore, o istante, appellante, ricorrente, opponente, in contrapposto a convenuto, ovvero citato, appellato (art. 267 reg. gen. giud. 14 dicembre 1865, n. 2641). Nel processo esecutivo si trovano anche largamente usate le voci: creditore (anche creditore istante, opponente o interveniente) in contrapposto a debitore. Anche per i procedimenti di giurisdizione volontaria, di conciliazione e davanti agli arbitri troviamo usata la parola parte. Con questa parola la legge designa chi agisce in giudizio senza riferirsi alla fondatezza delle sue domande né alla legittimazione ad agire. La parola "legittimazione", anzi, sino a disposizioni legislative recenti, era sconosciuta alla nostra legge processuale, benché non le fosse estraneo il concetto (es., articoli 104, 108 cod. civ.; articoli 647, 699 cod. proc. civ.).
Il concetto di parte non si può derivare dalla terminologia della legge, che non offre alcuna base sicura, ma dalla considerazione della struttura del processo civile. Il processo civile italiano è dominato dal principio dispositivo e dall'impulso di parte; è un processo di parti, cioè concede, e rispettivamente impone, a soggetti del processo, distinti dall'organo giurisdizionale, facoltà di agire nel processo e oneri processuali; pertanto i titolari di tali diritti e oneri sono determinati in base a concetti esclusivamente processuali. È da respingere la teoria (oramai raramente seguita) che considerava parti del processo le parti del rapporto sostanziale oggetto della lite, e che portava a dover distinguere (ad es., il Wach) tra parti formali e parti sostanziali, mentre il concetto di parte è unico ed è solo processuale.
Successivamente la dottrina ha costruito il concetto di parte in base alla legittimazione ad agire, identificando i due concetti e definendo la parte come colui che ha facoltà di dedurre in giudizio e quegli contro cui può esser dedotto in giudizio un rapporto giuridico. Ma anche questa costruzione è da respingere. La questione della legittimazione ad agire si può porre solo rispetto ai soggetti che sono già parti in giudizio: solo di chi è parte si può discutere se sia legittimato o meno; la qualità di parte costituisce un a priori per la questione della legittimazione ad agire e deve essere quindi affermata o negata indipendentemente da quest'ultima. È parte perciò chi ha attribuiti dalla legge processuale diritti e oneri processuali. Questi vengono concessi o, rispettivamente, imposti in dipendenza di determinati fatti giuridici: a) la domanda giudiziale, la quale determina le parti nelle persone di chi propone la domanda e di quegli verso cui la domanda è proposta; tra le stesse persone si propongono anche le domande di accertamento incidentale e la riconvenzione; b) la successione nel ruolo di parte, il che avviene o ipso iure nel caso di successione universale (tra persone fisiche o giuridiche) o in forza di accordo in caso di successione particolare, pendente lite, nel rapporto oggetto della controversia; o per la estromissione di una parte (es., art. 1582 cod. civ.; articoli 198, 575, 661 cod. proc. civ.); c) l'ingresso di nuove parti in un processo pendente, sia nella fase di cognizione (chiamata in causa, intervento volontario o coatto) sia nella fase di esecuzione.
Parte è naturalmente chi agisce nel processo in proprio nome nel caso di rappresentanza, parte è, perciò, il rappresentato, e ciò tanto nel caso di rappresentanza volontaria che nel caso di rappresentanza legale di persone incapaci o di persone giuridiche. A far acquistare la qualità di parte ai rappresentanti legali non vale il fatto che essi abbiano talune facoltà (rispondere a un interrogatorio, prestare giuramento) che non hanno i rappresentanti volontarî.
Il concetto di parte non ammette gradazioni, non dandosi altra alternativa rispetto a un rapporto che esser parti o terzi: non è pertanto ammissibile il concetto che vi siano soggetti che hanno facoltà e oneri processuali come le parti, senza esser tali (quasi parti). Il concetto di parte è unico e non si può distinguere tra parte formale e sostanziale, nel senso di riconoscere una categoria di parti sostanziali, costituita dai soggetti del rapporto sostanziale (soggetti della lite), in confronto a una categoria di parti formali costituita dai rappresentanti legali, institori, sostituti processuali, pubblico ministero. L'eterogeneità di questa seconda categoria è manifesta e la distinzione, oltre ad urtare contro i principî del processo di parti, non spiega perché gli effetti giuridici derivanti dalla qualità di parte colpiscano talune delle cosiddette parti formali e non altre (p. es., rappresentanti), mentre non colpiscono mai le parti sostanziali, che non siano parti secondo il concetto qui esposto.
