PARRUCCA (fr. perruque; sp. peluca; ted. Perrücke; ingl. wig)
Antichissimo è l'uso di aggiungere capelli finti per aumentare il volume della pettinatura; è quindi assai dilficile stabilire esattamente quando l'aggiunta parziale di riccioli e di trecce finte si sia trasformata in parrucca completa. Le più antiche parrucche giunte intatte sino a noi sono state trovate nelle tombe egizie: il Museo egiziano di Torino ne possiede il più antico esemplare: la splendida parrucca di Mrîje (XVIII dinastia), fatta in lana o in capelli molto grossi e nerissimi, con ondulazioni piccole e fitte terminate a treccioline. I Greci presero l'uso della parrucca dagli Egizî; in Italia lo importarono primamente i popoli Iapigi, stabilitisi nelle Puglie. Senofonte e Aristotele parlano di parrucche, l'uso delle quali doveva essere in Grecia comune tanto agli uomini che alle donne (περιϑετή πηνίκη); secondo Senofonte, anche i Persi, i Medî e i Lidî portavano parrucche. Presso i Romani, al principio dell'impero la parrucca fu di gran moda: crines significava, nell'uso generale, un ciuffo di capelli finti, treccia o ricciolo; capillamentum la parrucca completa, corymbium una grande e lussuosa parrucca femminile, cosparsa di polvere d'oro. Dall'età dei Flavî s'introduce a Roma la parrucca alta. Le donne delle classi elevate portavano, specie nel sec. IV, grandi parrucche bionde che raddoppiavano l'altezza del viso; i capelli biondi dei Germani erano molto ricercati per queste parrucche, e un gran mercato di capelli finti esisteva a Roma presso il circo Flaminio. La parrucca di tre colori diversi (bianco, nero e rosso) serviva nel teatro latino a significare le tre età della vita. La parrucca serviva anche come travestimento: Nerone, al dire di Svetonio, e Messalina, secondo Giovenale, mettevano la parrucca per esser liberi di girare la notte. Marziale parla di parrucche dipinte con sostanze profumate sul cranio dei calvi, e mentre Properzio impreca contro le donne imparruccate, Ovidio consiglia parrucche bionde. Nel sec. III i busti a parrucca mobile dimostrano la voga che aveva quest'ornamento, e Tertulliano ammonisce le cristiane ad abbandonare la parrucca; ma inutilmente, ché in una tomba cristiana a San Ciriaco fu trovata una parrucca di capelli castani; nei secoli IV e V le trecce finte (calendrium) e le parrucche trionfano ad onta delle ire di S. Gregorio Nazianzeno, di San Giovanni Crisostomo, di S. Girolamo e di S. Paolino; solo dopo il 692 la parrucca decade, proibita dal concilio di Costantinopoli.
Riappare di nuovo nel sec. XII: sono soltanto ciuffi e trecce di capelli finti, richiesti dalle acconciature medievali, piuttosto che vere parrucche, e, tranne alcune fonti poetiche, dal sec. XIV al sec. XV rari sono i documenti che ne parlano; alla fine del secolo XIII fra Iacopone impreca contro le "trecce accolte"; i "bruciamenti delle vanità", scoppiati nello stesso tempo in Francia e in Italia, fanno scempio di capelli finti e di parrucche, e per tutto il sec. XV in Italia il Savonarola e San Bernardino da Siena, in Francia il padre Thomas e più tardi il padre Maillard, predicano, più o meno inutilmente, contro le parrucche parziali o complete; intanto Isabella d'Este (1509) adotta la "capigliara", parrucca di capelli e di stoffe increspate, e in Francia, specie a corte, e in Inghilterra alla metà del sec. XVI, le dame portano parrucche bionde (moda questa d'origine italiana); queste parrucche erano fatte, oltre che di capelli, anche di filo, di lino, di seta o di lana, impolverate di ciprie e di profumi. Durante il regno di Enrico IV la parrucca parziale forma un edificio a punta sulla testa (coiffure à la cométe). In Francia