Quando chi agisce materialmente nel processo non è il soggetto del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, possiamo trovarci di fronte o a un caso di rappresentanza legale o volontaria, o a un agire in proprio nome su rapporti giuridici altrui. Questi ultimi casi sono stati raccolti sotto il concetto di "sostituzione processuale", figura che corrisponde alla facoltà di disporre di un diritto altrui nel campo dei rapporti sostanziali. Il sostituto processuale agisce in proprio nome, è parte in causa. Questi casi si riconducono a due gruppi di norme: di natura processuale (come quelle regolanti la successione a titolo particolare pendente lite; l'azione popolare suppletiva [articoli 82, 83 legge 17 luglio 1890, n. 6972]; l'azione di nullità del matrimonio, spettante agli ascendenti); o di natura sostanziale (come il caso del marito che agisce nelle liti sui beni dotali o in comunione; la surrogatoria, ecc.). La caratteristica della sostituzione processuale consisterebbe nell'agire con effetti riguardo al diritto sostanziale altrui, e quindi nell'estensione del giudicato verso il soggetto di questo diritto (sostituito). È invece l'esistenza di questa caratteristica che si deve escludere, poiché in taluni casi manca l'estensione del giudicato al sostituito; in altri l'efficacia sui rapporti giuridici del sostituito deriva dalla necessaria presenza in causa del sostituito stesso. Perciò i casi riuniti in questa categoria (e che non siano da ricondurre alla rappresentanza) si spiegano con il concetto di "legittimazione ad agire", che spetta non solo ai soggetti del rapporto sostanziale dedotto in lite, ma anche a terzi (e contro terzi) estranei a quel rapporto, ma soggetti di rapporti giuridici connessi o dipendenti da quello in lite. Si spiega come in questi e altri casi (es., usufrutto e pegno su crediti) terzi estranei al rapporto materiale siano titolari dell'interesse ad agire, o coloro contro i quali tale interesse deve esser tutelato (legittimati attivamente o passivamente) nei giudizî rispetto a quel rapporto.
Il processo di parti è un rapporto giuridico in cui le parti si contrappongono in due ruoli, di attore e convenuto; la riunione, in unica persona, del ruolo di attore e convenuto, porta normalmente all'estinzione del processo. Invece nel processo inquisitorio può mancare una delle parti. Possono esservi più attori o convenuti (litisconsorzio); la loro presenza può essere facoltativa o imposta dalla legge processuale (litisconsorzio volontario e necessario); di litisconsorzio necessario si parla anche quando la domanda, potendo esser proposta da un solo, dev'essere decisa con unica sentenza se proposta contemporaneamente da più (es., articoli 163, 215 cod. comm.). Nel processo con litisconsorzio (sia volontario, sia necessario) si ha il cumulo di tanti rapporti processuali distinti quante sono le parti contrapposte; solo quando oggetto del giudizio sia un rapporto materiale unico rispetto a più, abbiamo veramente l'esistenza di un rapporto processuale unico con più attori e convenuti. Il litisconsorzio può aver origine dalla domanda giudiziale, o esser sopravvenuto (per successione nel ruolo di parte, intervento).
Capacità di esser parte e capacità giuridica coincidono. Possono esser parte tutte le persone fisiche o giuridiche (anche il nascituro, quando è capace di diritto); possono esser parte anche quelle masse patrimoniali, come l'eredità giacente, che hanno un'amministrazione autonoma, in quanto non ne è determinato il titolare attuale. Le unioni di persone senza personalità giuridica non sono parti, ma lo sono i singoli componenti l'unione, anche se rappresentati in giudizio da una sola persona. Parti sono le persone realmente esistenti, anche se appariscano in giudizio sotto altro nome (ditta commerciale) o sotto uno pseudonimo; eccezionalmente il processo può svolgersi in confronto di una parte fittizia (ad es., l'intestatario catastale, anche se non corrisponde ad alcuna persona esistente, nell'espropriazione per debiti d'imposta fondiaria: art. 43 cap. 2 e 3 testo unico 17 ottobre 1922, n. 1401). La parte può non aver capacità di agire personalmente in giudizio, e tale incapacità si regola normalmente secondo le norme sulla capacità di agire nel diritto materiale. La parte può essere totalmente o parzialmente incapace dando luogo, rispettivamente, alle figure della rappresentanza legale e dell'assistenza in giudizio. Data la presenza nel giudizio dell'organo pubblico, il bisogno di tutela dell'incapace è meno sentito che nel diritto materiale, e perciò talvolta l'incapace secondo il diritto sostanziale ha capacità processuale.