verso il 1630 le donne abbandonano la parrucca per qualche tempo, pur rimanendo essa quasi obbligatoria per la caccia e il ballo (1640-1680). Nel 1620, quando il giovane Luigi XIII, divenuto calvo, adottò la parrucca, questo accessorio assunse un nuovo aspetto: artificiosa e complicata, costosa, pesante, antigienica, la parrucca dopo breve tempo fu adottata da tutti: suscitò nel mondo ecclesiastico un fervore di discussioni; proibita da alcuni papi, fu infine concessa al clero nel 1740. Parrucchieri celebri arrecarono, verso il 1680, essenziali modifiche alle parrucche, rendendole assai più leggiere di quelle portate sino allora. I capelli erano requisiti presso le contadine, ma gli avversarî di questo ornamento sostennero essere le parrucche confezionate con capelli di gente morta o giustiziata; non per questo il prezzo e la voga delle parrucche diminuirono: una parrucca "in folio" durante il regno di Luigi XIV (epoca che segnò l'apogeo di questa moda) costava fino a 1000 scudi. Le prime parrucche secentesche furono scure, poi si portarono bionde, grige e da ultimo bianche; ebbero nomi e forme diversissime: a criniera, da viaggio, "all'invidioso", ecc. I medici la portarono arrotolata dietro, i magistrati la vollero immensa. Verso la prima metà del Settecento, la parrucca decade in Francia; ripresa più tardi, viene incollata sul capo per mezzo di pomate adesive. La parrucca fu ritenuta causa di vertigini, d'emicranie e persino d'apoplessia; ciprie, pomate, colle, difficoltà di pettinare e di lavare questi edifici, favorivano l'annidarsi di microbî e di parassiti. Nel 1668, reduce dalla corte di Parigi, torna a Venezia il conte di Collalto portando per il primo una colossale parrucca; sorsero subito gli avversarî e gli entusiasti della nuova moda; la parrucca fu vietata ai magistrati della repubblica fino al 1702; il patrizio Erizzo disereda il figlio perché porta l'odiato copricapo; il patrizio Correr fonda una società di 250 soci impegnati a non adottar la parrucca; fu anche istituita una tassa sulle parrucche (1701), ma l'uso di questa, generale in tutta Italia (sec. XVIII), viene tipicamente ricordato da alcune produzioni letterarie dell'epoca. Nel 1750 un parrucchiere di Bologna inventa una parrucca di sottile filo d'acciaio, resistente alla pioggia. Il tempo enorme impiegato nella pettinatura a riccioli decise le donne a ritornare alla parrucca; dissimulata e piuttosto modesta dapprima, essa ridivenne, verso il 1750, grande e completa: si chiamò allora chignon in Francia e tignù in Italia; le donne, mal sopportando per lunghi periodi questa incomoda moda, l'abbandonarono, ma nel 1772 essa torna a trionfare con l'enorme edificio alla loge d'opéra; la parrucca ebbe sempre una grande varietà di nomi secondo le diverse fogge, fu incipriata in bianco, in grigio e in color biondo; soltanto nel 1723 le veneziane sacrificarono i proprî capelli per adottare la parrucca più o meno completa, per quanto già da tempo avessero adottato il parmcchino, parziale aiuto nei casi di calvizie; la parrucca veneziana fu in principio molto bassa, ma aumentò di anno in anno in altezza, volume e guarnizioni: la passionnée, l'Artois, la monte-en-ciel furono i nomi delle più alte; la testa è trasformata in giardino o in foresta: uccelli, penne, nastri, fiori, barchette, scimmie, ritratti, gioielli, amorini e legumi si annidano tra i capelli. Ogni fatto del giorno, dramma, libro, scoperta scientifica o avvenimento politico dà necessariamente il nome a una nuova parrucca; l'interno di questi edifici era imbottito di fil di ferro e di crine; vi furono parrucche meccaniche che si alzavano e si abbassavano per andare in carrozza e passare comodamente sotto le porte, altre avevano ombrellini che si aprivano e si chiudevano. Neanche la rivoluzione riuscì a demolire questa moda aristocratica, e per quanto molte donne in omaggio al nuovo regime tornassero ad acconciarsi con i proprî capelli, le parrucche sopravvissero e il direttorio ne segna il trionfo; Madame Tallien ne possedeva una ventina, con diversi toni di biondo. Nel 1796 le parrucche sposano lo stile neoclassico; sono nere di mattina e bionde di sera. Le donne che non si erano rasate mescolano i capelli veri con quelli finti. Verso il 1800 le parrucche non sarebbero più di moda, ma il cattivo stato dei capelli, oppressi per tanti anni, tagliati e tirati, impose di nuovo una parrucca chiamata cache-folie; nel 1805, con le pettinature alla greca, si ricorse ai capelli finti e nel 1825-1830 trecce e riccioli sono indispensabili alle complicate pettinature allora di moda. Dai primi dell'Ottocento la parrucca classica è scomparsa, ma per tutto il secolo capelli finti, a trecce, a tortiglioni, a ciuffi, seguono sempre il ritmo della moda. Torna la parrucca nel 1900 e rimane sino al 1912: ha cambiato nome: è diventata un postiche; ma un più razionale senso estetico, un più sano concetto dell'eleganza femminile relegano infine la parrucca e il postiche tra gli accessorî della moda irrimediabilmente tramontati.
Al principio del sec. XIX, l'industria della pettinatura utilizzava, in Francia, 130.000 chili di capelli all'anno, capelli che provenivano da donne morte all'ospedale, o dalle vendite di donne povere, o financo dai rifiuti delle toelette; 19.000 dei 130.000 chili citati più sopra erano raccolti con quest'ultimo mezzo. La produzione locale rimanendo peraltro insufficiente, vengono importati capelli anche dall'estero, specialmente dalla Cina dove, com'è noto, i capelli sono abbondanti e lunghi e dove le trecce (fatte scomparire dalla repubblica) scendevano, a volte, fino ai piedi. Il massimo dell'esportazione cinese fu raggiunto nel 1881, con 30.000 chili di capelli esportati da Shanghai (a tre franchi oro il chilo); dopo, la cifra scemò aggirandosi sui 10.000 chili fino all'inizio del sec. XX (J. Hayen et Mortier, Rapport du jury international de l'Expos. Univ. de 1900, capitolo "Industries diverses du vêtement"). La guerra mondiale portò poi anche in questa industria un grande sconvolgimento.
V. tavv. CXIX e CXX; e v. anche chardin, IX, tav. CCXLVI; galgario, XVI, tav. LIII.
Bibl.: J. B. Thiers, Histoire des perruques, Parigi 1690; A. N. Bernabei, Dissertazione delle morti improvvise delle parrucche, Roma 1708; F. R. Guasco, Delle ornatrici e dei loro uffizi, Napoli 1775, p. 120 segg.; J. M. N. Deguerle, Éloge des perruques, Parigi 1799; F. Niccolai, Über den Gebrauch der falschen Haare und Perrücken, Berlino 1801; E. Woestyn, Le livre de la coiffure, Parigi 1854, p. 33; G. d'Eze e A. Marcel, Histoire de la coiffure, Parigi 1866, p. 12; E. Casanova, La donna senese del 400, Firenze 1890, p. 33 segg.; M. de Villermont, Histoire de la coiffure féminine, Parigi 1892; Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiquités grecques et romaines, ivi 1912, I, p. 1362; II, p. 1452; III, p. 2226; F. Malaguzzi Valeri, La corte di Ludovico il Moro, Milano 1913, p. 236; E. Gallo, Il valore sociale dell'abbigliamento, Torino 1914, pp. 130, 132; G. Sequer, Histoire de la civilisation égyptienne, Parigi 1925, pp. 171, 284, 289; P. Molmenti, La storia di Venezia nella vita privata, III, Bergamo 1926, pp. 75, 85; G. Morazzoni, La moda a Venezia nel sec. XVIII, Milano 1931, pp. 20-39; B. Kohler, Allgemeine Trachtenkunde, Lipsia s. a.; C. Piton, Le costume civil en France, Parigi s. a., pp. 211, 249, 3131.