Non vi è incapacità nei casi in cui la facoltà di disporre della persona è limitata da provvedimenti cautelari, come il sequestro, o da fallimento. Nel sequestro abbiamo la figura di un mandatario necessario che sta in lite nel nome altrui; nel fallimento abbiamo un caso particolare di processo inquisitorio.
Le parti, o i loro rappresentanti, non sempre hanno la capacità di compiere personalmente gli atti processuali, ma nel processo davanti a taluni giudici devono farsi rappresentare o assistere da professionisti (avvocati, procuratori, patrocinatori legali): v. avvocatura; procuratori e avvocati.
Processo penale. - Concetti analoghi valgono per il processo penale. La legge penale non definisce, ma presuppone il concetto di parte: la parola "parte" è usata per indicare in genere tutti i soggetti diversi dal giudice (ma compreso il pubblico ministero), che agiscono nel processo penale. Talora "parte" (e sempre "parte privata") viene usata in contrapposto a "pubblico ministero".
Per designare le varie posizioni che le parti assumono nel giudizio penale si trovano usate le locuzioni: imputato (querelato, arrestato, condannato); responsabile civile; persona obbligata per l'ammenda; parte civile. Parti sono i soggetti che hanno facoltà e obblighi processuali, che convergono nel risultato di sustanziare l'obbligo del giudice di giudicare. Perciò vi sono parti non solo nella fase di cognizione ma anche nella fase istruttoria del processo, quando questa è affidata a un organo giurisdizionale.
La qualità di parte nel singolo processo discende da determinati fatti processuali: per l'imputato e il pubblico ministero, nell'istruttoria formale, dalla richiesta di procedimento fatta dal pubblico ministero (art. 296 cod. proc. pen.) o dalla presentazione spontanea al magistrato istruttore della persona contro cui sta per aprirsi un procedimento (art. 250 cod. proc. pen.); nell'istruttoria sommaria, dalla richiesta di proscioglimento o di citazione a giudizio dell'imputato (articoli 395-96 cod. proc. pen.) o dall'atto con cui l'istruttoria sommaria è trasformata in formale (art. 392 cod. proc. pen.).
La parte civile acquista la qualità di parte con la costituzione di parte civile (art. 91 cod. proc. pen.); il responsabile civile diventa parte in seguito alla citazione su istanza della parte civile, o a intervento volontario nel procedimento penale (articoli 107, 112 cod. proc. pen.): il responsabile civile per l'ammenda, in seguito alla citazione su istanza del pubblico ministero nell'istruttoria o nel dibattimento, o all'intervento volontario (art. 122 cod. proc. pen.).
Il processo penale, per quanto fondato sul principio dell'officialità, è un processo con almeno due parti: l'accusatore, costituito da un organo dello stato (pubblico ministero che è parte e non giudice), e l'accusato. Si possono avere più imputati, dando luogo alle figure di litisconsorzio e cumulo di processi. Accidentalmente possono inserirsi nel processo penale la parte civile, il responsabile civile, il responsabile civile per l'ammenda, ma si tratta non di parti accessorie del processo penale, bensì di casi di cumulo di un rapporto processuale civile con un rapporto processuale penale, in ragione della connessione dei due rapporti. La connessione di tali processi implica una subordinazione del giudizio civile al penale; perciò talvolta le parti del primo giudizio hanno facoltà meno ampie delle parti del processo penale, ma non possono considerarsi come quasi parti di quest'ultimo processo.
Parte (come imputato) può essere solo una persona fisica esistente: il processo può esser condotto anche contro persone non identificate, ma la cui identità fisica con l'autore del fatto imputato sia certa. Eccezionalmente il processo è condotto nei confronti di persona defunta (articoli 152 e 421, 556 e 564 cod. proc. pen.).
Capacità di esser parte hanno quindi tutte le persone fisiche, ad eccezione di quelle che per norma costituzionale (art. 4 Stat.) o internazionale godano dell'immunità penale assoluta. Il processo penale può però svolgersi contro persone assolutamente o relativamente incapaci per il diritto penale materiale, né la loro capacità deve essere integrata da rappresentanti legali o assistenti.
Nei singoli processi, la funzione di pubblico ministero è esercitata da funzionarî dell'ufficio del pubblico ministero (v.), o, eccezionalmente avanti le preture, da magistrati o altre persone che la legge reputa idonee (art. 80 r. decr. legge 30 dicembre 1923, n. 2786). Le parti compariscono nel giudizio di regola personalmente; la rappresentanza è consentita in casi determinati (articoli 125, 497 cod. proc. pen.), in altri è obbligatoria (cassazione: art. 536 cod. proc. pen.). Nel processo condotto nei confronti di imputato defunto, agisce talora un curatore speciale (art. 564 cod. proc. pen.: revisione).
La legge dà facoltà a talune persone (avvocato, congiunti) di agire in rappresentanza dell'imputato per proporre mezzi d' impugnativa (articoli 192, 193, 556, 564 cod. proc. pen.): l'interesse sociale ad evitare una condanna irreparabile fa prevalere la volontà di impugnare del rappresentante su quella contraria dell'imputato (art. 193 cod. proc. pen.).
Si deve escludere anche nel processo penale la figura della sostituzione processuale: anche nei casi di reati perseguibili a querela di parte, l'azione penale spetta allo stato, che la esercita a mezzo del pubblico ministero; la querela non fa che togliere un impedimento all'esercizio dell'azione. Le parti private non hanno capacità di postulare in giudizio, ma devono esser assistite da professionisti legali (procuratori, avvocati; v. avvocatura; procuratori e avvocati).
V. anche le voci dedicate alle più importanti "parti": p. es., parte civile; pubblico ministero.
Bibl.: Sulla parte nel processo civile, tra le opere generali si vedano in Italia: G. Chiovenda, Principi di diritto processuale civile, Napoli 1932, §§ 34, 35, 36, 88; id., Istituzioni di diritto processuale civile, Napoli 1933-34, I, nn. 39, 93; II, nn. 214, 215, 226-229; F. Carnelutti, Lezioni di diritto proc. civile, Padova 1933, II, nn. 102-110; IV, nn. 288-290, 295 bis, 306; per le letterature straniere: A. Wach, Handbuch d. dt. Civilprozessrechts, Lipsia 1885, I, §§ 46-48; J. W. Planck, Lehrbuch d. dt. Civilprozessrechts, Nordlingen 1887, I, §§ 42-46; K. Hellwig, Lehrbuch d. dt. Zivilprozessrechts, Lipsia 1907, II, §§ 111-118; L. Rosenberg, Lehrbuch d. dt. Zivilprozessrechts, Lipsia 1907, II, §§ 111-118; L. Rosenberg, Lehrbuch d. dt. Zivilprozessrechts, 3ª ed., Berlino 1931, §§ 38-44; A. Skedl, Das österreich. Civilprozessrecht, Lipsia 1900, I, §§ 13-17.
Per la letteratura speciale sugli argomenti trattati, amplissima, ci limitiamo a segnalare: G. Chiovenda, La condanna nelle spese, Torino 1900, p. 191 segg.; G. Galgano, Sulla dottrina della sostituzione processuale, Napoli 1911; E. Redenti, Il giudizio civile con pluralità di parti, Milano 1911, p. 89 segg.; F. D'Alessio, Le parti nel giudizio amministrativo, MIlano 1916; G. Salemi, Il concetto di parte e la pubblica amministrazione, Roma 1916; A. Segni, L'intervento adesivo, Roma 1920, pp. 109 segg., 135 segg., 176-177, 196 segg.; S. Costa, L'intervento coatto, Sassari 1934, pp. i segg., 33 segg.
Sulla parte nel processo penale v.: M. Angioini, La dottrina del rapporto giur. process. civile nella sua applicazione al processo penale, Cagliari 1913, p. 93 segg.; N. Levi, La parte civile, Torino 1925; V. Manzini, Istituzioni di diritto processuale penale, Torino 1931, II, capitoli 3 a 6; IV, nn. 470, 528; E. Massari, Il processo penale nella nuova legislazione italiana, Napoli 1934 nn. 23, 24, 52, 53, 110-131, 276, 291-298.